Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 05-05-2011) 01-06-2011, n. 22191 prova penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Messina, con sentenza del 14.12.2006, dichiarava M.S. e V.A. colpevoli in ordine al reato di cui all’art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, (detenzione, al fine di spaccio, di 400 grammi di sostanza stupefacente di tipo marijuana che, per la quantità, qualità e modalità di presentazione appariva destinata ad uso non esclusivamente personale) e, applicata la diminuente per il rito abbreviato, concesse le attenuanti generiche, li condannava alla pena di anni due, mesi otto di reclusione ed Euro 12.000,00 di multa ciascuno, oltre le spese processuali e di custodia cautelare; confisca e distruzione dello stupefacente in sequestro. Avverso la sopra indicata sentenza proponevano appello gli imputati. La Corte di appello di Messina, con sentenza datata 12.05.2010, oggetto dei presenti ricorsi, confermava la sentenza emessa nel giudizio di primo grado e condannava gli imputati al pagamento delle ulteriori spese processuali.

Avverso tale sentenza proponevano distinti ricorsi per cassazione sia M.S., sia V.A., a mezzo dei loro difensori, e concludevano chiedendone l’annullamento con i consequenziali provvedimenti.
Motivi della decisione

M.S. e V.A. hanno censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., n. 1, lett. b) e lett. e) in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1-bis con riferimento alla destinazione ai fini dello spaccio dello stupefacente in sequestro. Secondo i ricorrenti la motivazione della sentenza impugnata era contraddittoria allorquando affermava, senza rispondere alle censure mosse avverso la sentenza di primo grado, che gli involucri in cui era suddiviso lo stupefacente potevano costituire una suddivisione in dosi e addirittura far propendere per una "più agevole smerciabilità della droga attuabile nelle zone di alta concentrazione turistica frequentate dai due imputati". Sostenevano i ricorrenti che i giudici di merito non potevano escludere l’uso personale solo perchè erano stati superati i quantitativi stabiliti dal Ministero della Salute, ma tale accertamento doveva essere condotto sulla base degli elementi indiziar ben individuati dalla giurisprudenza, in considerazione, in particolare, del fatto che la perquisizione effettuata presso l’abitazione dei due indagati aveva dato esito assolutamente negativo in ordine alla presenza di strumenti ovvero oggetti sintomatici di un’attività di spaccio.

2) Violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in relazione al D.P.R. n. 309 del 190, art. 73, comma 5 che prevede l’ipotesi del fatto di lieve entità. Osservavano sul punto i ricorrenti che erroneamente i giudici della Corte di merito non avevano riconosciuto la minima gravità della condotta complessiva ascritta agli imputati, in quanto il reato doveva essere qualificato ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. I ricorrenti censuravano il fatto che i giudici di merito avessero loro negato tale attenuante specifica solo sulla base della quantità di stupefacente rinvenuta, senza effettuare un apprezzamento complessivo della fattispecie criminosa.

V.A. censurava altresì la sentenza impugnata per:

violazione dell’art. 606 c.p.p., n. 1. lett. b) e lett. e) in relazione agli artt. 191, 438, 442 e 360 c.p.p.. Premesso che l’imputato può sempre eccepire le cosiddette inutilizzabilità patologiche anche qualora abbia richiesto il giudizio abbreviato, il V. lamentava che la sentenza impugnata aveva ritenuto utilizzabili gli accertamenti tecnici sulla sostanza stupefacente in sequestro, che invece dovevano essere effettuati, a suo avviso, ai sensi dell’art. 360 c.p.p., costituendo un atto irripetibile, dal momento che il tetraidrocannabinolo nel tempo subisce una naturale ossidazione per cui va diminuendo il principio attivo.

Osserva la Corte che merita accoglimento il motivo di ricorso proposto da entrambi i ricorrenti relativamente alla mancata prova della destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente in sequestro.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti (cfr. Cass., Sez 4, Sent. n. 48008 del 18.11.2009, Rv 245738) la prova della detenzione a fine di spaccio di sostanza stupefacente non deriva soltanto dal sequestro o dal rinvenimento della sostanza, potendo desumersi da altre risultanze probatorie. Pertanto la destinazione allo spaccio non può desumersi dal solo quantitativo della sostanza.

Tanto premesso si osserva che la sentenza impugnata si limita a valorizzare il dato ponderale e il numero delle dosi ricavabili, senza tenere in alcuna considerazione la circostanza che la perquisizione presso l’abitazione dei due imputati aveva dato esito assolutamente negativo in ordine alla presenza di strumenti o oggetti sintomatici di un’ attività di spaccio e il fatto che i due imputati avevano sostenuto di avere acquistato la marijuana per uso personale e di avere inteso costituirsi una scorta. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo esame in merito al fine di spaccio della detenzione della sostanza stupefacente sequestrata ai due imputati.

Restano invece assorbiti gli altri motivi, in particolare quello proposto sia da M. che da V. in merito alla mancata concessione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e quello proposto dal solo V. in merito alla asserita inutilizzabilità degli accertamenti tecnici sulla sostanza stupefacente che, ad avviso del ricorrente, avrebbero dovuto essere effettuati ai sensi dell’art. 360 c.p.p..
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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