Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-04-2011) 31-05-2011, n. 21776 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 9/7/09, resa a seguito di rito abbreviato, dichiarava P.A.F. colpevole del reato di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 1 bis, e lo condannava alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa. La Corte di Appello di Milano, chiamata a pronunciarsi sull’appello avanzato nell’interesse dell’imputato, con sentenza dell’8/4/10, ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione la difesa del P., con i seguenti motivi:

– manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, rilevato che il giudice ha affermato la colpevolezza del prevenuto sulla base del rinvenimento nella disponibilità dello stesso della somma di Euro 4.500,00, in difetto di prova sulla attività di cessione di stupefacente;

– mancata assunzione delle testimonianze di Pa.Ma. e di L.P., prove decisive a confermare la tesi della difesa in ordine alla inconsapevolezza del P. circa il possesso della droga da parte del coimputato ( L.) e alla lecita provenienza del denaro rinvenuto sulla persona del prevenuto;

– inosservanza dell’art. 203 c.p.p., visto che la sentenza di condanna è giunta anche in virtù dell’utilizzo di una fonte confidenziale mai svelata, nè in indagini, nè in giudizio;

– mancanza di motivazione a sostegno del diniego della attenuante di lieve entità.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

Il discorso giustificativo, svolto in sentenza, segue un iter logico- giuridico del tutto corretto ed esaustivo.

Con il primo motivo di ricorso si palesa il tentativo di procedere ad una analisi rivalutativa delle emergenze istruttorie, il cui riesame estimativo è precluso in sede di legittimità. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata, in via esclusiva, al giudice di merito, senza che possa, quindi, integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente, più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.

In una tale prospettiva, il giudice di legittimità non può sovrapporre la propria valutazione a quella del giudice di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova raccolte, essendo invece compito di questa Corte stabilire se il decidente abbia esaminato tutti gli elementi a sua disposizione, se abbia fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbia esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta delle conclusioni raggiunte (ex plurimis Cass. 23/1/03, Cozzi).

Di poi, dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la sentenza impugnata emerge che la Corte territoriale ha compiutamente ottemperato al dovere di motivazione, nei termini indicati ex lege ed affermati dalla giurisprudenza di legittimità: il prevenuto si accompagnava su un motociclo ad altro soggetto che, alla vista degli operanti, gettava a terra un pacchetto contenente droga, e veniva trovato in possesso della somma di Euro 4.500,00 in banconote da 500,00 Euro ciascuna; in sede di convalida dell’arresto si avvaleva della facoltà di non rispondere, ma all’atto di richiesta del rito abbreviato, invece, rendeva dichiarazioni spontanee, con le quali negava l’addebito, sostenendo di ignorare che il proprio compagno trasportasse della cocaina.

Ad avviso del decidente dette affermazioni risultano frutto di una ricostruzione difensiva postuma che difetta di quella spontaneità e di quella immediatezza che accompagnano normalmente le dichiarazioni di chi si sente ingiustamente accusato e vanno a scontrarsi con la ricostruzione dei fatti, riportata dagli agenti che hanno operato il fermo.

La censura sul punto, peraltro, si rivela in fatto, nel tentativo di procedere ad una rianalisi estimativa delle emergenze processuali, sulle quali al giudice di legittimità è precluso di procedere a riesame estimativo.

Del pari inammissibile è la seconda censura. relativa alla mancata assunzione di prova decisiva, in quanto l’imputato, originariamente, aveva chiesto di essere ammesso al rito abbreviato condizionato alla escussione dei testi Pa. e L.: rigettata dal Tribunale la relativa istanza, il P. ha accettato di essere giudicato "allo stato degli atti", con applicazione del rito abbreviato semplice.

La contestazione mossa appare, quindi, priva di pregio, rilevato che il giudice ha ampiamente giustificato le ragioni poste a sostegno della ritenuta superfluità ed inconferenza dell’assunzione del mezzo istruttorio invocato, in dipendenza della palese dissonanza tra il comportamento adottato dall’imputato in sede di convalida dell’arresto e, di poi, in sede di richiesta di applicazione del rito premiale, ut supra evidenziato.

E’ di contro ravvisatole la eccepita violazione dell’art. 203 c.p.p., perchè detto disposto normativo è pienamente applicabile al caso che ci occupa in quanto la fonte confidenziale aveva messo gli operanti sulle tracce del P. e del L., indicandoli quali responsabili del reato contestato, in quanto soggetti orbitanti nell’ambiente della droga.

La riconosciuta fondatezza della censura non si ritiene che possa, però, incidere sulla validità del decisimi, in quanto la piattaforma probatoria, miratamene richiamata dal giudice di merito, permette di ritenere che. anche ad escludere detto elemento, permangano ulteriori emergenze istruttorie univoche a carico del prevenuto, come sopra richiamato.

Sul punto, infatti, questa Corte ha affermato che. nel caso in cui la sentenza sia formalmente viziata da inosservanza di norme processuali, stabilite a pena di inutilizzabilità, in tanto si debba procedere all’annullamento della stessa in quanto si accerti che la prova illegittimamente acquisita abbia avuto una determinante efficacia dimostrativa nel ragionamento giudiziale, un peso reale sul convincimento e sul dicisum del giudice di merito, nel senso che la scelta di una determinata soluzione, nella struttura argomentativa della motivazione, non sarebbe stata la stessa senza limitazione di quella prova, nonostante la presenza di altri elementi probatori, di per sè ritenuti non sufficienti a giustificare identico convincimento (Cass. S.U. 30/6/2000. n. 16).

Argomentato adeguatamente risulta essere il diniego della applicazione della ipotesi della lieve entità, con richiamo al quantitativo della sostanza rinvenuta e alle modalità del fatto, in quanto la concessione della attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, presuppone un fatto oggettivamente non pericoloso per l’interesse tutelato e, quindi, detta attenuante può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività della condotta, deducibile sia dal dato quantitativo e qualitativo della sostanza stupefacente, sia dagli altri parametri indicati nella disposizione (mezzi, modalità, circostanze della azione), con la conseguenza che ove venga meno anche uno soltanto di detti indici, diviene irrilevante la eventuale presenza degli altri (Cass. 14/2/07.

Santi).
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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