Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-02-2011) 31-05-2011, n. 21774 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

orrente nella persona dell’Avv. SALONIA Giovanni.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 18 febbraio 2010 la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Roma resa in data 16 febbraio 2007 con la quale W.N., imputato del reato di violenza sessuale in pregiudizio di P.E., era stato ritenuto colpevole del detto reato e condannato – concessa la circostanza attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3 e con la diminuente per il rito – alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione oltre le pene accessorie di legge, nonchè al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita. Rispondendo alle doglianze difensive la Corte Territoriale disattendeva il principale motivo di appello proposto in ordine alla asserita inattendibilità della minore ed alle incoerenze o incertezze in cui la stessa era incorsa, nonchè in ordine alla valutazione sfavorevole di circostanze che invece evidenziavano – secondo la prospettazione difensiva – l’inattendibilità del racconto della minore in relazione ad alcuni particolari dalla stessa riferiti. Disattendeva, altresì, le doglianze in punto di trattamento sanzionatorio ritenuto dalla Corte assolutamente adeguato ed anzi fin troppo mitigato per effetto delle attenuanti generiche in termini di equivalenza rispetto alle aggravanti e della attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3 tenuto conto delle particolari gravi modalità del fatto.

Ricorre l’imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge (contraddittorietà ed insufficienza della motivazione in ordine al punto relativo alla riconosciuta capacità della minore di rendere testimonianza, avendo la Corte interpretato solo parzialmente i dati ricavati delle dichiarazioni della D.ssa F. (consulente psicologa del P.M. – e non del Giudice – come erroneamente ritenuto dalla Corte) e quelli, ben più pregnanti, provenienti dalla D.ssa M., che la Corte aveva in modo apodittico ritenuto decisivi nonostante le rilevate contraddizioni ravvisabili rispetto al contenuto della relazione della D.ssa F.. Con un secondo motivo viene dedotta insufficienza della motivazione in ordine al diniego in termini di prevalenza delle già concesse attenuanti generiche e comuni, rilevando come la Corte avrebbe anche omesso di motivare sulla riduzione ulteriore di pena senza tenere in alcun conto la giovanissima età dell’imputato al momento del fatto (appena diciottenne), la non gravità degli atti sessuali e la sostanziale assenza di danno sulla minore per la sua vita futura. Le censure mosse dal ricorrente non meritano di essere accolte.

Dalla sentenza impugnata si trae a pag. 3 la seguente ricostruzione fattuale, peraltro operata in simbiosi con la sentenza di primo grado, puntualmente richiamata nei suoi passaggi più incisivi.

In occasione di una gita al mare nel comune di Acilia, mentre la minore P.E. si trovava in una stanza della casa di villeggiatura unitamente all’imputato, suo conoscente da tempo ed amico di famiglia, quest’ultimo le si avvicinava e con la scusa di un gioco, dopo averle bendato gli occhi, chiedeva di indovinare quello che avrebbe introdotto in bocca, introducendole, invece, il suo organo sessuale e suscitando la reazione rabbiosa della ragazzina. Di tale episodio non si era accorta la madre che si trovava in altra parte della casa e che veniva a conoscenza di tale fatto solo dopo diverso tempo grazie al racconto della figlia.

Detto ciò, va subito affrontato il tema del principale motivo di ricorso incentrato su una contraddittoria ed insufficiente motivazione da parte della Corte sulla capacità a rendere testimonianza della minore. Va anzitutto doverosamente ricordato che lo scrutinio di legittimità operato sulla decisione impugnata va circoscritto in ambiti ben delimitati, essendo compito della Corte di Cassazione quello di verificare l’esistenza di un logico e complessivo apparato argomentativo riguardante i vari punti della decisione impugnata, senza alcuna possibilità di un controllo sulla adeguatezza o l’interferenza fattuale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito per sottolineare il proprio convincimento o la corrispondenza con il materiale probatorio acquisito al processo.

