Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 28-04-2011) 01-06-2011, n. 22104 Associazioni mafiose Misure di prevenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con decreto del giorno 11.10.2010, la Corte di appello di Catania rigettava l’appello interposto da V.F., avverso il decreto del Tribunale di Ragusa 27.4.2010, con cui era stato sottoposto alla misura di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, per la durata di anni tre, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. Secondo la Corte, il profilo di pericolosità del V. conseguiva alla intervenuta condanna del medesimo per svariati delitti, ma soprattutto alla intervenuta esecuzione di ordinanza cautelare per reati di cui all’art. 416 bis c.p., ed all’art. 629 c.p., (reato quest’ultimo aggravato dall’appartenenza alla consorteria mafiosa), emersi all’esito di controlli ambientali e telefonici che facevano constatare una continuità di vita in ambiti criminogeni, con conseguente pericolo per la collettività. Quanto alla durata della misura , la corte rilevava che quella stabilita era congrua alla luce del grado di pericolosità ritenuto e che l’obbligo di soggiorno era finalizzato ad un più efficace controllo.

2. Avverso detto decreto, ha interposto ricorso per Cassazione la difesa, per dedurre con unico motivo, inosservanza ed erronea applicazione della L. n. 1423 del 1956 e della L. n. 575 del 1965, in quanto non sarebbe stata compiuta una completa valutazione degli elementi a disposizione ed il giudizio di pericolosità sociale sarebbe stato espresso alla luce di dati non significativi univocamente, poichè i precedenti di polizia sono risalenti nel tempo, nel (OMISSIS) al V. fu concesso l’affidamento in prova e venne revocata la libertà vigilata; le frequentazioni di soggetti a rischio risalgono agli anni 80/inizio anni 90; non risulta che V. abbia accumulato in quegli anni, come sostenuto, capitali illeciti, poichè mai fu eseguito un sequestro, ragion per cui la misura di prevenzione troverebbe la sua giustificazione solo sulla base degli elementi posti a base del fermo di PG e dell’ordinanza custodiate in carcere, che dipingono il ricorrente come soggetto che ebbe a costituire l’associazione riconducibile a quella del clan dominante di cui in passato fu sodale, elementi che vanno ovviamente tutti verificati, tanto più che mai il V. ebbe in passato a subire condanne per reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.. La difesa ancora obietta che detta presunta associazione non fu mai percepita come tale; se mai fu esistita, cessò di operare sei mesi prima della esecuzione delle misure cautelari, il che dimostra la sua intervenuta disintegrazione. Nessun dato significativo accrediterebbe che il V. ne fosse il promotore, non essendo mai risultato dalle intercettazioni che egli abbia impartito ordini ai sottoposti;

soprattutto viene sottolineato che trattasi di fatti del (OMISSIS), tempo che oggi segna tutta la distanza e rivela la non correttezza della inferenza in termini di pericolosità sociale attuale del ricorrente.

3. Il Procuratore Generale ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso, in quanto le doglianze non si possono estendere al controllo sull’adeguatezza e coerenza logica della motivazione.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e come tale inammissibile.

La motivazione del provvedimento impugnato è assolutamente rispettosa del dato normativo che, come è noto, richiede per l’applicazione delle misure di prevenzione, da un lato l’oggetti va esistenza di un complesso di fattori aventi carattere indiziario quanto alla commissione di delitti particolarmente gravi, dall’altro la pericolosità del proposto, che deve essere dimostrata nella sua attualità, per quanto riguarda i delitti comuni e che è presunta se il proposto sia indiziato di appartenere ad un’associazione mafiosa.

Orbene; nel caso di specie, la valutazione di pericolosità è stata ancorata al fatto che il medesimo è gravato da precedenti penali per svariati delitti, ma soprattutto risulta essere stato raggiunto da ordinanza di custodia cautelare per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. e per due fatti di estorsione, aggravata dall’appartenenza ad associazione di stampo mafioso, misura emessa in data 18.4.2008 , sulla base di colloqui captati a distanza, a seguito di controllo telefonico ed ambientale che dava contezza non solo dell’esistenza del sodalizio, ma anche del ruolo rivestito dal V. al suo interno, a livello apicale. La valutazione operata è quindi assolutamente in linea con i criteri che devono essere adottati per il giudizio sulla pericolosità sociale, atteso che è stato correttamente presa a parametro una condotta abbastanza recente, seriamente documentata dal monitoraggio ambientale e telefonico condotto, evocante una concreta insidia per la collettività. Non potevano portare ad opinare diversamente i rilievi difensivi , facenti riferimento a variabili che rivestono portata sicuramente soccombente rispetto a quella dei dati del compendio indiziario accreditante il coinvolgimento concreto in un gruppo criminale, dedito ad attività estorsive, ad elevata potenzialità offensiva.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente , consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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