Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-04-2011) 31-05-2011, n. 21781 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Trieste, con sentenza del 17.3.2010, in parziale riforma della sentenza 3.2.2009 pronunziata dal G.I.P. del Tribunale di Udine in esito a giudizio celebrato con il rito abbreviato:

a) ribadiva l’affermazione della responsabilità penale di G. B. e G.G. in ordine ai reati di cui:

– al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), (per avere – il primo in qualità di proprietario ed esecutore dei lavori ed il secondo quale direttore dei lavori medesimi – edificato, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, un fabbricato residenziale diversamente localizzato rispetto alla posizione autorizzata con la ottenuta concessione edilizia ed in contrasto con le prescrizioni di una variante di piano adottata – acc. in (OMISSIS), con lavori in corso d’opera);

– al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (per avere realizzato l’opera anzidetta senza la prescritta autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo);

b) confermava la condanna, per ciascun imputato, alla pena complessiva di Euro 18.532,00 di ammenda, di cui Euro 532,00 in sostituzione della pena detentiva di giorni 14 di arresto;

c) concedeva ad entrambi il beneficio della sospensione condizionale delle pene inflitte.

Avverso tale sentenza hanno proposto separati ma identici ricorsi gli imputati, i quali – sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione – hanno eccepito:

– violazione di legge per essere stata iniziata e proseguita l’azione penale in pendenza del termine di sospensione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 45, comma 1, operante in seguito alla intervenuta presentazione di domanda di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 dello stesso T.U.;

– violazione di legge per errata applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, in quanto il Comune di Porpetto aveva rilasciato, in data 19.6.2008, concessione in sanatoria ai sensi di detta norma ed i giudici del merito avrebbero incongruamente considerato illegittimo tale titolo concessorio con riferimento alle previsioni di una variante dello strumento urbanistico generale soltanto "adottata" e non ancora approvata;

– la legittimità della intervenuta traslazione del manufatto;

– la insussistenza di un vincolo paesaggistico sull’area oggetto dell’intervento e, comunque, la "buona fede" di essi ricorrenti nell’avere ritenuto che non sussistesse alcun vincolo, considerato che di ciò non veniva fatto cenno nella concessione edilizia n. 14 rilasciata l’11.4.2001;

– l’estinzione del reato paesaggistico contestato, in quanto sarebbe stato emesso, dall’autorità preposta alla tutela del vincolo, un provvedimento di condono ai sensi della L. n. 308 del 2004, art. 1, comma 37;

– l’immotivata eccessività delle pene.

E’ stata depositata memoria difensiva, con particolare illustrazione della prospettazione di "buona fede" in ordine alla ritenuta insussistenza del vincolo paesaggistico.
Motivi della decisione

I ricorsi devono essere rigettati, perchè tutte le doglianze anzidetto sono infondate.

1. Quanto all’eccezione di nullità per mancata sospensione dell’azione penale in pendenza della domanda di sanatoria, va rilevato che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 45, comma 1, (allo stesso modo della L. n. 47 del 1985, art. 22) dispone che – qualora venga richiesto l’accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 dello stesso TU (già L. n. 47 del 1985, art. 13) – "l’azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa finchè non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria".

La norma ricollega, dunque, la durata della sospensione all’esaurimento dei soli "procedimenti amministrativi di sanatoria", limitandola temporalmente alla decisione degli organi comunali sulla relativa domanda, manifestata anche nella forma del silenzio-rifiuto prevista dall’art. 36, comma 4 (vedi, tra le decisioni più recenti, Cass., Sez. 3: 24.6.2010, n. 24245, Chiarello; 6.5.2008, n. 17954, Termini; 8.4.2004, n. 16706, Brilla; 7.3.2003, n. 10640, Petrillo.

Tale interpretazione è stata considerata legittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 370/1988 e con l’ordinanza n. 247/2000).

L’emissione del provvedimento sospensivo, inoltre, resta pur sempre condizionata al previo accertamento del giudice penale in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti necessari per il conseguimento della sanatoria (vedi Cass., Sez. 3, 7.3.1997, n. 2256, Tessari ed altro).

In ogni caso – nell’ipotesi in cui il giudice di merito non abbia sospeso, D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 45, comma 1, il procedimento relativo ai reati di cui all’art. 44 dello stesso T.U. – non consegue alcuna nullità, mancando qualsiasi previsione normativa in tal senso e non configurandosi pregiudizi al diritto di difesa dell’imputato, poichè questi può far valere nei successivi gradi di giudizio l’esistenza o la sopravvenienza della causa estintiva.