Un’operazione, infatti, che si traducesse in una indagine riferita ai vari atti del processo non sarebbe per nulla in linea con i poteri della Corte che può solo intervenire laddove la motivazione risulti del tutto assente ovvero manifestamente insostenibile sul piano logico, ovvero ancora contraddittoria, sempre che tali vizi emergano visibilmente dal testo del provvedimento ovvero da altri atti espressamente indicati nei motivi a sostegno del ricorso. Ne consegue che resta esclusa la possibilità di sindacare le scelte compiute dal giudice in ordine alla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, a meno che anche in tale operazione non si rinvengano affermazioni apodittiche o illogiche (Cass. Sez. 3, 12.10.2007 n. 40542, Marrazzo, Rv. 238016).

Senza voler immorare oltre il consentito sul significato di concetti quali l’omessa motivazione (tale essendo sia quella mancante sia quella c.d. "apparente"); l’illogicità manifesta (tale essendo l’incoerenza palese percepibile ictu oculi e la contraddittorietà (tale essendo una affermazione o un ragionamento uguale e contrario ad altro vertente sul medesimo punto), può senz’altro affermarsi che nessuno dei vizi denunciati traspare dalla lettura della sentenza.

Lettura che – come già cennato in apertura – va coordinata, specialmente laddove esistano richiami diretti alla decisione impugnata con l’atto di appello – con la sentenza di primo grado. E’ noto, in proposito il principio in forza del quale la struttura motivazionale della sentenza di appello, laddove le pronunce di primo e di secondo grado risultino concordanti nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a base delle rispettive decisioni, si salda e si integra con quella precedente di primo grado (Cass. Sez. 2, 10.1.2007 n. 5606, Conversa e altri; Rv. 236181; Cass. Sez. 1A 26.6.2000 n. 8868, Sangiorgi, Rv. 216906; Cass. Sez. Un. 4.2.1992 n. 6682, Pm., p.c, Musumeci ed altri, Rv. 191229): con la conseguenza che è pienamente legittima da parte del giudice di secondo grado una motivazione per relationem.

Peraltro, nel caso di specie, la Corte mostrando particolare attenzione proprio al tema specifico introdotto con i motivi di appello rappresentato dalla critica alla capacità a rendere testimonianza della minore in quanto asseritamente suggestionabile ed in sè immatura, non ha esaurito il proprio compito limitandosi ad un richiamo alle conclusioni rassegnate dal perito D.ssa M., ma ha condotto una analisi approfondita ed autonoma basandosi sia sulle conclusioni espresse dal detto perito, sia sulle considerazioni svolte da altro psicologo nella persona del Dssa F. (la cui indicazione quale consulente della difesa va considerato un mero refuso grafico senza alcuna incidenza o travisamento della prova come prospettato dalla difesa).

Ma nel fare riferimento all’indispensabile ausilio dei due esperti la Corte è andata oltre valutando essa stessa i vari profili e spunti che in qualche modo avrebbero potuto incidere sulla possibile – secondo la tesi difensiva – incapacità della minore, escludendola radicalmente e con motivazione appropriata, diffusa e logica.

Ha così motivamente escluso la conferenza di un possibile funzionamento in termini di accondiscendenza psichica ed adultomorfisimo (ripetendo le espressioni usate nella consulenza F., che la difesa reputa sintomatiche della tendenza della bambina alla suggestionabilità), ricordando in modo puntuale che la ragazzina confidò quanto accadutole, prima ad una sua amichetta coetanea e poi, alla madre che a sua volta parlò dell’episodio all’esterno del contesto familiare dopo molto tempo ed in circostanze del tutto occasionali.

Le modalità della rivelazione sono quindi state considerate dalla Corte – in modo logico e persuasivo – sintomo, al contempo, di consapevolezza e di indipendenza della minore da terzi: un segreto non da poco che, pur riferito ad un episodio in sè non particolarmente grave, ha certamente influito sulla psiche della bambina per altre considerazioni – sulle quali la difesa ha glissato – legate alla reazione quasi rabbiosa della bambina verso un conoscente adulto dal quale si è sentita tradita.

Tanto è parso più che sufficiente alla Corte per confermare il giudizio di capacità complessivo. Ma vi è di più.

