T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 31-05-2011, n. 4906

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La ricorrente espone di essere stata assunta in Banca d’Italia, in qualità di invalida sul lavoro, il 1° luglio 1975.

Dopo un periodo di distacco presso l’Ufficio Italiano Cambi, dal 1° febbraio 1979 è stata assegnata al S.E.S.I. della Banca d’Italia, al reparto elaborazione dati, ed investita, a suo dire, di mansioni superiori alla propria qualifica.

La patologia da cui è affetta la ricorrente consiste in un "marcato stato ansioso reattivo alle vertigini. Sindrome nevrotica. Ipoacusia bilaterale percettiva cocleare con una perdita della capacità uditiva sociale del 75%. Iporeflettività vestibolare".

Afferma che il proprio stato di salute si è aggravato, e va continuamente aggravandosi, per effetto delle mansioni espletate.

La ricorrente è stata sottoposta ad ulteriore visita in data 11 gennaio 1984 presso la sede di Napoli dell’Inail, dalla quale è emersa una perdita della capacità lavorativa pari al 56% per la seguente minorazione, a carattere permanente "Sindrome nevrosica depressiva; grave stato d’ansia e labilità del tono dell’umore; epilessia post – traumatica".

Ella chiedeva, pertanto, con istanza del 16 aprile 1984, il riconoscimento dell’infermità come avvenuta in servizio, e per causa o concausa di servizio, il rimborso delle spese di cura e la liquidazione dell’equo indennizzo.

Sino ad oggi, però, la Banca non avrebbe fornito alcuna risposta alle aspettative della ricorrente, la quale, pertanto, adisce questo Tribunale amministrativo, in particolare deducendo:

1) Violazione dell’art. 60 del Contratto collettivo di lavoro dei dipendenti della Banca d’Italia per il periodo 1979 – 1981. Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta e difetto assoluto di motivazione.

L’art. 60 del contratto in epigrafe, prevede che, ai fini del riconoscimento dell’infermità come dipendente da causa di servizio, l’interessato debba presentare apposita domanda entro sei mesi dalla data in cui ha avuto conoscenza dell’infermità.

Parte ricorrente asserisce di avere presentato detta istanza il 16 aprile 1984 ma che, sino ad oggi, la Banca d’Italia non ha adottato provvedimento alcuno.

L’Istituto intimato ha sottoposto la ricorrente ad un lavoro stressante, presso gli elaboratori dei dati, senza tenere in alcun conto la sua reale situazione di salute.

La percentuale di invalidità è così passata dal 40% al 56%, come risulta dal certificato di invalidità dell’11 gennaio 1984.

Si è costituita, per resistere, la Banca d’Italia.

Il ricorso è stato assunto in decisione alla pubblica udienza del 20 aprile 2011.

2. E’ possibile prescindere dall’eccezione, sollevata oralmente in udienza dalla Banca d’Italia (secondo cui, nel caso in esame, ricorre un’ipotesi di perenzione ai sensi dell’art. 82, comma 2, c.p.a., trattandosi di ricorso ultraquinquennale in relazione al quale non risulta che parte ricorrente abbia rappresentato la permanenza del proprio interesse alla decisione del ricorso), in quanto il gravame risulta, ab origine, inammissibile.

2.1. Va premesso che, secondo un orientamento risalente, ma costantemente confermato dalla giurisprudenza amministrativa, la pretesa del trattamento economico connesso alla dipendenza da causa di servizio di una determinata infermità, ha solo apparentemente un contenuto patrimoniale, in quanto presuppone il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità medesima: pertanto, nel silenzio dell’amministrazione sulla relativa domanda, il privato non può agire per l’accertamento del diritto patrimoniale, ma può soltanto attivare la procedura per l’impugnazione del silenzio – rifiuto dell’amministrazione stessa.

L’atto di riconoscimento (o di diniego) dell’equo indennizzo è emesso a conclusione di un procedimento in cui intervengono pareri di organi tecnico – consultivi caratterizzati da discrezionalità tecnica quanto alla riconduzione della menomazione all’integrità fisica alla malattia già riconosciuta dipendente da causa di servizio.

La posizione soggettiva del pubblico dipendente che aspiri al beneficio indennitario è, quindi, di interesse legittimo e non di diritto soggettivo.

Ne deriva che i provvedimenti che negano il riconoscimento dell’equo indennizzo vanno impugnati nel termine di decadenza e non nel più lungo termine di prescrizione.

Solo a seguito della concessione dell’equo indennizzo le questioni in ordine all’esatta determinazione della somma dovuta rivestono posizioni di diritto soggettivo e possono essere azionate nell’ordinario termine di prescrizione (Consiglio Stato, sez. VI, 15 dicembre 2010, n. 8916).

