Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-01-2011) 31-05-2011, n. 21634 Misure cautelari

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Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 1 luglio 2010 il Tribunale di Torino, costituito ex art. 309 c.p.p., decidendo sulle impugnazioni riunite proposte da A.S.G., M.R., N.G. e T.N., ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere applicata in data 28 maggio 2010 dal G.i.p. dello stesso Tribunale nei confronti degli stessi, indagati per l’omicidio pluriaggravato di S.A. (classe (OMISSIS)), M. P. e St.An. (classe (OMISSIS)), avvenuto in (OMISSIS).

1.1. Il Tribunale argomentava la decisione, ritenendo l’infondatezza delle richieste difensive volte a contestare la sussistenza del quadro indiziario e delle esigenze cautelari, per essere significativi gli elementi indiziari a carico degli indagati e ricorrenti le esigenze cautelari.

Il dato di fatto di partenza, che era evidenziato nell’ordinanza, atteneva al contesto in cui era stato commesso il triplice omicidio, contestato agli indagati, e accertato in via definitiva con la sentenza che aveva condannato M.D., fratello di M.F., e L.G. per lo stesso triplice omicidio, voluto nell’ambito di una faida per vendicare l’assassinio di M.F., fratello di M.D. e M. R., avvenuto il (OMISSIS).

Definitive, in conseguenza del passaggio in giudicato di detta sentenza, erano anche le circostanze del viaggio fatto dalle tre vittime da (OMISSIS) per un incontro chiarificatore con i M., del loro ingresso nel pomeriggio del (OMISSIS) nella casa di M.D. a (OMISSIS), della loro immediata e definitiva scomparsa e della sussistenza di ulteriori responsabili oltre ai due imputati condannati con quella sentenza.

1.2. L’ordinanza ripercorreva l’analisi della vicenda condotta con l’ordinanza cautelare e il grave quadro indiziario a carico dei singoli indagati, fondato sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Ma.Ro., fratello di D., R. e F., ritenute intrinsecamente attendibili, coerenti con il contesto oggetto dell’accertamento definitivo nei confronti di M.D. e di L.G. e riscontrate dalla intercettazione ambientale dell’8 novembre 2007, nella quale M. D. aveva dichiarato di pagare per quanto fatto per la "dignità della famiglia", dai tabulati telefonici del periodo 2 maggio-14 giugno 1997, durante il quale il delitto era stato preparato ed eseguito, dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia V.R., che aveva raccolto le confidenze di M.D. in ordine allo stesso omicidio.

1.3. Il Tribunale, dopo aver esaminato la posizione dei singoli indagati e gli elementi individualizzanti di riscontro a loro carico e ripercorso le ragioni di doglianza delle difese sviluppate con le istanze di riesame, ha ritenuto:

– non condivisibili le argomentazioni difensive in ordine all’attendibilità del collaboratore Ma.Ro., all’autonomia delle sue dichiarazioni rispetto a quelle del collaboratore V.R., alle ragioni dallo stesso addotte per spiegare la propria scelta di collaborare con la giustizia e alle dedotte contraddizioni delle sue dichiarazioni;

– grave il quadro indiziario a carico di A.S.G., per la significatività dei contatti telefonici con M.D. e T.N. nelle ore precedenti il fatto, e non risultanti nei periodi precedenti e successivi, costituenti chiaro riscontro estrinseco alla chiamata in correità di Ma.Ro., corroborata dal suo legame con il mandante del triplice omicidio e dalle dichiarazioni rese dallo stesso A. nel corso del suo interrogatorio;

– grave il quadro indiziario a carico di M.R., per la fondamentale rilevanza della circostanza che, pochi giorni prima del fatto, era stato colto alla guida di un’auto, le cui caratteristiche (marca, modello e colore) non "confliggono" con quelle dell’auto vista nei pressi della casa di M.D. in occasione del triplice omicidio, e indicata, secondo il racconto di R.R. a persone ritenute attendibili nella già detta sentenza di condanna, nella disponibilità di persona coinvolta nel triplice omicidio e interessata all’eliminazione dello stesso R.. Il coinvolgimento nella vicenda di M.R., indicato dal fratello Ro. come colui che aveva sparato, era confermato, secondo l’analisi del Tribunale, dall’argomento logico che i fratelli di M. F. erano i veri interessati a volere la morte dei ritenuti responsabili, dal ruolo primario dallo stesso rivestito dopo la morte del fratello P. e la sottoposizione del fratello D. a un lungo periodo di detenzione, dalla intercettazione ambientale dell’8 marzo 2007, e dalla missiva del 25 aprile 2004 nella quale si indicava " R." come uno dei referenti della gestione del patrimonio già appartenente a M.P.;

– grave il quadro indiziario a carico di T.N., per la presenza di elementi aggiuntivi alla chiamata in reità di Ma.

