Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-02-2011) 31-05-2011, n. 21773 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 12 gennaio 2010 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Como resa in data 20 gennaio 2009 con la quale G.M., imputato dei reati di violenza sessuale e lesioni personali aggravate in pregiudizio di P.A., era stato ritenuto colpevole di detti reati e condannato alla complessiva pena di anni due e mesi sei di reclusione, riduceva, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche equivalenti, la pena a quella ritenuta di giustizia. Con la detta sentenza la Corte Territoriale disattendeva il motivo di appello proposto avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale con la quale era stata revocata l’audizione del teste D.A., precedentemente ammesso e la cui ammissione era poi stata revocata a seguito della mancata comparizione del teste all’udienza a ciò destinata.

La Corte territoriale respingeva, perchè infondate, le doglianze di merito con specifico riferimento alla assenza di prova (o sua incertezza) in ordine alla individuazione dell’imputato quale autore del fatto delittuoso, non mancando di evidenziare l’attendibilità delle testimonianze di altri soggetti che avevano avuto modo di riferire particolari utili sull’accaduto.

Disattendeva, in ultimo, le doglianze mosse con riguardo al trattamento sanzionatorio in punto di riconoscimento della continuazione tra i due reati, già negato dal Tribunale (stante l’assenza del medesimo disegno criminoso), ed accoglieva solo quella parte dell’appello riguardante la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ritenute comunque solo per il reato sub B).

Propone ricorso avverso la detta sentenza l’imputato a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione della legge processuale ( art. 468 c.p.p., comma 2) per avere la Corte confermato la validità dell’ordinanza del Tribunale con la quale era stata revocata la prova testimoniale, già ammessa (teste D.A.) per mancata presentazione del teste all’udienza fissata e violazione della norma di cui all’art. 603 c.p.p. per avere la Corte negato la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale volta a far riesaminare il teste revocato.

Sostiene, al riguardo, la difesa che nessuna rinuncia al teste vi era stata, così come nessuna adesione era stata prestata alla revoca, e che, in ogni caso, la mancata citazione del teste non poteva dirsi vincolante per il giudice ai fini della pronuncia di successiva inammissibilità della prova ex art. 507 c.p.p..

Quanto al denunciato vizio di cui all’art. 603 c.p.p. il ricorrente evidenzia l’errata applicazione dell’istituto, avendo la Corte giudicato irrilevante – contrariamente al Tribunale che la aveva almeno inizialmente ammessa – la prova richiesta ex art. 603 c.p.p. nel giudizio di appello.

Sotto tale profilo censura la motivazione del Tribunale anche con riguardo alla violazione dell’art. 507 c.p.p. dovendosi invece quella prova richiesta ritenersi decisiva.

I motivi del ricorso sono infondati.

La censura principale è rivolta esclusivamente alla intervenuta illegittima revoca dell’ordinanza ammissiva della prova testimoniale (esame del teste D.A.) che la Corte territoriale ha ritenuto, a torto, corretta.

Merita di essere ricordato – per come emerge dalla lettura della sentenza impugnata – che era stata la stessa parte che avrebbe dovuto curare la citazione del teste a discarico (regolarmente ammesso, in quanto in lista) a disinteressarsi di ciò.

Secondo quanto affermato dalla Corte territoriale, la revoca della ordinanza ammissiva era giustificata – pur non potendosi parlare di una vera e propria rinuncia alla prova – dalla duplice circostanza che non era ammissibile un diritto al rinvio del processo in conseguenza delle mancata comparizione del teste dovuto ad inerzia della difesa e che in ogni caso, melius re perpensa, il Tribunale aveva ritenuto quel teste non più decisivo in relazione ad un quadro probatorio ritenuto adeguato.

La relativa censura contenuta nel ricorso in esame, nei termini in cui viene prospettata, è comunque infondata.

Come già affermato in più occasioni da questa Corte, nella ipotesi in cui, ammessa la prova a discarico su richiesta di una parte, questa non provveda alla citazione, non occorre – nel silenzio delle altre parti – una ordinanza di revoca da parte del giudice del precedente provvedimento di ammissione, dovendosi quindi interpretare tale comportamento come implicita rinuncia alla prova: il che significa che la revoca in tanto è ammissibile, in quanto vi sia stata una inerzia da parte di chi quella prova aveva articolato e sollecitato (in termini, Cass. Sez. 4, 26.5.2006 n. 26775, Spera, Rv.

