T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 31-05-2011, n. 4907

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La ricorrente, espone di essere stata assunta nel 1975 in Banca d’Italia, in qualità di invalida del lavoro, e di essere stata distaccata presso l’Ufficio Italiano Cambi, svolgendo da principio mansioni di stenodattilografia.

Nel 1979 venne addetta ai videoterminali presso il reparto Elaborazione (detto SESI), dal quale, nel 1992, venne sollevata a seguito di giudizio di "permanente inidoneità" a tali mansioni, espresso dal Collegio medico – legale della USL Rm4 su richiesta dell’amministrazione bancaria.

Rappresenta di essere affetta da epilessia post – traumatica, sindrome nevrosica depressiva e grave stato d’ansia con labilità del tono dell’umore e ipoacusia percettiva bilaterale.

Ritiene che le mansioni di addetta ai videoterminali, senza soluzioni di continuità, dal 1979 al 1992, l’abbiano esposta all’azione lesiva del rumore ambientale con conseguenze dannose sugli apparti uditivo e neurologico.

Con ricorso spedito in data 24 maggio 1993, ha quindi adito in via gerarchica il Governatore della Banca d’Italia, affinché le venisse riconosciuta la dipendenza causale dal servizio prestato alle dipendenze della Banca d’Italia, con il conseguente riconoscimento dell’equo indennizzo e delle spese mediche.

Deduce violazione di legge, eccesso di potere, ed ingiustizia manifesta.

Allega documentazione medico legale.

Si costituiva, per resistere, la Banca d’Italia, producendo memorie e documenti.

Il ricorso è stato assunto in decisione alla pubblica udienza del 20 aprile 2011.

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1. Va premesso che, secondo un orientamento risalente, ma costantemente confermato dalla giurisprudenza amministrativa, la pretesa del trattamento economico connesso alla dipendenza da causa di servizio di una determinata infermità, ha solo apparentemente un contenuto patrimoniale, in quanto presuppone il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità medesima: pertanto, nel silenzio dell’amministrazione sulla relativa domanda, il privato non può agire per l’accertamento del diritto patrimoniale, ma può soltanto attivare la procedura per l’impugnazione del silenzio – rifiuto dell’amministrazione stessa.

L’atto di riconoscimento (o di diniego) dell’equo indennizzo è emesso a conclusione di un procedimento in cui intervengono pareri di organi tecnico – consultivi caratterizzati da discrezionalità tecnica quanto alla riconduzione della menomazione all’integrità fisica alla malattia già riconosciuta dipendente da causa di servizio.

La posizione soggettiva del pubblico dipendente che aspiri al beneficio indennitario è, quindi, di interesse legittimo e non di diritto soggettivo.

Ne deriva che i provvedimenti che negano il riconoscimento dell’equo indennizzo vanno impugnati nel termine di decadenza e non nel più lungo termine di prescrizione.

Solo a seguito della concessione dell’equo indennizzo le questioni in ordine all’esatta determinazione della somma dovuta rivestono posizioni di diritto soggettivo e possono essere azionate nell’ordinario termine di prescrizione (Consiglio Stato, sez. VI, 15 dicembre 2010, n. 8916).

Nel caso di specie, è, pertanto, inammissibile, l’azione di accertamento della dipendenza da causa di servizio dell’aggravamento dell’infermità dedotta dalla ricorrente.

Del pari inammissibile risulta però l’impugnativa del silenzio – rifiuto, asseritamente opposto dalla Banca d’Italia al "ricorso gerarchico" presentato al Governatore della Banca d’Italia nel 1993.

Detto ricorso ha infatti oggetto del tutto identico a quello del ricorso giurisdizionale iscritto al n. 20 del 1986 e passato in decisione alla medesima pubblica udienza del 20 aprile 2011 alla quale è stato trattenuto il presente gravame.

Tale circostanza, peraltro, venne fatta presente dalla Banca d’Italia sin dalla memoria di costituzione in giudizio presentata in vista della camera di consiglio del 19 ottobre del 1994, in esito alla quale, l’istanza cautelare presentata dalla ricorrente venne respinta, con la seguente motivazione: "la ricorrente non ha fornito alcun principio di prova che potesse contrastare quanto affermato e documentato dall’amministrazione in ordine alla mancata presentazione nei termini della domanda volta ad ottenere la dipendenza della causa di servizio".

In particolare, l’Istituto resistente ha documentato che, già a far data dal 16 aprile 1982 la s.ra P. ebbe a richiedere il riconoscimento dell’aggravamento per causa di servizio di talune infermità dalle quali era già affetta anteriormente all’ingresso in Banca.