R., rappresentati dalle comunicazioni telefoniche con A. S.G. nelle ore precedenti il fatto, dalla testimonianza di S.M. che gli aveva tra l’altro attribuito un ruolo nella raccolta delle informazioni per scoprire l’identità degli assassini di M.F. in occasione dell’attività preparatoria del triplice omicidio, dalla posizione dallo stesso rivestita nella cosca dei M., dall’incontro dallo stesso avuto con M.P. in carcere il giorno prima del triplice omicidio;

– grave il quadro indiziario a carico di N.G., destinatario di una telefonata fatta da T.N. subito dopo il fatto e durata venticinque secondi, in stretta e diretta connessione con il fatto appena consumato.

1.4. Le esigenze cautelari trovavano una base certa nella presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, applicabile nella specie sia in relazione ad una delle aggravanti contestate sia in relazione all’addebito di omicidio, e non travolta dalle deduzioni del solo A., che aveva eccepito il tempo trascorso dal fatto e la rottura dei rapporti con i coindagati, senza apportare alcun dato fattuale concreto.

2. Avverso detta ordinanza hanno proposto separati ricorsi per cassazione, tramite i rispettivi difensori di fiducia, A.S. G., M.R., e T.N..

2.1. A.S.G., che ha proposto ricorso per mezzo dell’avv. Mario Santambrogio, eccepisce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), con riferimento all’art. 125 c.p.p., art. 192 c.p.p., commi 1 e 1 bis, e art. 273 c.p.p., sul rilievo che le dichiarazioni, su cui è fondato il costrutto accusatorio, rese da Ma.Ro. a distanza di molto tempo dalle prime dichiarazioni, riguardano dati e circostanze apprese da altri ( M.R. e N.G.), non avendo lo stesso vissuto personalmente le fasi precedenti e concomitanti al delitto.

Nè il collaboratore, che non ha mai conosciuto il ricorrente e non l’ha identificato tra le foto mostrategli, ha riferito alcunchè in ordine al ruolo e alla condotta dello stesso in occasione del fatto omicidiario. Nè si è accertato se i soggetti, fonti delle notizie, abbiano detto il vero. Nè del ricorrente ha parlato il collaboratore V.R.. Nè i contatti tra le utenze dimostrano l’identità dei comunicanti, o il motivo della comunicazione, o rapporti di frequentazione o di amicizia tra i titolari delle utenze chiamanti, o, soprattutto, la loro connessione diretta, in termini di gravità indiziaria, con la condotta delittuosa contestata, o la conoscenza da parte del T. degli scopi finalistici della eventuale prestazione cui i contatti stessi siano stati, per indimostrata ipotesi, finalizzati.

Richiamati i principi normativi e giurisprudenziali quanto al livello probatorio necessario per il legittimo esercizio del potere cautelare, il ricorrente rileva, conclusivamente, che per l’assoluta inadeguatezza probatoria del "dictum del collaboratore" e degli "asseriti riscontri individualizzanti" e per la genericità dei riferimenti a esso ricorrente, fatti con sospetta tardività e senza riferimenti alle circostanze di apprendimento della sua condotta partecipativa al delitto, non sussiste in concreto la gravità indiziaria richiesta dall’art. 273 c.p.p..

2.2. M.R., che ha presentato ricorso per mezzo dell’avv. Francesco Lojacono, formula unico motivo di ricorso e deduce la violazione del combinato disposto dell’art. 192 c.p.p., comma 3, e art. 273 c.p.p., comma 1 bis, per erronea e/o inadeguata valutazione delle dichiarazioni accusatorie provenienti da imputato di reato connesso, e carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza.

Il ricorrente, in particolare, rileva che:

– le dichiarazioni, che integrano il quadro indiziario, rese a suo carico dal fratello Ma.Ro. riguardano dati e circostanze apprese, a dire dello stesso, da esso ricorrente e da N. G., indicati come partecipanti all’azione omicidiaria;

– il Tribunale del riesame non ha proceduto alla necessaria valutazione approfondita di tale fonte di prova, secondo i principi fissati in sede di legittimità, con riguardo:

– alla credibilità del dichiarante, con riferimento ai "conclamati" motivi di profondo astio dallo stesso nutriti nei suoi confronti, fonte dei propositi di vendetta sfociati nelle mosse accuse, e alle ragioni della scelta collaborativa;

– alla precisione, coerenza interna e ragionevolezza delle dichiarazioni, con riferimento al loro contenuto, alla collocazione del racconto nello scenario ricostruito nelle sentenze di condanna del fratello D. per lo stesso omicidio, alla mancata risposta su interrogativi della vicenda rimasti irrisolti, alle divergenze con il racconto di V.R., alle numerose insanabili contraddizioni del racconto, alla elencazione diluita nel tempo dei pretesi partecipanti all’azione omicidiaria;

