Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-05-2011) 01-06-2011, n. 21820

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Palermo, con sentenza in data 17/6/2010, confermava la sentenza del Tribunale di Palermo, in data 8/7/2009, appellata da T.S. e G.V., dichiarati colpevoli entrambi di tentata estorsione e il T. anche di ricettazione per aver richiesto a Z.P.P., che aveva subito il furto della propria borsa contenente effetti personali e Bancomat, la somma di Euro 50,00 per restituirla, e condannati, concesse le attenuanti generiche al solo G., quest’ultimo alla pena di anni uno, mesi due di reclusione e Euro 200,00 di multa e il T. alla pena di anni due, mesi sei di reclusione e Euro 800,00 di multa.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore di entrambi gli imputati deducendo i seguenti motivi:

a) violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 629 c.p., mancando ai fini della sussistenza della reato di estorsione, la coartazione della vittima attraverso l’impiego di violenza o minaccia, essendosi, peraltro, limitata la condotta del G. a "veicolare" la volontà del suocero T., nell’impossibilità di quest’ultimo di farsi comprendere adeguatamente dagli interlocutori per difficoltà di espressione, ritenendo sussistere, tutt’al più, il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni;

b) violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 648 c.p., con riferimento al solo T., con riferimento alla mancanza dell’elemento soggettivo, avendo lo stesso rinvenuto la borsa di proprietà della Z. in un contenitore della spazzatura con l’intenzione di restituirla alla legittima proprietaria, senza intenzione di trame alcun ingiusto arricchimento patrimoniale;

c) violazione di legge per inosservanza e erronea applicazione degli artt. 3, 25, 27 Cost. con riferimento all’entità della pena inflitta, ritenuta sproporzionata alla condotta, considerato che trattasi di reato tentato, di particolare tenuità.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con riferimento al primo motivo di ricorso, deve ritenersi sussistente, nella fattispecie, la idoneità della minaccia, quale elemento costitutivo del delitto di estorsione, dovendo essere valutata con giudizio ex ante e cioè nella obiettiva capacità di porre in essere un attacco alla libertà psichica della vittima e sulla libertà di determinazione del soggetto passivo che viene, in conseguenza, a trovarsi in stato di costrizione morale, conseguente alla pressione morale esercitata sull’animo del derubato con la richiesta di una somma di danaro, per fargli riavere la borsa rubata.

Che tale fosse l’intenzione degli imputati è stato desunto dalla Corte territoriale, con motivazione coerente e logica, oltre che dalla differenza tra la richiesta dei prevenuti e l’offerta della vittima relativa alla somma necessaria per riottenere la borsa, anche dalla circostanza che all’appuntamento fissato il T. non abbia portato con sè la borsa, elemento che conferma ulteriormente il carattere minaccioso del complessivo atteggiamento non finalizzato alla restituzione tout court della borsa, ma ad ottenere un ingiusto profitto dalla sua restituzione.

Tale valutazione è assorbente del motivo relativo alla richiesta derubricazione della reato in esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Infatti questa Suprema Corte ha più volte affermato che nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta violenta o minacciosa è strettamente connessa alla finalità dell’agente di far valere il preteso diritto, circostanza esclusa nella fattispecie.

Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione le Sezioni Unite, con valutazione condivisa dal Collegio, hanno rilevato come l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, ravvisabile quando l’agente, rappresentandosi l’eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuto la certezza (Sez. U, Sentenza n. 12433 del 26/11/2009 Ud. (dep. 30/03/2010) Rv. 246324; Sez. 1^, Sentenza n. 27548 del 17/06/2010 Ud. (dep. 15/07/2010) Rv. 247718).

In altri termini ci si trova in presenza di un dolo eventuale quando chi agisce si rappresenta come seriamente possibile (non come certa) l’esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione e, pur di non rinunciare all’azione e ai vantaggi che se ne ripromette, accetta che il fatto possa verificarsi: il soggetto decide di agire "costi quel che costi", mettendo cioè in conto la realizzazione del fatto.

La Corte territoriale ha evidenziato, al riguardo, come la circostanza che la borsa contenesse il portafoglio, i documenti e il Bancomat della persona offesa rendeva del tutto palese la sua provenienza furtiva.

Nella fattispecie è ravvisabile il dolo eventuale in quanto la situazione fattuale – nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell’esperienza – è tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res, ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza.

Con riferimento al terzo motivo di ricorso, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto valida la motivazione del giudice di primo grado in relazione alla determinazione della pena per entrambi gli imputati.

Invero il giudice di merito ha ritenuto la pena equamente parametrata alla gravità della condotta, considerando come il G. abbia ottenuto la concessione delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio di cui all’art. 163 c.p., pur in presenza di un reato di grave allarme sociale e, con riferimento al T., in relazione ai numerosi e gravi precedenti penali che rendono la pena addirittura protesa al sicuro favor rei.

In proposito questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio – condiviso dal Collegio – che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 c.p..

Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, le parti private che lo hanno proposto devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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