Il 14 giugno 1982, la Banca d’Italia comunicava alla dipendente di non potere prendere in esame la richiesta perché l’asserito aggravamento non era suffragato dalla certificazione medica allegata a corredo dell’istanza.

Tale provvedimento reiettivo non veniva impugnato dall’odierna ricorrente.

Successivamente, in data 10 aprile 1985, la dipendente, allegando un intervenuto aggravamento dell’invalidità civile riscontrato da parte della sede Inail di Napoli, in data 11 gennaio 1984, intimava alla Banca, assegnandole un termine di 60 giorni, di riscontrare un’istanza di causa di servizio che asseriva di avere prodotto, ai fini dell’equo indennizzo e del rimborso spese, in data 16 aprile 1984.

La Banca effettuava accurate ricerche senza rinvenire la suddetta istanza.

Di tanto, veniva data comunicazione alla s.ra P., con lettera raccomandata a.r., in data 13 giugno 1985.

In tale comunicazione (anch’essa, mai impugnata), l’amministrazione ribadiva il diniego opposto all’istanza del 16 aprile 1982.

Con atto notificato il 16 settembre 1985, veniva inoltrata una ulteriore diffida, con termine a provvedere di 30 giorni.

Ad essa l’Istituto odierno resistente, non dava alcun riscontro, ritenendo la vicenda definita e, comunque, non sussistente alcun obbligo di provvedere.

La dipendente notifica quindi il ricorso iscritto al n. di rg. n. 20 del 1986.

A distanza di qualche anno, in data 24.5.1993, la s.ra P. inoltrava il presente ricorso avente ad oggetto il preteso silenzio opposto dal Governatore della Banca d’Italia su un ricorso amministrativo dalla stessa presentato, nonché l’accertamento dell’obbligo dell’Istituto di emettere il provvedimento di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia lamentata, con corresponsione di equo indennizzo e rimborso delle spese mediche sostenute.

Tale essendo la ricostruzione degli eventi, quale puntualmente documentata dalla Banca d’Italia, e riscontrato che la sig.ra P. non ha fornito alcun principio di prova atto a contrastare quanto documentato dall’amministrazione in ordine alla mancata presentazione nei termini della domanda volta ad ottenere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, dell’aggravamento della patologia da cui è affetta, il ricorso non può che essere dichiarato inammissibile.

Non risulta infatti presentata, in epoca successiva all’aprile del 1982, alcuna istanza sulla quale l’amministrazione fosse tenuta a provvedere.

Né, risultano tempestivamente impugnate le note del maggio e del giugno 1985, con cui la Banca d’Italia ha negativamente riscontrato la diffida inoltrata nell’aprile del 1985.

Inoltre, come ancora esattamente rilevato dall’Istituto resistente, anche a voler considerare le diffide inviate nell’aprile e nel settembre 1985 come nuove istanze di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, le stesse si appalesano ormai intempestive e, pertanto, inidonee a determinare la nascita di un obbligo di provvedere in capo all’Istituto.

Secondo l’art. 60 dell’allora vigente Regolamento del Personale, la domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infortunio subito o della malattia contratta dal dipendente, era infatti soggetta al termine di decadenza di sei mesi dal verificarsi dell’evento dannoso, ovvero dalla data di conoscenza dell’infermità, nel caso in esame risalente al gennaio del 1984.

Quanto poi, al ricorso "gerarchico" presentato nel 1993 (in disparte il fatto che l’ordinamento settoriale all’epoca vigente, non prevedeva alcun ricorso di tal genere, né, comunque, risultava all’epoca adottato un provvedimento di una autorità inferiore che potesse essere gravato innanzi a quella superiore), esso ha un oggetto del tutto analogo alle precedenti istanze del 1982 e/o diffide del 1985, queste ultime, come accennato, già tardive rispetto all’aggravamento della patologia certificata dall’Inail sin dal 1984.

Sicché anche detto "ricorso gerarchico" si appalesa intempestivo, e, comunque, volto a riesaminare una vicenda ormai definita, in relazione alla quale, per costante giurisprudenza, non sussiste in capo all’amministrazione alcun obbligo di provvedere (cfr. TAR Lazio, sez. I, 5 maggio 2010, n. 9769).

E’ bene precisare che, a tanto, non si appalesa sufficiente il verbale di visita della USL Rm4 in data 19 ottobre 1992, in quanto in esso non viene diagnosticata una patologia diversa e/o più grave di quella del 1984, ma si dispone solo l’esonero dalle mansioni che comportino l’utilizzo di videoterminali.

3. Il ricorso, in definitiva, deve essere dichiarato inammissibile.

Ragioni di equità, suggeriscono peraltro di compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I^, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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