– ai riscontri oggettivi esterni di portata individualizzante, non identificabili con l’argomento logico evidenziato in ordinanza, costituito dal ruolo primario che esso ricorrente avrebbe ricoperto nell’ambito del "clan" familiare, non direttamente e non necessariamente inferente con la partecipazione all’azione omicidiaria e con la responsabilità "da posizione", nè con gli ulteriori elementi indicati in ordinanza (le stesse parole del dichiarante, una "non meglio precisata" intercettazione ambientale, una lettera "di incerta provenienza" prodotta in udienza dal Pubblico Ministero) e contestati, nè con le "forzature" nella ricostruzione del dato processuale afferente all’auto su cui era il ricorrente quando è stato controllato il (OMISSIS) e alla sua corrispondenza con l’auto indicata da S.M. e R. E. de prelato, per averlo appreso dal fratello di quest’ultima, deceduto, come notata il giorno dell’omicidio nei pressi dell’abitazione di M.D.).

2.3. T.N. ha proposto due ricorsi per cassazione.

2.3.1. Con il primo ricorso, presentato per mezzo dell’avv. Lojacono, il ricorrente deduce, sulla base di unico motivo, violazione del combinato disposto dell’art. 192 c.p.p., comma 3, e art. 273 c.p.p., comma 1 bis, per erronea e/o inadeguata valutazione delle dichiarazioni accusatorie provenienti da imputato di reato connesso e carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla valutazione dei gravi indizi di colpevolezza.

Il ricorrente, in particolare, rileva che:

– le dichiarazioni accusatone, che integrano il quadro indiziario, rese a suo carico dal fratello Ma.Ro. riguardano dati e circostanze apprese, a dire dello stesso, da esso ricorrente e da N.G., indicati come partecipanti all’azione omicidiaria;

– il Tribunale del riesame non ha proceduto alla necessaria valutazione approfondita di tale fonte di prova, secondo i principi fissati in sede di legittimità, con riguardo:

– alla precisione, coerenza interna e ragionevolezza delle dichiarazioni, con riferimento al loro contenuto, alla collocazione del racconto nello scenario ricostruito nelle sentenze di condanna del fratello D. per lo stesso omicidio, alla mancata risposta su interrogativi della vicenda rimasti irrisolti, alle divergenze con il racconto di V.R., alle numerose insanabili contraddizioni del racconto, alla elencazione diluita nel tempo dei pretesi partecipanti all’azione omicidi aria;

– ai riscontri oggettivi esterni di portata individualizzante, non identificabili:

– con l’argomento logico evidenziato in ordinanza, costituito dalla posizione di rilievo che esso ricorrente (incensurato), in base alle dichiarazioni di S.M., avrebbe avuto nella cosca dei M. (frutto, peraltro, di palese travisamento del dato processuale), e al colloquio avuto, in carcere, con il cognato M.P., il giorno prima del triplice omicidio, e integrante un dato non direttamente e necessariamente inferente con la partecipazione all’azione omicidiaria;

– con l’esistenza di tabulati telefonici attestanti contatti tra esso ricorrente e gli altri coindagati, tra i quali A.S., e la sua presenza in V., riscontrando tali dati i contatti tra persone imparentate, abitanti nello stesso territorio e, comunque, in stretti rapporti di conoscenza, e la sua residenza nell’indicato comune.

2.3.2. Con il secondo ricorso, presentato a mezzo dell’avv. Enrico Bucci, T.N. censura l’ordinanza del Tribunale del riesame, nelle parti e nei capi afferenti alla ritenuta sussistenza di un quadro indiziario grave, e formula due motivi di impugnazione.

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 273 c.p.p. per avere l’ordinanza impugnata erroneamente ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, sia per motivazione erronea e mancante, in ordine alla piena sussistenza nelle dichiarazioni di Ma.Ro. dei requisiti di idoneità della chiamata di correo, sia per motivazione erroneamente applicativa dell’art. 238 bis c.p.p. in ordine ai criteri di valutazione delle sentenze agli atti, passate in giudicato, sia per motivazione erronea e illogica con riferimento agli effetti sul valore della chiamata in reità di Ma.Ro. dei riconosciuti contrasti con le dichiarazioni del collaboratore V.R..

Sviluppando le stesse argomentazioni svolte con l’altro ricorso, in ordine al carattere de relato delle dichiarazioni del collaboratore M., poste nell’ordinanza impugnata alla base della ricostruzione del quadro indiziario, il ricorrente censura il percorso valutativo seguito dal giudice per effettuare il controllo sulle fonti di confidenza del collaboratore quanto ai rapporti tra questi, relatore indiretto, e i relatori diretti e alla verosimiglianza della confidenza anche in ordine al suo momento genetico.

La censura svolta attiene anche alla coerenza, ritenuta dall’ordinanza, con la quale le dichiarazioni del collaboratore si sono inserite nel contesto oggetto dell’accertamento definitivo delle responsabilità per lo stesso triplice omicidio, rilevandosi la mancanza di novità delle dichiarazioni rispetto alle già sussistenti emergenze, che per essere acquisizioni processuali avrebbero dovuto trovare riscontro nelle dichiarazioni del collaboratore, sulla base dei principi di valutazione delle sentenze irrevocabili acquisite al procedimento.