Nel caso di specie, è, pertanto, inammissibile, l’azione di accertamento della dipendenza da causa di servizio dell’aggravamento dell’infermità dedotto dalla ricorrente.

Del pari inammissibile risulta però l’impugnativa del silenzio – rifiuto, asseritamente opposto dalla Banca d’Italia.

Al riguardo, appare sufficiente rinviare alle (non controdedotte) memorie prodotte dall’Istituto e alla documentazione, ivi dettagliatamente indicata, prodotta nel ricorso n. 18222 del 1993, passato in decisione alla medesima pubblica udienza del 20 aprile 2011 alla quale è stato trattenuto il presente gravame.

In particolare, l’Istituto resistente ha documentato che, già a far data dal 16 aprile 1982 la s.ra P. ebbe a richiedere il riconoscimento dell’aggravamento per causa di servizio di talune infermità dalle quali era già affetta anteriormente all’ingresso in Banca.

Il 14 giugno 1982, la Banca d’Italia comunicava alla dipendente di non potere prendere in esame la richiesta perché l’asserito aggravamento non era suffragato dalla certificazione medica allegata a corredo dell’istanza.

Tale provvedimento reiettivo non veniva impugnato dall’odierna ricorrente.

Successivamente, in data 10 aprile 1985, la dipendente, allegando un intervenuto aggravamento dell’invalidità civile riscontrato da parte della sede Inail di Napoli, in data 11 gennaio 1984, intimava alla Banca, assegnandole un termine di 60 giorni, di riscontrare un’istanza di causa di servizio che asseriva di avere prodotto, ai fini dell’equo indennizzo e del rimborso spese, in data 16 aprile 1984.

La Banca effettuava accurate ricerche senza rinvenire la suddetta istanza.

Di tanto, veniva data comunicazione alla s.ra P., con lettera raccomandata a.r., in data 13 giugno 1985.

In tale comunicazione (anch’essa, mai impugnata), l’amministrazione ribadiva il diniego opposto all’istanza del 16 aprile 1982.

Con atto notificato il 16 settembre 1985, veniva inoltrata una ulteriore diffida, con termine a provvedere di 30 giorni.

Ad essa l’Istituto odierno resistente, non dava alcun riscontro, ritenendo la vicenda definita e, comunque, non sussistente alcun obbligo di provvedere.

A distanza di qualche anno, in data 24.5.1993, la s.ra P. inoltrava il ricorso iscritto al n. 18222/93, avente ad oggetto il preteso silenzio opposto dal Governatore della Banca d’Italia su un ricorso amministrativo dalla stessa inoltrato, nonché l’accertamento dell’obbligo dell’Istituto di emettere il provvedimento di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della patologia lamentata, con corresponsione di equo indennizzo e rimborso delle spese mediche sostenute.

2.2. Tale essendo la ricostruzione degli eventi, quale puntualmente documentata dalla Banca d’Italia, e riscontrato che la sig.ra P. non ha fornito, né in questo giudizio, né in quello del 1993, alcune principio di prova atto a contrastare quanto documentato dall’amministrazione in ordine alla mancata presentazione nei termini della domanda volta ad ottenere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, dell’aggravamento della patologia da cui è affetta, il ricorso non può che essere dichiarato inammissibile.

Non risulta infatti presentata, in epoca successiva all’aprile del 1982, alcuna istanza sulla quale l’amministrazione fosse tenuta a provvedere.

Né, risultano tempestivamente impugnate le note del maggio e del giugno 1985, con cui la Banca d’Italia ha negativamente riscontrato la diffida inoltrata nell’aprile del 1985.

Inoltre, come ancora esattamente rilevato dall’Istituto resistente, anche a voler considerare le diffide inviate nell’aprile e nel settembre 1985 come nuove istanze di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, le stesse si appalesano ormai intempestive e, pertanto, inidonee a determinare la nascita di un obbligo di provvedere in capo all’Istituto.

E’ la ricorrente stessa, infatti, a ricordare, che secondo l’art. 60 dell’allora vigente Regolamento del Personale, la domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infortunio subito o della malattia contratta dal dipendente, era soggetta al termine di decadenza di sei mesi dal verificarsi dell’evento dannoso, ovvero dalla data di conoscenza dell’infermità, nel caso in esame risalente al gennaio del 1984.

Non consta, infine che le domande medesime fossero corredate da idonea certificazione sanitaria, attestante il collegamento tra la malattia e il servizio prestato, così come all’epoca prescritto dal citato Regolamento del Personale.

3. Il ricorso, in definitiva, deve essere dichiarato inammissibile.

Ragioni di equità, suggeriscono peraltro di compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I^, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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