La Corte, in quest’opera di analisi della psiche della bambina condotta proprio sotto il profilo della sua emotività interiore e della capacità di relazionarsi con il mondo degli adulti e di raccontare i propri vissuti, si è anche fatta carico di analizzare le possibili contraddizioni – tra quelle segnalate dalla difesa dell’imputato – escludendole per gradi tutte quante. Il riferimento è, in via esemplificativa, al particolare ricordato dalla Corte dell’abito leggero indossato dalla madre in un periodo invernale e in un contesto ambientale rappresentato da una casa al mare che – secondo la prospettazione difensiva – renderebbe il racconto della minore in sè non credibile: particolare che la Corte ha, invece, puntualmente passato in rassegna, affermando in modo convincente che nessuna contraddizione vi poteva essere, essendo ben possibile che una persona, anche nella stagione invernale ed all’interno della propria casa al mare possa indossare un abito leggero dopo aver dismesso quello pesante con il quale era inizialmente vestita (vds. sul punto pag. 4 della sentenza impugnata). Anche altri argomenti sono stati valorizzati dalla Corte per ribadire la linearità del racconto, amaro nella sua semplicità e soprattutto specchio fedele del tradimento subito da parte di una persona fidata: la descrizione della reazione a caldo della bambina denota l’attenzione della Corte verso particolari legati direttamente alla personalità della piccola vittima descritta come incapace di muovere accuse calunniose.

E tale genuinità viene evidenziata dalla Corte quale ulteriore segno della capacità della ragazzina di rendere testimonianza su un fatto che l’ha segnata per tanto tempo senza che il racconto sia stato caratterizzato da coloriture accentuate, tali da farlo ritenere il frutto di una fantasia troppo fervida.

Del resto la Corte ha escluso – sulla base delle conclusioni rassegnate dal perito – che la giovanetta fosse immatura (la difesa del ricorrente accenna ad una personalità borderline rifacendosi ad affermazioni della consulenza F. che tuttavia la Corte ha correttamente ritenuto non confliggenti con le conclusioni del perito) desumendo ciò anche delle modalità di emersione dell’abuso (avvenuto in modo del tutto casuale e distanza di tempo, a riprova di quei tentativi di rimozione dei quale la Corte ha pure fatto cenno (vds. pag. 3 della sentenza).

Anche la decisione della vittima di confidarsi con una amichetta prima che con la madre (alla quale rivelerà l’accaduto tempo dopo e con maggiore lucidità) nella consapevolezza di veder sminuiti i propri sensi di colpa, viene indicata dalla Corte, in modo logico, come segno di maturità e di indipendenza di giudizio.

Gli accenni fatti dalla difesa ad alcune espressioni adoperate dalla D.ssa F. non appaiono in questa sede fondati anche perchè sostanzialmente diretti a rivisitare con una lettura alternativa gli atti del processo, laddove la Corte aveva preso in esame l’operato dell’esperta comparandolo con quello del perito e dando poi una risposta totalizzante in termini assolutamente condivisibili.

La Corte ha, quindi, esaminato correttamente ed in modo completo i vari punti menzionati nel gravame, fornendo risposte adeguate e coerenti sia in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni della piccola vittima degli abusi, nel rispetto di quelle regole che governano la valutazione del teste-persona offesa minore vittima di abusi, sia in termini di esaustività del complessivo quadro probatorio.

Quanto al motivo incentrato sulla inadeguata motivazione in punto di determinazione della pena, le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale – che fanno leva sull’odiosità del fatto e sulla giovanissima età della vittima a mala pena bilanciate dalla giovane età ed incensuratezza dell’imputato – nessun vizio logico o insufficienza di argomentazioni è dato rinvenire. Ed anzi dall’intero tessuto motivazionale della sentenza traspare il convincimento della Corte che le modalità del fatto, pur a dispetto di un gesto contenuto nel tempo, per il loro livello di insidiosità e soprattutto odiosità in correlazione con sentimenti di fiducia traditi attraverso la pratica del gioco onde meglio carpire l’ingenuità della ragazzina, erano tali da non giustificare un trattamento ulteriormente mitigato, oltre quello già sin troppo tenue usato dal Tribunale.

Conclusivamente il ricorso va rigettato: segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al rimborso delle spese del grado sostenute dalla parte civile che si liquidano in complessivi Euro 1.500,00 oltre IVA e CPA.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al rimborso delle spese del grado sostenute dalla parte civile che si liquidano in complessivi Euro 1.500,00 oltre IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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