Secondo il ricorrente, la carenza e la contraddittorietà dell’apparato motivazionale dell’ordinanza è evidente anche con riguardo alla coerenza, ritenuta dal Tribunale, delle dichiarazioni etero-accusatorie del collaboratore con uno scenario processuale, la cui notorietà e conoscibilità da parte dello stesso ne escludono il carattere di riscontro, sul piano qualificatorio, e l’autonomia, sul piano valutativo; e con riguardo alla valenza probatoria delle dichiarazioni di V.R., le cui divergenze, da esaminarsi con riferimento non solo alla storicità delle dichiarazioni, ma anche al loro aspetto soggettivo, incidono sulla credibilità soggettiva di Ma.Ro., e la cui analisi più approfondita era imposta dalla identificazione della fonte delle sue conoscenze de relato con M.D., già condannato quale partecipe al plurimo omicidio.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 3, anche con riferimento alla illogicità e alla mancanza di sufficiente motivazione sul punto della individuazione e della qualificazione come tali degli elementi di riscontro individualizzanti.

In particolare, si evidenzia che gli elementi, indicati come riscontri esterni individualizzanti alla chiamata in reità nei confronti del ricorrente, erano già conosciuti prima dell’inizio della collaborazione di Ma.Ro. per essere stati acquisiti nell’ambito del processo principale contro M.D. e L.G., e si contesta il carattere di riscontro individualizzante riservato ai tabulati telefonici relativi al periodo compreso tra il 2 maggio 1997 e il 14 giugno 1997, avuto riguardo alla genericità dei contatti e alla loro non univocità;

alla individuazione di T.N., effettuata da S. di M. in modo del tutto ipotetico, e alla testimonianza di S.M., non riferita, tuttavia, a T.N. ma al fratello T.A., detto (OMISSIS).

3. A.S.G. ha depositato motivi nuovi ai sensi dell’art. 311 c.p.p., comma 4, in occasione dell’odierna udienza camerale, evidenziando che l’ordinanza impugnata ha travisato le risultanze processuali nel passaggio motivazionale in cui ha fatto risalire a qualche ora prima del delitto i contatti telefonici tra esso ricorrente e M.D., risalenti, invece, al 31 maggio 1997, giorno precedente il triplice omicidio.
Motivi della decisione

1. I ricorsi sono fondati.

2. Deve premettersi che le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio prognostico di "elevata probabilità di colpevolezza", tanto lontano da una sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure presuntivo, poichè di tipo "statico" e condotto, allo stato degli atti, sui soli elementi già acquisiti dal pubblico ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte Cost., sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent. n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).

La specifica valutazione prevista in merito all’elevata valenza indiziante degli elementi a carico dell’accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori garanzie per la libertà personale e a sottolineare l’eccezionalità delle misure restrittive della stessa.

Il contenuto del giudizio da farsi da parte del giudice della cautela è evidenziato anche dagli adempimenti previsti per l’adozione dell’ordinanza cautelare. L’art. 292 c.p.p., come modificato dalla L. n. 332 del 1995, prevedendo per detta ordinanza uno schema di motivazione vicino a quello prescritto per la sentenza di merito dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), impone, invero, al giudice della cautela sia di esporre gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, di indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti e di giustificare l’esito positivo della valutazione compiuta sugli stessi elementi a carico, sia di esporre le ragioni per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa, e comunque a favore dell’accusato (comma 2, lett. c) e c bis).

2.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono di per sè a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv.

202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999, Capriati e altro, Rv. 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000, Dascola, Rv. 217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511).

A norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per l’adozione di una misura cautelare personale si applicano, tra le altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F, n. 31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n. 29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n. 36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del 04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601).

Si è, al riguardo, affermato che, se la qualifica di gravità che deve caratterizzare gli indizi di colpevolezza attiene al quantum di "prova" idoneo a integrare la condizione minima per l’esercizio, sulla base di un giudizio prognostico di responsabilità, del potere cautelare, e si riferisce al grado di conferma, allo stato degli atti, dell’ipotesi accusatoria, è problema diverso quello delle regole da seguire, in sede di apprezzamento della gravità indiziaria ex art. 273 c.p.p., per la valutazione dei dati conoscitivi e, in particolare, della chiamata di correo (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, dep. 31/10/2006, P.G. in proc. Spennato, Rv. 234598).

Relativamente alle regole da seguire, questo Collegio ritiene che, alla stregua del condivisibile orientamento espresso da questa Corte, dell’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il richiamo alle regole di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un espresso limite legale alla valutazione dei "gravi indizi".

