Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 29-03-2011) 31-05-2011, n. 21635 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 4 ottobre 2010 il Tribunale di Catania, in funzione di giudice del riesame, rigettava l’istanza proposta da G.L., a mente dell’art. 309 c.p.p., avverso l’ordinanza con la quale il GIP del medesimo Tribunale, il 5.9.2010, aveva disposto in suo danno la misura cautelare in carcere perchè gravemente indiziato dei reati di tentata estorsione, aggravata anche ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, e di sequestro di persona, commessi in concorso con A.A., B.A. e L. F. ai danni di Ar.Al., nonchè di tentata violenza privata, secondo imputazioni meglio specificate in rubrica.

A sostegno della decisione il Tribunale richiamava, in primo luogo, le dichiarazioni della parte lesa, entrata in conflitto con A.A. per il regolamento economico collegato ad una cessione aziendale con accollo di debiti da parte del cessionario Ar.Al., secondo la ricostruzione accusatoria, vessato, minacciato e costretto con la forza a subire più d’una imposizione fisica, nonchè le dichiarazioni dello stesso A. e, per suo conto, quelle rese dai concorrenti nel reato. Ad ulteriore supporto indiziario e probatorio richiamava inoltre il Tribunale le parziali ammissioni di tutti gli indagati, le intercettazioni telefoniche dei colloqui tra essi intercorse, le annotazioni di P.G. del 25.8.2010 in ordine allo speronamento consumato dal G. con la sua autovettura contro quella condotta dall’ Ar. per costringerlo a fermarsi.

2. Ricorre per l’annullamento dell’impugnata ordinanza il G., assistito dal difensore di fiducia, illustrando tre motivi di censura.

2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente l’errata qualificazione giuridica della condotta accertata, da riferire all’ipotesi di cui all’art. 393 c.p. e non già a quella di cui all’art. 629 c.p., in particolare osservando che;

– la stessa parte lesa ha ammesso un suo debito nei confronti dell’ A. (per recuperare il quale, secondo l’accusa, questi si sarebbe avvalso di altre persone tra le quali il ricorrente per vincere le resistenze e le contestazioni del debitore) di guisa che non v’è nella fattispecie concreta all’esame dei giudicanti il requisito dell’ingiusto profitto;

– tutta la vicenda in esame si giustifica, infatti, nella pretesa dell’ A. di veder soddisfatta l’obbligazione assunta dall’ Ar. al momento della cessione a quest’ultimo di quote della "Catania New Town" e per il cui inadempimento l’ A. era stato chiamato a rispondere quale fideiussore;

– in tale contesto l’ Ar. nulla avrebbe fatto se non opera di convincimento verso il debitore perchè accettasse il piano di rientro dal debito, ovvero lo spettatore di alcuni incontri tra gli interessati alla vicenda;

– di qui ancora l’insussistenza del dolo estorsivo;

– il G. ha comunque avuto un ruolo del tutto marginale nella vicenda, non compare in alcuna intercettazione e l’ A. riferisce di non conoscerlo neppure;

– anche l’episodio dell’urto da tergo dell’autovettura della parte offesa non può integrare gli estremi della fattispecie contestata, perchè mancante sia la coazione fisica nei confronti della p.o., la quale, infatti, riuscì a dileguarsi, sia la idoneità dell’azione ad integrare una condotta minacciosa;

– le intenzioni del G. in relazione a detto episodio sono state soltanto supposte e non hanno alcun sostegno indiziario;

– non motiva l’ordinanza impugnata in ordine alla ragioni per le quali le dichiarazioni della p.l. abbiano valenza indiziaria;

– al processo non risultano acquisite testimonianze in ordine alle denunciate minacce ed alle denunciate aggressioni fisiche;

– nella vicenda non è coinvolta la mafia, nè alcuno ha fatto uso di metodi mafiosi;

2.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente che:

– nella fattispecie non ricorre l’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7;

– non viene indicata quale condotta sia riferibile al G. ovvero quali considerazioni giustifichino la contestazione dell’aggravante in parola;

– il G. non ha precedenti di natura associativa, al momento dei fatti era appena uscito dal carcere dopo aver espiato una pena definitiva di sei anni per reati contro il patrimonio e non poteva pertanto vantare collegamenti malavitosi;

– non ricorrono nella fattispecie i requisiti i quali per lezione giurisprudenziale consentono il riconoscimento dell’aggravante contestata.

3.3 Col terzo motivo di ricorso censura la difesa istante la ricorrenza nel caso in esame delle dedotte esigenze cautelari e la omessa considerazione delle argomentazioni difensive svolte al riguardo in sede di riesame.

4. Il ricorso è fondato nei limiti che si passa ad esporre.

4.1 La prima questione posta dalla difesa ricorrente riguarda la corretta qualificazione giuridica della condotta imputata all’indagato ed in particolare se debba essa riferirsi allo schema astratto dell’estorsione tentata, come ritenuto dall’accusa, ovvero alla ipotesi tipizzata come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, come invece difensivamente opinato.

