Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 28-04-2011) 01-06-2011, n. 22057 Omessa custodia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata in data 26 febbraio 2010, depositata in cancelleria il 30 marzo 2010, il Tribunale di Milano, sezione distaccata di Legnano, dichiarava R.A. colpevole del reato a lui ascritto ( L. n. 110 del 1975, art. 20 bis) condannandolo alla pena Euro 1.032,00 di ammenda.

1.1. – Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata, R.A. aveva lasciato nella cassaforte di una abitazione a lui intestata, ma divenuta successivamente compendio di fallimento, un revolver Smith & Wesson cal. 38 S. La società aggiudicatrice dell’immobile chiedeva l’intervento dei Carabinieri.

1.2. – Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito dalle risultanze delle indagini preliminari (la comunicazione della notizia di reato redatta dai Carabinieri intervenuti) che veniva acquisito al fascicolo del dibattimento con il consenso dell’imputato.

2. – Avverso il citato provvedimento, tramite il proprio difensore avv. Giancarmine Marrano, ha interposto tempestiva impugnazione davanti alla Corte di Appello (che l’ha convertita in ricorso) il R. lamentava la mancata derubricazione del reato nella fattispecie di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 20, posto che non si era verificato l’impossessamento dell’arma da parte di uno dei soggetti indicati dell’art. 20 bis citato in quanto l’arma era stata riposta all’interno di una cassaforte. Non vi era stata quindi una condotta attiva bensì omissiva di mancata cautela nella custodia.

Infine, veniva censurata l’entità della pena e la mancata applicazione delle attenuanti genetiche.

2.1 – Con memoria difensiva, ai sensi dell’art. 611 c.p.p., depositata in cancelleria l’11 aprile 2011, l’avv. Giancarmine Marzano ha ripreso e approfondito le doglianze già espresse in ricorso, insistendo per l’accoglimento delle medesime.
Motivi della decisione

3. – Il ricorso è fondato e merita accoglimento: la sentenza impugnata va annullata con le determinazioni di cui in dispositivo.

3.1 – La Suprema Corte ha avuto modo di affermare che il reato di cui alla L. 18 aprile 1975, n. 110, art. 20 bis, comma 2, è un reato di mera condotta e di pericolo che si perfeziona per il semplice fatto che l’agente non ha adottato le cautele che, sulla base delle circostanze di fatto da lui conosciute o conoscibili con l’ordinaria diligenza, era necessario che adottasse, indipendentemente dal fatto che una delle persone indicate dal comma 1 del citato articolo sia giunta o meno a impossessarsi dell’arma o delle munizioni. Nè per effetto di tale interpretazione potrebbe ritenersi che la contravvenzione in questione sia un’inutile ripetizione di quella di cui alla citata Legge, art. 20, comma 1, che prescrive che "la custodia delle armi deve essere assicurata con ogni diligenza nell’interesse della pubblica sicurezza". Infatti, entrambe le ipotesi contravvenzionali sono dirette alla realizzazione dello stesso scopo (la prevenzione di più gravi reati contro la sicurezza pubblica in generale), ma si caratterizzano tra loro per un rapporto di specialità, nel senso che il reato di cui all’art. 20, comma 1, pone un dovere generalizzato di diligenza nei confronti di tutti i possessori delle armi, diretto a impedire che chiunque possa impossessarsene, mentre la disposizione di cui all’art. 20 bis, comma 2, è diretta a impedire che giungano a impossessarsi delle armi e delle munizioni quelle categorie di persone con riferimento alle quali, proprio per la maggiore pericolosità che può derivare dal maneggio da parte loro di tali strumenti, il legislatore richiede l’adozione di "cautele necessarie", ovverosia di cautele dirette proprio a evitare che possa verificarsi quel particolare tipo di evento.

Ne deriva, secondo i principi generali, che ai fini della configurabilità del reato di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 20 bis, comma 2, non è sufficiente il solo possesso dell’arma, al quale consegue soltanto il dovere di custodire lo strumento con ogni diligenza, ma è necessario (tenuto anche conto della maggiore gravità, nel massimo, della sanzione) che, sulla base di circostanze specifiche, l’agente possa e debba rappresentarsi l’esistenza di una situazione tale da richiedere da parte sua l’adozione di cautele specificamente necessarie per impedire l’impossessamento delle armi, non da parte di chiunque, ma da parte di una persona appartenente a una delle categorie indicate dalla legge, ossia nell’art. 20 bis, comma 1 (Cass., Sez. 1, 25 gennaio 2005, n. 5435, Quaglierini,rRv.

231099; Sez. 5, 30 ottobre 2007, n. 45964, Misuraca, rv. 238497; Sez. 1,12 maggio 2004, n. 31555, P.G. in proc. Luongo, rv. 229843).

3.2. – Nella fattispecie, il giudice ha evidenziato che il R. avesse lasciato una pistola all’interno della cassaforte dell’abitazione di cui aveva avuto un tempo la disponibilità (tanto da avervi mantenuto la residenza), omettendo di apprestare le dovute cautele in relazione alla custodia dell’arma medesima. Era infatti emerso per tabulas che il R. non abitasse più in tale luogo da circa due anni e che da tempo l’immobile era stato assegnato, per aggiudicazione fallimentare, ad altri. Ciò rilevato manca tuttavia nella fattispecie l’ipotesi della traditio della pistola ad uno dei soggetti indicati nela citata Legge, art. 20 bis, comma 1 ovvero una carenza di cautela idonea a che la res potesse con gli stessi venire a contatto, posto che l’arma in questione, ancorchè dimenticata nell’abitazione, era chiusa in cassaforte tant’è che si era resa necessaria la sua apertura con "idonee chiavi". 3.3. – Sulla questione si è già del resto espressa questa Corte di legittimità dettando un indirizzo che il Collegio condivide. E’ stato per vero deciso che, poichè, ai sensi della L. n. 110 del 1975, art. 20, la custodia delle armi di cui si è in possesso deve essere assicurata con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica, deve ritenersi sussistente il reato di omessa custodia (e non dunque quella di cui all’art. 20 bis più volte citato) allorchè il possessore abbia perso la cognizione del luogo di custodia dell’arma. In tal caso, infatti, il detentore non è in grado di controllare che l’arma sia custodita con la dovuta diligenza, nè di assicurare l’esercizio di eventuali controlli da parte degli organi di polizia (Cass., Sez. 1, 30 novembre 1995, n. 12786, Rubagotti, rv.

203145). Nella fattispecie, inoltre l’agente aveva sì perso successivamente la cognizione del dove si potesse trovare l’arma, ma in origine aveva adottato per essa, con la sua conservazione all’interno di una cassaforte chiusa a chiave, cautele idonee a scongiurare il contatto accidentale con le categorie tutelate dall’art. 20 bis, comma 1, sottraendo così la condotta all’inquadramento contestato nel capo di imputazione.

4. – Ne consegue che deve adottarsi pronunzia ai sensi dell’art. 624 c.p.p. come da dispositivo provvedendo alla riqualificazione del fatto con rinvio in punto di determinazione della pena, posto che il ricorrente aveva avanzato censure inerenti al trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla qualificazione del fatto che individua nella L. n. 110 del 1975, art. 20, comma 2, e rinvia per la determinazione della pena al Tribunale di Milano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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