Con specifico riferimento alla chiamata di correo, l’indicata norma richiede, infatti, che tale elemento conoscitivo per valere quale grave indizio di colpevolezza deve essere apprezzato nella sua attendibilità intrinseca (avuto riguardo alla personalità di coloro che rendono le dichiarazioni, alle loro condizioni socio-economiche e familiari, al loro passato, ai loro rapporti con gli accusati, alla genesi remota e prossima della scelta processuale compiuta, alle caratteristiche di precisione, coerenza, costanza, spontaneità), e nella sua capacità dimostrativa e persuasività probatoria per mezzo dei riscontri esterni individualizzanti, inerenti alle modalità oggettive del fatto descritto dal chiamante e soggettivamente indirizzati, coerentemente agli "effetti rigorosamente ad personam" del provvedimento cautelare al quale la valutazione è strumentale, fermo restando che detta valutazione, avvenendo nel contesto incidentale del procedimento de liberiate e, quindi, come già detto, allo stato degli atti, sulla base di materiale conoscitivo ancora in itinere, deve essere orientata ad acquisire non la certezza, ma l’elevata probabilità di colpevolezza del chiamato (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, dep. 31/10/2006, P.G. in proc. Spennato, Rv. 234598, citata).

E’ ritenuto, tra l’altro, pacifico che il riscontro possa consistere in altre chiamate in correità, che, per poter essere reciprocamente confermative, devono mostrarsi indipendenti, convergenti in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione e specifiche: la convergenza del molteplice deve cioè essere individualizzante nel senso che le plurime dichiarazioni accusatorie, pur non necessariamente sovrapponibili, devono confluire su fatti che riguardano direttamente sia la persona dell’incolpato sia le imputazioni a lui attribuite.

Ne discende che le dichiarazioni de relato, aventi ad oggetto la rappresentazione di fatti noti al dichiarante per averli appresi da terzi, per valere quale grave indizio ed essere significative devono essere sottoposte a più rigoroso controllo di verifica dell’attendibilità, sul piano intrinseco ed estrinseco, sia del dichiarante diretto che di quello indiretto.

2.2. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331).

Il detto limite del sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare "in concreto" la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019).

Peraltro, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in tema di misure cautelari, "l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma il provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale provvedimento, di tal che l’ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni addotte a sostegno dell’altro" (Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008, Beato, Rv. 238903; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998, Panebianco R., Rv. 212685).

2.3. Secondo un orientamento costante di questa Corte, formatosi in tema di accertamento della responsabilità penale, e applicabile con le già indicate cautele, dovute al diverso grado di conferma dell’ipotesi accusatola, nell’accertamento incidentale de libertate, il movente non è elemento di prova autosufficiente, ma è criterio di valutazione e chiave di lettura, potenzialmente anche decisiva, dell’insieme degli indizi raccolti, ai quali attribuisce il connotato della univocità, costituendo fattore di coesione degli stessi e diventando, di conseguenza, un elemento utile allo svolgimento del percorso logico diretto a riconoscere valenza probatoria agli altri indizi acquisiti (tra le altre, Sez. 1 n. 685 del 14/12/1995, dep. 22/01/1996, Savasta, Rv. 203798; Sez. 1, n. 11807 del 12/02/2009, dep. 18/03/2009, Gatti, Rv. 243485).

Con particolare riferimento al mandato a commettere un omicidio, l’applicazione del detto principio ha portato a rilevare che la "causale" può costituire elemento di conferma del coinvolgimento nel delitto del soggetto interessato all’eliminazione fisica della vittima quando converge, per la sua specificità ed esclusività, in una direzione univoca. Tuttavia, poichè essa rimane una prova logica che conserva, per sua natura, un margine di ambiguità, la sua valenza rafforzativa degli elementi positivi di prova della responsabilità, dal quale poter inferire logicamente, sulla base di regole di esperienza consolidate e affidabili, l’esistenza del fatto incerto (cioè la possibilità di ascrivere il crimine al mandante), richiede che, all’esito dell’apprezzamento analitico di ciascuno di essi e nel quadro di una valutazione globale di insieme, gli indizi, anche in virtù della chiave di lettura offerta dal movente, si presentino chiari, precisi e convergenti per il loro univoco significato, così da potere plausibilmente escludere ogni alternativa spiegazione che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile (Sez. 6, n. 4668 del 28/03/1995, dep. 27/04/1995, Layne e altri, Rv. 201152; Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, dep. 24/11/2003, P.G., Andreotti e altro, Rv. 226094; Sez. 1, n. 4652 del 21/10/2004, dep. 08/02/2005, P.G. in proc. Sala ed altri, Rv. 230873; Sez. 1, n. 14182 del 30/03/2010, dep. 14/04/2010, P.G. in proc. Piromalli, Rv.

246752).

