Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 16-02-2011) 31-05-2011, n. 21771 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 19 ottobre 2009 la Corte di Appello di Firenze confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Lucca resa in data 18 marzo 2008 con la quale M.L., imputato del reato di violenza sessuale in pregiudizio del figlio minore infraquattordicenne M. S. (fatto commesso in epoca prossima al mese di (OMISSIS)), era stato ritenuto colpevole del detto reato e condannato alle pene ritenute di giustizia, nonchè al risarcimento del danno cagionato alla parte civile costituita.

In risposta ai motivi di appello costituiti, in via principale, dalla richiesta di assoluzione per assoluta incertezza del complessivo quadro probatorio e, in subordine, dalla richiesta di attenuazione della pena entro i limiti minimi, la Corte aveva: a) ritenuto particolarmente attendibili le dichiarazioni del minore perchè costanti, coerenti, precise e del tutto avulse da sentimenti di rivalsa o di rancore; b) ritenuto altrettanto significative e credibili le dichiarazioni della madre del minore, B.S., depositarla delle confidenze del figliolo, anche perchè non particolarmente enfatizzate; c) considerato prive di rilevanza – in quanto sostanzialmente "neutre" – le dichiarazioni di alcuni testi esterni al nucleo familiare dell’imputato ( L.S., prima moglie del M., D.P.M., psicologa presso la quale il minore era in cura; B.G.F., assistente sociale che aveva seguito l’andamento della famiglia nella fase acuta della separazione del M. dal coniuge); d) ritenuta assolutamente adeguata la pena alla estrema gravità dei fatti, anche in considerazione degli strettissimi rapporti di parentela tra imputato e persona offesa e delle negative ricadute sulla sua psiche. Con il proposto ricorso l’imputato deduce manifesta illogicità e vizio della motivazione, evidenziando come, oltre alle incertezze o contraddizioni evincibili dalle stesse dichiarazioni del minore, fossero stati trattati con criterio valutativo diverso, ritenuto del tutto ingiustificato, le dichiarazioni rese da soggetti "neutrali" (testi BE., D.P., BA. e L.) considerate, a torto, dalla Corte poco significative nell’economia della intera vicenda rispetto a quelle, che la Corte aveva, in modo altrettanto erroneo ritenuto altamente attendibili, rese da B.S. definita dall’imputato "interessata", oltre che in posizione estremamente conflittuale.

Deduce identico vizio motivazionale, stavolta riferito alla inattendibilità sia delle dichiarazioni del figlio minore persona offesa dal reato ( M.S.) sia delle dichiarazioni della ex moglie ( B.) in quanto caratterizzate da imprecisioni, contraddizioni interne ed esterne, animosità.

Ed in ultimo rileva come nessuno dei testi "esterni" al proprio nucleo familiare avesse mai notato atteggiamenti men che insidiosi sotto il profilo sessuale da parte del M. verso il figlio, insistendo anche sul fatto, trascurato dalla Corte, che dette persone non avevano mai assistito alle condotte abusanti, a suo dire, mai verificatesi.

I motivi a sostegno del ricorso sono manifestamente infondati.

Dalla sentenza impugnata si trae la seguente ricostruzione fattuale, peraltro operata in simbiosi con la sentenza di primo grado, puntualmente richiamata nei suoi passaggi più incisivi.

In occasione di una denuncia sporta a carico di suo marito (con il quale era in corso un giudizio di separazione) per violenza sessuale, B.S., mamma del piccolo S., aveva denunciato che il ragazzino, a partire da una certa data -indicata nel gennaio 2007, subito dopo le vacanze natalizie – aveva espresso alla mamma la sua ferma volontà di non vedere più il proprio genitore. Approfondito tale aspetto, anche perchè si era accorta di un certo turbamento nel comportamento del bambino tutte le volte che questi tornava dagli incontri con il padre, la donna aveva appreso dal figlio delle attenzioni sessuali rivoltegli a più riprese dal padre, nonchè di altre condotte assolutamente anomale in ambito sessuale (costrizione del minore ad assistere a films pornografici; masturbazioni in presenza del bambino; richieste sessuali rivolte al figliolo, rimaste tuttavia inascoltate per il rifiuto opposto dal minore). Da qui la denuncia anche di tali fatti che è poi sfociata nel procedimento in esame.

Va, anzitutto, doverosamente ricordato che lo scrutinio di legittimità operato sulla decisione impugnata va circoscritto in ambiti ben delimitati, essendo compito della Corte di Cassazione quello di verificare l’esistenza di un logico e complessivo apparato argomentativo riguardante i vari punti della decisione impugnata, senza alcuna possibilità di un controllo sulla adeguatezza o l’interferenza fattuale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito per sottolineare il proprio convincimento o la corrispondenza con il materiale probatorio acquisito al processo. Un’operazione, infatti, che si traducesse in una indagine riferita ai vari atti del processo non sarebbe per nulla in linea con i poteri della Corte che può solo intervenire, laddove la motivazione risulti del tutto assente ovvero manifestamente insostenibile sul piano logico ovvero ancora contraddittoria, sempre che tali vizi emergano visibilmente dal testo del provvedimento ovvero da altri atti espressamente indicati nei motivi a sostegno del ricorso. Ne consegue che resta esclusa la possibilità di sindacare le scelte compiute dal giudice in ordine alla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, a meno che anche in tale operazione non si rinvengano affermazioni apodittiche o illogiche (Cass. Sez. 3, 12.10.2007 n. 40542, Marrazzo, Rv. 238016).