Nella vicenda in esame risulta che la richiesta di accertamento di conformità era stata già presentata alla data del 27.10.2007 e, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36, comma 3, non essendo intervenuta pronuncia entro i 60 giorni successivi alla presentazione, la richiesta medesima doveva intendersi "rifiutata".

L’Amministrazione comunale non aveva certamente perduto il potere di provvedere in merito all’istanza, poichè questo poteva essere legittimamente esercitato anche una volta formatosi il silenzio- rifiuto, ma, al momento in cui il P.M. esercitò l’azione penale richiedendo al GIP. l’emissione di decreto di condanna (7.1.2008), non sussisteva alcun motivo di sospensione del procedimento.

2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema, L. n. 47 del 1985, artt. 13 e 22 (le cui previsioni sono state trasfuse nel D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36 e 45) vanno interpretati in stretta connessione ai fini della declaratoria di estinzione dei "reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti" e il giudice penale, pertanto, ha il potere-dovere di verificare la legittimità della concessione edilizia rilasciata "in sanatoria" e di accertare che l’opera realizzata sia conforme alla normativa urbanistica. In mancanza di tale conformità, infatti, la concessione non estingue i reati ed il mancato effetto estintivo non si ricollega ad una valutazione di illegittimità del provvedimento della P.A. cui consegua la disapplicazione dello stesso L. 20 marzo 1865, n. 2248, ex art. 5, all. E), bensì alla effettuata verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo incidente sulla fattispecie tipica penale (vedi Cass., Sez. 3: 1.7.2008, n. 26144, Papa; 20.5.2005, n. 19263, Scollato;

11.10.2000, a 10601, Marinaro).

Ai fini del corretto esercizio di tale controllo deve ricordarsi che si pone quale presupposto indispensabile, per il rilascio della concessione in sanatoria D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 36, la necessità che l’intervento sia "conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.

Secondo la precedente formulazione della L. n. 47 del 1985, art. 13 – invece – l’intervento doveva risultare "conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda".

Nella fattispecie in esame la difformità realizzata risulta non conforme ad una variante di piano regolatore soltanto "adottata" e non ancora approvata, ma il mutamento lessicale della formulazione normativa (di cui si è dato conto dianzi) deve considerarsi irrilevante, in quanto la conformità alla "disciplina urbanistica vigente" si riferisce sicuramente pure al rispetto delle norme di salvaguardia connesse alle prescrizioni dello strumento urbanistico adottato (sul punto già Cass., sez. 3, 9.1.2004, n. 291, Fammiano).

Il rilascio del provvedimento sanante, inoltre, consegue ad un’attività vincolata della P.A., consistente nell’applicazione alla fattispecie concreta di previsioni legislative ed urbanistiche a formulazione compiuta e non elastica, che non lasciano all’Amministrazione medesima spazi per valutazioni di ordine discrezionale (vedi C. Stato, sez. 5, 25.2.2009, n. 1126).

Nel caso che ci riguarda – in conclusione – i giudici del merito hanno correttamente affermato che la concessione edilizia rilasciata in sanatoria non comporta l’estinzione del reato urbanistico, perchè non è applicabile il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 45 (difettandone i presupposti).

3. E’ incontestato che, nella specie, vi è stata una diversa collocazione del manufatto rispetto al progetto originario.

In relazione a tale condotta, attuata in difformità dalla concessione edilizia rilasciata, i giudici dal merito hanno ritenuto sussistente il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), previa derubricazione dell’imputazione originariamente riferita all’art. 44, lett. c).

Va rilevato, in proposito, che – secondo le disposizioni del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32, lett. c), – costituiscono variazioni essenziali le "modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza". Ne consegue che la modifica della localizzazione dell’edificio integra una variazione essenziale rispetto al progetto qualora si sia in presenza (come nella fattispecie in esame) di una traslazione tale da comportare lo spostamento del fabbricato su un’area totalmente o pressochè totalmente diversa da quella originariamente prevista: a detta modifica, pertanto, si connette la necessità di una nuova valutazione del progetto da parte dell’amministrazione concedente, sotto il profilo della sua compatibilità con i parametri urbanistici e con la considerazione dell’area.

Gli interventi in variazione essenziale vengono ritenuti generalmente punibili con la pena prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a). Essi, però, "sono considerati in totale difformità dal permesso di costruire (già concessione edilizia)" quando sono realizzati (come netta specie) in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (art. 32, comma 3 dello stesso T.U.).