3. Procedendo, quindi, alla concreta verifica di legittimità della pronuncia impugnata la Corte osserva che il convincimento manifestato dal Tribunale del riesame di Torino, circa la sussistenza a carico dei ricorrenti di gravi indizi di colpevolezza, non esprime in modo logicamente coerente e completo le ragioni giuridicamente significative che hanno determinato l’espresso giudizio prognostico di qualificata probabilità della responsabilità degli stessi ricorrenti con riguardo ai reati ascritti, alla luce degli indicati principi.

Le incongruenze delle argomentazioni e le lacune motivazionali, che emergono dal testo dell’ordinanza e che incidono sul discorso motivazionale nella stessa svolto, appaiono, invero, tali da non far emergere il livello di gravità indiziaria raggiunto e da rendere ragionevole il giudizio prognostico da compiersi nella fase de libertate.

4. Stando al provvedimento impugnato, costituiscono grave indizio di colpevolezza dei tre odierni ricorrenti (oltre che di N. G. e di P.G.) in ordine al triplice omicidio di S.A. (classe (OMISSIS)), M.P. e St.An. (classe (OMISSIS)), agli stessi contestato, le dichiarazioni di Ma.Ro., fratello dell’indagato M. R., e indagato del reato di distruzione dell’auto di M. P., in quanto traccia del delitto di tentato omicidio, e a questo connesso ai sensi dell’art. 12 c.p.p., lett. c).

Tali dichiarazioni sono, per affermazione dello stesso M., de relato rispetto a M.R. e a N.G., che, indagati per la vicenda omicidiaria e sottoposti alla misura cautelare della custodia in carcere, hanno presentato la richiesta di riesame, rigettata per entrambi con l’ordinanza oggetto del ricorso per cassazione del primo in questo procedimento (relativo anche a A.S.G. e a T.N.).

4.1. La tenuta logica del discorso motivazionale in merito all’attendibilità di M.R. si manifesta già prima facie lacunosa.

Il Tribunale, che ha illustrato, in premessa, le ragioni di attendibilità del dichiarante espresse dal G.i.p. e ha precisato di fare esplicitamente propria l’ordinanza dallo stesso emessa per gli aspetti che non avrebbe trattato, al fine di limitare le sue valutazioni agli aspetti oggetto delle doglianze difensive, ha posto l’accento, nell’escludere la condivisibilità delle argomentazioni proposte dalle difese in punto attendibilità del dichiarante, sulle "caratteristiche" dello stesso riferite dalla cognata S. M..

Le dichiarazioni di quest’ultima, di carattere generico, relative al ruolo marginale del M. nel "gruppo dedito a varie attività criminose" e alla posizione di persona informata e partecipe a tali attività e insieme distaccata dalle stesse, sono state ritenute dal Tribunale tali che, per effetto di esse, "non stupisce" la mancata partecipazione diretta dello stesso al triplice omicidio, nè la mancanza di intensi contatti telefonici come per gli indagati, nè la sua partecipazione all’attività preparatoria con l’allontanamento delle "mogli" e quella successiva manifestatasi con il concorso nella distruzione dell’auto utilizzata da una delle vittime, M. P., per recarsi all’appuntamento a (OMISSIS), nè la circostanza che sia stato subito informato dell’accaduto.

Tali rilievi di carattere generico e assertivo non sono stati correlati, con evidente incidenza negativa sulla tenuta logica della motivazione, alle dichiarazioni, pure riportate, dello stesso M. che ha riferito che avrebbe dovuto prendere parte al triplice omicidio, sia pure senza un ruolo preciso, e che non vi ha partecipato perchè, essendo in giro per V., non era stato trovato da N.G., dal quale era stato tuttavia trovato dopo il fatto, tanto che insieme avevano distrutto l’auto del M., nè con la dichiarazione fatta dal predetto in altro interrogatorio, e pure riportata, in merito alla non conoscenza da parte sua del giorno fissato per l’agguato.

4.2. Affetta da errori logici è la motivazione dell’ordinanza anche nella parte relativa alla verifica dell’autonomia delle dichiarazioni rese da Ma.Ro. rispetto a quelle rese da V.R. e ai dati acquisiti nel corso del processo definito per lo stesso triplice omicidio nei confronti di M.D. e L. G..

4.2.1. Quanto al primo aspetto si è detto nei ricorsi proposti da M.R. e T.N. che, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza, non si era dedotto che Ma.Ro. aveva strutturato la sua collaborazione sulle dichiarazioni di V., essendo stato, invece, evidenziato nelle istanze di riesame che lo stesso Ma.Ro. aveva affermato di avere appreso dalla lettura di un quotidiano dell’esistenza di un foglietto con il nome dei presenti nel luogo in cui era stato ucciso M. F., e che il V. nulla aveva detto sugli altri partecipanti al fatto omicidiario oltre a quanto dichiarato su M.D., sua fonte di conoscenza, già condannato in via definitiva per detto fatto, ribadendosi, poi, in entrambi i ricorsi le mancanti o contraddittorie, valutazioni da parte del Tribunale sulle divergenze tra i due collaboratori e sul significato da attribuire alle stesse.