Senza voler immorare oltre il consentito sul significato di concetti quali l’omessa motivazione (tale essendo sia quella mancante sia quella c.d. "apparente"); l’illogicità manifesta (tale essendo l’incoerenza palese percepibile ictu oculi) e la contraddittorietà (tale essendo una affermazione o un ragionamento uguale e contrario ad altro vertente sul medesimo punto), può senz’altro affermarsi che nessuno dei vizi denunciati traspare dalla lettura della sentenza ed anzi, che le censure sollevate sono palesemente prive di rilevanza.

Lettura che – come già cennato in apertura – va coordinata, specialmente laddove esistano richiami diretti alla decisione impugnata con l’atto di appello – con la sentenza di primo grado.

E’ noto, in proposito il principio in forza del quale la struttura motivazionale della sentenza di appello, laddove le pronunce di primo e di secondo grado risultino concordanti nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a base delle rispettive decisioni, si salda e si integra con quella precedente di primo grado (Cass. Sez. 2, 10.1.2007 n. 5606, Conversa e altri; Rv. 236181; Cass. Sez. 1, 26.6.2000 n. 8868, Sangiorgi, Rv. 216906; Cass. Sez. Un. 4.2.1992 n. 6682, Pm., p.c, Musumeci ed altri, Rv. 191229): con la conseguenza che è pienamente legittima da parte del giudice di secondo grado una motivazione per relationem, peraltro, nel caso di specie non esauritasi nel mero richiamo alla sentenza, già di per sè estremamente analitica, del Tribunale, ma estesa in modo specifico anche all’analisi dei vari profili prospettati dall’imputato con l’atto di appello.

La Corte ha, in particolare, esaminato correttamente ed in modo completo i vari punti menzionati nel gravame, fornendo risposte adeguate e coerenti sia in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni della piccola vittima degli abusi, nel rispetto di quelle regole che governano la valutazione del teste-persona offesa minore vittima di abusi, sia in termini di esaustività del complessivo quadro probatorio. E se sul versante dell’analisi della credibilità intrinseca del minore, la Corte ha mostrato particolare cura soffermandosi su alcuni aspetti considerati essenziali, come, in via esemplificativa, l’assenza di particolari caratterizzazioni negative per il padre (al di là ovviamente del narrato nella sua desolante e disarmante semplicità espressiva) per trarne la logica e coerente conseguenza della genuinità del racconto immune da suggestioni indotte da parte di terzi e – per quanto possa rilevare in questa sede per come a breve si dirà – della madre del bambino.

La Corte non si è limitata ad una analisi, come solitamente si verifica, incentrata in prevalenza sulla attendibilità intrinseca del minore abusato, ma ha esplorato altri campi di indagine effettuando, così, quella analisi circa l’esistenza di riscontri esterni, pur non necessaria nel caso di reati riguardanti violenze sessuali subite da minori.

Anche tale indagine, non di certo superficiale o frammentata, ha consentito alla Corte di delineare quella omogeneità del quadro probatorio in termini di certezza, avendo valorizzato, anche in questo caso in modo logico ed esaustivo, le dichiarazioni della B. e sgombrando però il campo da possibili dubbi in ordine alla credibilità delle sue accuse, ritenute conformi al vero e soprattutto calibrate in quanto esenti da specifiche asprezze o negative coloriture, denotanti possibili livori tali da farle apparire interessate o non genuine.

Vero è che il ricorrente ha particolarmente insistito su questo punto, etichettando come interessate le accuse di violenza sessuale mossegli dalla moglie con la denuncia iniziale e come superficiale e vuota di contenuti la motivazione data sul punto dalla Corte di merito.

Ma si tratta di censure senza alcun fondamento perchè riferite a circostanze comunque ininfluenti, non solo per quanto puntualmente osservato dalla Corte proprio sui rapporti conflittuali tra i due coniugi e sul senso di stupore (a tacer d’altro) della quale la B. era rimasta preda dopo le confidenze del figlio, ma anche perchè, con altrettanto convincente ragionamento, la Corte ha superato l’ostacolo (del tutto teorico) della avvenuta costituzione di parte civile come ulteriore elemento negativo di "interesse" contrapposto a quello dell’imputato, ancora una volta incrociando le dichiarazioni della signora con quelle, ex sè altamente credibili, del minore.