234579).

Detto questo, è stato anche più volte ribadito come la revoca, in assenza di contraddittorio, del teste in precedenza ammesso perchè non citato all’udienza dibattimentale, comporti una nullità a regime intermedio che, se non dedotta tempestivamente, viene sanata: con l’ulteriore conseguenza che il comportamento silente dalla parte che avrebbe diritto a far valere la nullità equivale a rinuncia (Così Cass. Sez. 3, 13.3.2010, n. 24302, L., Rv. 247878; Cass. Sez. 3, 26.11.2009 n. 8159, p.c. in proc. Panella, Rv. 246255).

Alla stregua di tali indicazioni la censura mossa va quindi respinta.

Ciò precisato, non vi sono neanche ragioni per censurare come violazione di legge il mancato espletamento da parte della Corte territoriale di una prova ritenuta decisiva, avendo sotto tale profilo la Corte prestato ossequio ai criteri ermeneutici disciplinanti l’istituto della rinnovazione parziale del dibattimento.

Invero solo laddove quella prova (che deve essere sopravvenuta e non preesistente e che deve possedere il requisito della assoluta decisività e/o indispensabilità) venga ritenuta assolutamente necessaria la Corte dovrà disporla dandone adeguato conto sotto il profilo argomentativi) (attesa l’eccezionalità dell’istituto) senza che vi sia uno specifico obbligo motivazionale laddove quella prova non si intenda ammettere, ovvero bastando anche una motivazione implicita (Cass. Sez. 3, 7.4.2010, n. 24294, D.S.B., Rv. 247872;

Cass. Sez. 5, 10.12.2009 n. 15320, Pacini, Rv. 246859; Cass. Sez. 6, 18.12.2006 n. 5782, Gagliano, Rv. 236064). Per completezza, va poi aggiunto che il provvedimento di rigetto è incensurabile in sede di legittimità laddove la struttura argomentativa della decisione di secondo grado si basi su elementi idonei e bastevoli per giustificare un giudizio di colpevolezza (Cass. Sez. 6, 21.5.2009 n. 40496, Messina ed altro, Rv. 245009).

Tali essendo i criteri interpretativi di riferimento, nel caso in esame la Corte ha fornito adeguata spiegazione delle ragioni della superfluità di tale prova, non solo richiamando quanto già osservato al riguardo dal Tribunale (seppure in un secondo tempo) circa l’assenza dei presupposti di cui all’art. 507 c.p.p., ma soprattutto – ed in modo del tutto autonomo – operando un compiuto ed articolato esame dei dati probatori acquisiti che giustificava il diniego della rinnovazione.

A tale proposito la Corte milanese ha ricordato: 1) il riconoscimento pressochè immediato della vittima nei riguardi del suo aggressore in aggiunta al fatto della non pregressa conoscenza di tale individuo;

2) l’estrema brevità di tempo intercorso tra il momento dell’allontanamento della coppia cliente-prostituta e quello dell’aggressione fisica culminata nelle lesioni; 3) le testimonianze delle "colleghe" di lavoro che, allarmate dal mancato rientro nella "zona" della loro "collega", si mettevano alla sua ricerca, rinvenendola pesta e dolorante sulla sede stradale e soccorrendola unitamente ai carabinieri frattanto allertati dalla stessa vittima;

4) la certificazione medica attestante le lesioni, coerentemente giungendo a quella conclusione negativa di cui si è testè detto.

Sotto altro profilo va esclusa la prospettata contraddittorietà in cui la Corte sarebbe incorsa, sia perchè tale giudizio non può essere riferito ad una contrapposizione tra una valutazione – magari criticabile – in cui possa essere incorso il Tribunale e la opposta decisione assunta dalla Corte di appello, sia soprattutto perchè, con autonomo ragionamento, la Corte ha correttamente e logicamente valutato la superfluità di quella prova, senza che possa rinvenirsi in simile decisione una illogicità manifesta, la sola deducibile in sede di legittimità.

Alla stregua di tali considerazioni il ricorso va rigettato.

Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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