Osserva sul punto la Corte che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, disciplinato dall’art. 393 c.p., ricorre nella ipotesi in cui l’agente, arbitrariamente e quindi anche con violenza e minaccia, faccia valere un diritto già esistente ed azionabile dinanzi al giudice competente. Quando, viceversa, la violenza e la minaccia assumano caratteri di particolare virulenza (Cass., Sez. 6, 21/06/2010, n. 32721) ovvero si colleghino ad una pretesa esorbitante rispetto ad una debito pur legittimamente maturato, sicchè la posizione giuridica riferibile ad essa pretesa giammai potrebbe essere tutelata in sede giudiziaria, si configurano i requisiti della costrizione mediante violenza o minaccia di cui all’art. 629 c.p. ovvero dell’ingiusto profitto caratterizzanti il più grave reato di estorsione (Cass., Sez. 2, 22/04/2009, n. 25613; Cass., Sez. 6, 16/07/2010, n. 33741).

Nel caso in esame non può francamente porsi in dubbio che la pretesa avanzata dall’ A. a soccorso del quale hanno poi operato i concorrenti nel reato e, tra questi, il G., era di gran lunga superiore al dovuto e per questo non tutelabile nelle vie ordinarie.

A ciò deve aggiungersi che tale esorbitante pretesa è stata rafforzata da condotte violente e minacciose anche per il numero delle persone coinvolte a sostegno del creditore e per la inequivocabile natura di esse.

Il G. è stato infatti riconosciuto dalla p.l. come persona che ha partecipato ad almeno due riunioni tra il creditore, spalleggiato da più persone pronte ad azioni non esattamente amichevoli e la p.l. e sempre il G. è stato identificato dalle forze di polizia come il responsabile di uno speronamento automobilistico ai danni sempre dell’ Ar..

A carico dell’indagato vanno altresì considerate le significative intercettazioni tra tutti gli indagati nel processo a riprova del suo coinvolgimento nell’opera di persuasione condotta in danno della predetta p.l..

Va, pertanto, riconosciuta la correttezza motivazionale delle conclusi alle quali è pervenuto il tribunale, tenuto conto della fase processuale in atto e della probatio minor in essa richiesta dall’ordinamento, in ordine alla ricorrenza nel caso in esame, a carico del ricorrente, del reato di tentata estorsione aggravata, salvo quanto si dirà di qui a poco.

4.2 Fondata è, viceversa, l’impugnazione in relazione alla ricorrenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, motivatamente contestata dalla difesa istante.

La circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito dalla L. 12 luglio 1991, n. 203, configurabile rispetto a ogni delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso, si applica sia alla condotta di colui che, ricorra o comunque evochi, con la sua condotta, la forza di intimidazione promanante in un certo ambito territoriale dall’associazione di stampo mafioso e strutti le conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà del contesto sociale per la più agevole commissione degli illeciti, ovvero agisca al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso (tra le tante, Cass., Sez. 1, 05/03/2004, n. 22629).

Transitando dal principio generale al reato per cui è causa, di per sè caratterizzato da una componente di violenza e di minaccia, giova rammentare che la circostanza in parola nel delitto di estorsione si riscontra quando la condotta minacciosa, oltre ad essere obiettivamente idonea a coartare la volontà del soggetto passivo, sia espressione di capacità persuasiva in ragione del vincolo dell’associazione mafiosa e sia, pertanto, idonea a determinare una condizione d’assoggettamento e d’omertà (così: Cass., Sez. 5, 17/04/2009, n. 28442).

Nel caso di specie reputa questa Corte di legittimità non esaustiva la motivazione impugnata tenuto conto che l’aggravante è stata contestata escludendo il profilo dell’agevolazione e richiamando invece quello del metodo c.d. mafioso. L’esame degli atti e la stessa ricostruzione accusatoria non indicano però la prova, ancorchè nei termini della gravità indiziaria sufficiente in sede cautelare, che minacce e vessazioni possano connettersi alla presenza di gruppi malavitosi organizzati ovvero che le condotte incriminate si siano avvalse di un clima di intimidazione comunque riferibile a siffatte realtà associative.

I caratteri mafiosi del metodo utilizzato per commettere un delitto, giova sottolinearlo, non possono essere desunti dalla mera reazione delle vittime alla condotta tenuta dall’imputato, ma devono concretizzarsi in un comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare una particolare coartazione psicologica sulle persone, con i caratteri propri dell’intimidazione derivante dall’organizzazione criminale evocata (Cass., Sez. 6, 02/04/2007, n. 21342).

4.3 La sussistenza, infine, nello specifico delle esigenze cautelari sarà rivalutata dal giudice di merito all’esito del giudizio di rinvio.
P.Q.M.

La Corte, annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 e rinvia per nuovo esame sul punto al tribunale di Catania.

Rigetta nel resto il ricorso.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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