Il P.M., comunque, nella vicenda in oggetto, non ha avuto a dolersi della effettuata derubricazione.

In relazione alle doglianze dei ricorrenti deve evidenziarsi, però, che – anche ai fini della configurazione del reato ritenuto in sentenza – è irrilevante che il diverso posizionamento del fabbricato fosse o meno consentito dalla pianificazione vigente, in quanto esso, comunque, non era stato autorizzato nel titolo abilitativo edilizio.

La questione può assumere rilievo soltanto in relazione alla possibilità di sanatoria D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 36, ma tale possibilità deve ritenersi correttamente esclusa alla stregua delle argomentazioni svolte nel precedente paragrafo.

4. L’esistenza del vincolo paesaggistico, riferito alla presenza di un corso d’acqua oggetto di tutela, è attestata dalla acquisita documentazione proveniente sia dall’Amministrazione comunale sia dalla competente Soprintendenza ed i giudici del merito, con argomentazioni logiche, hanno disatteso la prospettazione di "buona fede" che la difesa ricollega alla mancata menzione di tale vincolo nella concessione edilizia originariamente rilasciata.

Il rilascio del titolo abilitativo edilizio, infatti, non può essere interpretato nel senso del verificato rispetto della disciplina vincolistica vigente, in quanto il provvedimento relativo alla concessione edilizia (ora permesso di costruire) e l’autorizzazione paesaggistica sono tra loro autonomi ed indipendenti, realizzando interessi distinti e fondandosi su presupposti diversi.

Va ribadito poi l’orientamento costante di questa Corte Suprema (vedi, tra le molteplici pronunzie, Cass., Sez. 3: 16.11.2001, n. 40862, Farà; 23.1.2002, n. 2398, Zecca ed altro; 28.3.2003, n. 14461, Carparelli; 29.4.2003, n. 19761, Greco ed altri; 28.9.2004, n. 38051, Coletta; 11.1.2006, n. 564, Villa) secondo il quale il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, è reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell’illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l’ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l’aspetto esteriore degli edifici (vedi pure, in proposito, Corte Cost, sent. n. 247 del 1997 ed ord. n. 68 del 1988).

La fattispecie in esame – come esattamente evidenziato dai giudici del merito – è caratterizzata ad evidenza da difformità esecutive oggettivamente non irrilevanti ed astrattamente idonee a compromettere l’ambiente: sussiste, pertanto, un’effettiva messa in pericolo del paesaggio, oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex ante, nonchè una violazione dell’interesse dalla P.A. ad una corretta informazione preventiva ed all’esercizio di un efficace e sollecito controllo.

5. Quanto poi al c.d. "condono paesaggistico" – introdotto dal comma 37 dell’unico articolo della L. n. 308 del 2004 ed applicabile ai reati paesaggistici compiuti entro e non oltre il 30 settembre 2004 – deve rilevarsi che tale disposizione si riferisce genericamente ai "lavori compiuti su beni paesaggistici senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa" ma pone poi la condizione "che le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati, anche se diversi da quelli indicati nell’eventuale autorizzazione, rientrino fra quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o, altrimenti, siano giudicati compatibili con il contesto paesaggistico".

Ulteriore condizione è che "che i trasgressori abbiano previamente pagato":

– la sanzione pecuniaria di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 167, maggiorata da un terzo alla metà;

– una sanzione pecuniaria aggiuntiva, determinata, dall’autorità amministrativa competente, tra un minimo di 3.000,00 Euro ed un massimo di 50.000,00 Euro.

La procedura è legislativamente delineata in termini estremamente scarni, in quanto viene previsto soltanto che il proprietario, il possessore o il detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati all’intervento, devono presentare la domanda per l7accertamento della "compatibilità paesaggistica" dei lavori eseguiti all’autorità preposta alla gestione del vincolo e che tale autorità deve pronunciarsi previo parere della Soprintendenza.

La pronuncia favorevole estingue il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 (già D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163) e "ogni altro reato in materia paesaggistica".

Nella fattispecie in esame (ove i lavori erano in corso d’opera alla data del 27.10.2007, di gran lunga successiva al termine massimo del 30 settembre 2004) non risulta che la procedura anzidetta sia stata esperita e che siano state pagate le prescritte sanzioni pecuniarie.

6. Le pene, infine, sono state determinate con corretto riferimento ai criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p. (entità effettiva dei fatti e loro disvalore sociale).

7. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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