Deve convenirsi che sussistono le dedotte lacune motivazionali.

Il Tribunale nella parte motiva, esaminando i motivi di doglianza, ha fatto, infatti, riferimento all’autonomia delle dichiarazioni di Ma.Ro., rispetto a quelle di V.R., per la mancata produzione delle copie dei giornali che avrebbero pubblicato il contenuto delle propalazioni del secondo e per il mancato allineamento di Ma.Ro. alle dichiarazioni di V., ritenuto sintomatico della non conoscenza di queste ultime, che, ove conosciute, sarebbero state utilizzate per creare un riscontro alla propria attendibilità, o ignorate, o non utilizzate per fare riferimento esclusivo alle proprie fonti di conoscenza.

In tal modo, non solo non solo non si è espressa alcuna valutazione sulla credibilità e attendibilità del V., ma vi è stata omessa valutazione delle convergenze e delle divergenze tra i due racconti, del significato delle stesse in rapporto alle fonti di conoscenza, dei rapporti tra i dichiaranti e i confidenti e delle ragioni delle esternazioni da parte dei secondi ai primi, tanto più necessaria avuto riguardo alla posizione processuale delle fonti, essendo già accertata in via definitiva la partecipazione al plurimo omicidio di M.D., fonte delle conoscenze de relato del V., e non potendo M.R. e N.G., fonti di conoscenza di Ma.Ro. e sottoposti ad indagini, essere chiamati a rendere dichiarazioni che possano pregiudicare la loro posizione.

4.2.2. Quanto al secondo aspetto, attinente alla verifica dell’autonomia delle dichiarazioni rese da Ma.Ro. rispetto ai dati acquisiti nel corso del processo definito nei confronti di M.D. e L.G., non risulta dall’ordinanza una verifica concreta delle questioni prospettate in ordine alla collocazione delle dichiarazioni nello scenario configurato dalle sentenze rese in detto procedimento.

Il solo passaggio relativo alla coerenza dell’inserimento delle dichiarazioni nel contesto oggetto dell’accertamento definitivo, affermata dal G.i.p., non soddisfa l’obbligo motivazionale del Tribunale, dovendo lo stesso espletarsi sulle censure svolte, come peraltro dallo stesso ritenuto, quando – a livello metodologico – ha chiarito che per gli aspetti oggetto di espressa doglianza difensiva non valeva l’integrale ed esplicito richiamo all’ordinanza.

4.3. Un approfondimento su tale ultimo aspetto si imponeva per le peculiarità della chiamata in reità e delle vicende che hanno caratterizzato gli accertamenti delle responsabilità.

La chiamata in reità di Ma.Ro. è una chiamata intrinsecamente ad alto rischio proveniente da soggetto che in qualche modo ha partecipato al processo, che ha portato alla condanna definitiva del fratello per il triplice omicidio, del quale lo stesso dichiarante ha detto che si parlava continuamente in famiglia.

Questo significa che, dovendo la conoscenza essere riferita ai fatti e non alle conoscenze, si imponeva la verifica rigorosa, sollecitata con i proposti ricorsi, dell’origine e della causale delle conoscenze, della loro collocazione temporale, del loro livello di approfondimento e dei rapporti tra le fonti.

4.4. Lacune motivazionali sussistono anche in ordine all’espresso giudizio di attendibilità intrinseca di Ma.Ro., la cui verifica doveva tener conto dei parametri indicati da questa Corte, e rapportati alla concreta analisi della genuinità della chiamata e del disinteresse del chiamante, alla quale non erano da ritenere estranee la valutazione approfondita della presenza di motivi di contrapposizione e di contrasto con le persone accusate, incidente sul grado di attendibilità delle dichiarazioni, nè la valutazione della tardività delle dichiarazioni rispetto all’accadimento dei fatti (circa dodici anni) e del loro aggiustamento nel tempo (a partire dal 17 marzo 2009 e fino al 21 settembre 2009), nè la verifica dell’influenza di diverse fonti sull’ampiezza degli argomenti riferiti.

5. Le argomentazioni svolte nell’ordinanza manifestano la loro limitatezza anche quando si passa alla loro verifica in rapporto alla individuazione dei riscontri esterni di carattere individualizzante, riferiti alle singole posizioni.

5.1. Quanto al ricorrente A.S.G., il Tribunale ha richiamato per la loro significatività i contatti telefonici dello stesso con M.D. e T.N. nelle ore precedenti il fatto, ponendo gli stessi, per gli interlocutori, gli orari, la durata e l’assenza di plausibile spiegazione alternativa, in connessione diretta con il fatto criminoso e in riscontro estrinseco delle dichiarazioni di Ma.Ro., che ha riconosciuto al predetto un importante legame con M. P., mandante del triplice omicidio.