Anche le questioni sollevate dal ricorrente con riguardo alle testimonianze di soggetti esterni (nell’ordine: a) la prima moglie, della quale è stato ricordato l’accenno ad atteggiamenti violenti che la Corte ha poi giudicato coerenti con quel quadro di insieme di prevaricazione – emblematico quell’accenno alle tendenze manesche dell’imputato verso il figliolo in caso di rifiuto alla visione di filmini pornografici – desumibile agevolmente dalle stesse modalità delle violenze sessuali; b) la psicologa o l’assistente sociale che la Corte ha ricordato non avere mai percepito sensazioni circa possibili abusi sessuali compiti sul bambino nonostante le sue difficoltà espressive o il clima di aspra conflittualità familiare) appaiono prive di rilievo in modo manifesto.

Peraltro anche in questo caso la Corte non ha esitato a soffermarsi in modo specifico sugli atteggiamenti della piccola vittima, spiegando in modo convincente il suo modo di porsi di fronte a chi, adulto e deputato alla sua cura o assistenza, avrebbe avuto modo di percepire eventuali disturbi nel comportamento. Ovvio, poi, che la Corte non abbia dato rilievo alcuno alle testimonianze di tali soggetti in ordine a quei giudizi espresso in modo positivo sulla personalità del ricorrente, ritenendole del tutto irrilevanti e sostanzialmente "indifferenti". E’ sin troppo ovvio, su un piano logico, concludere che nelle vicende riguardanti abusi su minori commessi in ambito strettamente familiare ed al di fuori di sguardi od orecchie indiscrete, ben difficilmente quelle condotte possono valicare le mura domestiche, se non a prezzo di grandi sofferenze da parte della vittima o per circostanze del tutto fortuite.

Laddove tali condotte trovino la loro cassa di risonanza esclusivamente nella voce della vittima o di stretti congiunti (genitori, nonni, germani conviventi), è ad essa che bisogna conformarsi in quella verifica critica sulla attendibilità: gli altri testi chiamati in causa possono solo riferire circostanze generiche e mai in diretta connessione con i comportamenti abusanti.

Ulteriore corollario – della quale la Corte si è comunque fatta interprete – è che eventuali notizie apprese da testi estranei depositari di confidenze apprese dalla vittima o da stretti suoi congiunti, possono – ed anzi debbono – per come ricordato dalla Corte territoriale (pag. 5 della sentenza impugnata) essere esteriorizzate a chi sia preposto alla raccolta delle prove: circostanza che la Corte ha sottolineato in negativo, spiegando che se davvero tali persone – soprattutto la D.P. e la B. per il rispettivi ruoli istituzionali che rivestivano – fossero venute a conoscenza o anche solo avessero percepito il sospetto di possibili situazioni di abuso – lo avrebbero detto.

Il non averlo fatto è stato dalla Corte ritenuto indice di elevata credibilità del minore, del quale è stata sottolineata non solo la costanza e decisione del suo racconto ma anche la sofferenza (determinata dal dover accusare e dunque rinnegare l’affetto paterno) che lo avrebbe indotto a mantenere il segreto, salvo a rivelarlo alla mamma una volta superato il limite della tollerabilità e messo alle strette dalle domande pressanti, quanto doverose della mamma. Ovvio, in ultimo, che non può di certo pretendersi che i depositari delle confidenze di un minore abusato debbano essere anche testimoni oculari: con la conseguenza che deve rigettarsi la tesi prospettata dal ricorrente, ma in sè manifestamente illogica, di una scarsa attendibilità del c.d. "testimone indiretto". Delle dichiarazioni di costui dovrà, invece, tenersi conto proprio per quel rapporto diretto di stretta consequenzialità e contestualità con i fatti che è alla radice della sua deposizione, dovendo spesso qualificarsi questa come una sorta di voce esterna narrante, a patto, naturalmente, che l’indagine venga compiuta nel rispetto di quelle regole valutative della prova dichiarativa di cui si è in precedente discorso. Sempre con riferimento al denunciato vizio di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, il ricorrente non può limitarsi alla indicazione di atti del processo non correttamente o adeguatamente interpretati dal giudicante, essendo invece preciso onere – pena l’inammissibilità della impugnazione – individuare quegli elementi o dati probatori che risultano inconciliabili con la ricostruzione svolta nella sentenza e soprattutto indicare le ragioni per le quali l’atto asseritamente non esaminato comprometta la coerenza logica della motivazione (v. da ultimo, Cass. Sez. 6, 2.12.2010 n. 45036, Damiano, Rv. 249035).

Ma il ricorso, sotto questo profilo, si connota per una sostanziale ripetitività delle censure già mosse in sede di appello e puntualmente analizzate dalla Corte territoriale, persino in modo più penetrante rispetto a quanto fatto dal Tribunale, specialmente con riguardo alla valutazione del racconto del minore. Stante la manifesta infondatezza dei motivi il ricorso va dichiarato inammissibile. A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento della somma – ritenuta congrua – di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi in colpa il ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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