Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-05-2011) 01-06-2011, n. 21830 Lettura di atti, documenti, deposizioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Napoli, con sentenza in data 25.10.2010.confermava la sentenza del Tribunale di Napoli, in data 8/2/2010, appellata da V.M., dichiarato colpevole di rapina aggravata ai danni di T.M., per essersi impossessato, dopo aver costretto la parte offesa a salire su un veicolo condotto dallo stesso, della borsa della parte offesa, contenente due telefoni cellulari e Euro 700 e condannato, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena di anni tre di reclusione e Euro 600 di multa.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) violazione di legge in mancanza di identificazione della querelante, dichiarata irreperibile senza disporre le preventive ricerche sul territorio nazionale;

b) mancanza o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla erronea valutazione dei mezzi di prova e, in particolare, con riguardo alla valutazione delle dichiarazioni del teste Z. P., non attinenti ai fatti del processo.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Nel caso in cui la persona offesa dal reato si sia resa irreperibile dopo la presentazione della denuncia-querela, questa Corte ha statuito, con valutazione condivisa dal Collegio, che nei casi in cui, per circostanze o fatti imprevedibili, risulti impossibile la testimonianza dell’autore della denuncia-querela, l’art. 512 c.p.p., consente la lettura, a richiesta di parte, di quest’ultima non soltanto per valutare l’esistenza della condizione di procedibilità, ma anche per utilizzarne il contenuto ai fini della prova, poichè fra gli atti "assunti" dalla polizia giudiziaria o dal Pubblico Ministero rientrano anche quelli semplicemente "ricevuti" dalle predette autorità (Sez. 2, Sentenza n. 9168 del 06/11/2007 Ud. (dep. 29/02/2008) Rv. 239804) Sulla base di questa puntualizzazione, va ribadito, come da costante insegnamento di questa Corte che le dichiarazioni del soggetto offeso dal reato – in tema di valutazione della prova – possono essere poste a base del convincimento del giudice anche se costituiscano l’unica fonte di accertamento del fatto e manchino riscontri esterni.

A tali dichiarazioni, invero, non si applicano le regole di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che riguardano le propalazioni dei coimputati del medesimo reato o di imputati in procedimenti connessi o di persone imputate di un reato collegato e che presuppongono l’esistenza di altri elementi di prova unitamente ai quali le dichiarazioni devono essere valutate per verificarne l’attendibilità.

Peraltro va considerato l’interesse di cui il soggetto può essere portatore, di modo che il controllo sulle sue dichiarazioni deve essere più rigoroso, specie sotto il profilo della credibilità oggettiva e soggettiva, atteso che la sua posizione non può essere meccanicamente equiparata a quella del testimone estraneo. Quando, comunque, il controllo di cui si è detto viene correttamente effettuato dal giudice di merito, nel contesto delle emergenze processuali, non v’è spazio per rilievi in sede di legittimità, anche se la detta deposizione sia stata assunta come sola fonte di prova.

Nel caso di specie, i giudici di merito hanno rigorosamente verificato l’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla T. ed acquisite agli atti; hanno rilevato che esse, oltre ad essere specifiche e circostanziate sono adeguatamente confortate dagli esiti degli accertamenti svolti dagli agenti della P.G. che, solo dopo un’ampia attività investigativa, hanno portato all’individuazione dell’autore della rapina.

L’imputato è stato riconosciuto dalla T. sia visivamente sia per il tatuaggio che aveva notato sul braccio destro del rapinatore e che ha indicato quale segno distintivo caratteristico, annotando anche il numero di targa dell’autovettura sulla quale era stata costretta a salire e che è risultata intestata al fratello dell’imputato.

I giudici del merito hanno, quindi, sottoposto a vario critico le deposizioni della parte offesa e dei testi rilevando come nessun concreto interesse avesse avuto la prima ad accusare falsamente di un fatto grave e infamante l’amico del ragazzo che l’aveva fasciata, tanto più considerando che in un primo momento la donna, in sede di riconoscimento fotografico, aveva confuso l’imputato con il fratello R..

Le dichiarazioni della parte offesa sono, altresì, confortate dalle dichiarazioni dei testi L. e Z., che, pur collocando, quest’ultimo, erroneamente il ricordo in un giorno di giugno, anzichè di luglio, riferisce comunque particolari credibili significativi in merito allo Stato e alle lesioni della parte offesa.

Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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