E’ mancato tuttavia un approfondimento sia sulla chiamata in reità del M. nei confronti del ricorrente, sia sulla connessione – in termini di gravità indiziaria – dei contatti, non ulteriormente specificati, con la contestata condotta partecipativa al delitto.

5.2. Quanto al ricorrente M.R., il Tribunale ha ritenuto di fondamentale rilevanza, al fine del coinvolgimento dello stesso nella vicenda omicidiaria, due circostanze in particolare:

l’una attinente al problema dell’auto, alla cui guida il ricorrente era stato "colto" pochi giorni prima del fatto, le cui caratteristiche non erano confliggenti con la descrizione dell’auto, che era nei pressi della casa di M.D. quando vi era stato il triplice omicidio, e la cui disponibilità era "certamente" riferita, sulla base di quanto rappresentato dal R. a persone ritenute attendibili con sentenza definitiva, a soggetto coinvolto nell’azione delittuosa e interessato a cagionare la morte dello stesso R.;

l’altra fondata sull’argomento logico che i fratelli di M. F. erano i veri interessati a volere la morte dei ritenuti responsabili della morte dello stesso.

In ordine alla prima circostanza, che lo stesso Tribunale ha ritenuto bisognosa di ulteriori accertamenti, l’argomentazione dell’ordinanza che si è basata sulle dichiarazioni de relato di S.M. e di R.E., che hanno riferito quanto appreso da R. R. poi deceduto, si presenta incompleta e illogica nella ricostruzione delle ragioni che hanno portato le predette a diversamente esprimere il colore del veicolo e il Tribunale a ritenere sufficiente una valutazione di non confliggenza delle caratteristiche dell’auto, notata dal confidente il giorno del triplice omicidio, con quella condotta dal ricorrente alcuni giorni prima del fatto.

Riguardo alla seconda circostanza, l’ordinanza, che ha individuato nell’indicato argomento logico una fonte di piena legittimità del coinvolgimento del M., ha illogicamente ritenuto che il movente avesse una sua valenza indiziaria piuttosto che essere elemento catalizzatore della valenza degli altri elementi indiziari e fattore di coesione degli stessi, quale prova logica che raccorda il quadro indiziario, se sussistente.

Nel momento stesso in cui si escludono alcuni dei componenti del clan familiare, che si è detto, con argomento logico, essere interessato a vendicare la morte di M.F. la prova logica viene meno ed è necessario tener conto della sufficienza degli ulteriori elementi indiziari.

5.3. Quanto al ricorrente T.N., il Tribunale ha ritenuto di valenza indiziaria, in aggiunta alla chiamata in reità da parte di Ma.Ro., le comunicazioni telefoniche dello stesso con A.S.G. nelle ore precedenti il fatto, la testimonianza di S.M. e la posizione dallo stesso rivestita nella cosca dei M., risultante dalla deposizione della S. e dall’incontro dallo stesso avuto il giorno prima dei fatti con M.P. in carcere.

Anche con riguardo a tale posizione, è mancato un approfondimento sia sulla chiamata in reità del M. nei confronti del ricorrente, sia sulla connessione dei contatti, non ulteriormente specificati, in termini di gravità indiziaria con la contestata condotta delittuosa, oltre alla verifica della individualizzazione del ruolo nella cosca in rapporto alla medesima condotta.

A ciò si aggiunge che la deposizione della teste S. (nel processo contro M.D. e L.G. e, in seguito, a sommarie informazioni il 10 dicembre 2009) non risulta logicamente valutata in relazione al riconoscimento del ricorrente, dalla stessa effettuato sulla base della descrizione, non ulteriormente specificata, fattane dal R..

Le modalità di tale riconoscimento, il carattere non certo del suo risultato e l’omessa collocazione temporale del racconto del confidente e del dichiarante, imponevano una più approfondita verifica di detta circostanza e di quelle ulteriori riferite, e, in particolare, della deposizione della stessa S. nella parte relativa alla identificazione con il ricorrente, e non con altri, della persona titolare di un ruolo nell’attività preparatoria del triplice omicidio.

6. L’aver trascurato, con motivazione inadeguata, la valutazione dei profili di credibilità e attendibilità intrinseca di Ma.

R. e V.R., anche in rapporto ai tempi delle loro dichiarazioni, e la sussistenza, l’affidabilità e la tenuta dei riscontri esterni di carattere generico e soprattutto di quelli individualizzanti attinenti alla partecipazione degli indagati al fatto contestato, con il ruolo per essi delineato, ha determinato lacune motive ed ha fondato argomentazioni incongrue, incidenti anche su altri elementi assertivamente indicati come indizi gravi convergenti sul piano accusatorio.

7. L’ordinanza impugnata deve essere, quindi, annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Torino che, in coerenza con quanto rappresentato, dovrà, in piena libertà di giudizio ma con motivazione completa e immune da vizi logici, riconsiderare la vicenda cautelare di A.S.G., M.R. e T.N..

La Cancelleria provvedere all’adempimento di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Torino.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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