T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 31-05-2011, n. 4905

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ome da verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. I ricorrenti, tutti dipendenti amministrativi del plesso TAR – Consiglio di Stato, espongono che le intimate amministrazioni escludono la c.d. "indennità giudiziaria" dal computo della base retributiva, ai fini della liquidazione del trattamento di quiescenza e dell’indennità di buonuscita.

Chiedono, pertanto, che questo Giudice accerti e dichiari il loro diritto in tal senso.

Deducono, al riguardo, che l’indennità giudiziaria costituisce ormai parte integrante della retribuzione, essendo caratterizzata da fissità e continuità.

Si è costituita, per resistere, l’amministrazione intimata.

Il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 20 aprile 2011.

2. In via preliminare, va anzitutto ricordato che la c.d. indennità giudiziaria (istituita con l’art. 3 della l. 19.2.1981, n. 27, in favore dei magistrati ordinari, poi attribuita con l’art. 1 della l. 22.6.1988, n. 221 – a decorrere dal 1° gennaio 1988 e nella misura vigente a quella data – al personale delle segreterie e cancellerie giudiziarie ed, infine, con l’art. 1 della l. 15.2.1989, n. 51, estesa al personale di segreteria del giudice amministrativo e contabile, nonché al personale dell’avvocatura erariale), dovuta pacificamente a tutti coloro che partecipano della funzione giudiziaria a qualsiasi livello, è, per sua stessa definizione, un’indennità speciale (dovuta se e nella misura in cui l’attività di specie viene concretamente esercitata) e non, dunque, una voce ordinaria della retribuzione personale (Cons. St., IV, 18 settembre 2007, n. 4852).

Essa è confluita, dal 1° gennaio 1995, nella c.d. "indennità di amministrazione" che fa parte integrante della retribuzione del personale amministrativo della giustizia amministrativa e contabile.

La ricostruzione delle vicende dell’indennità in questione sono riassunte nella sentenza del Cons. St., sez. IV, n. 6367/2008.

In essa si ricorda che, nel pieno rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 72 del D. Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, l’art. 34 del sopra indicato C.C.N.L. del 1995 ha:

1) disposto, al primo comma, la conservazione dei trattamenti economici in atto presso le singole Amministrazioni, secondo la specifica disciplina legislativa, contrattuale ed amministrativa in vigore, in base alle modalità determinate dal successivo secondo comma;

2) rimesso, ai sensi del secondo comma, alle parti contraenti la definizione nell’Allegato B delle voci e delle quote di retribuzione accessoria utile ai fini dei diversi istituti contrattuali, nonché l’ulteriore indicazione, per le singole distinte amministrazioni: a) delle tabelle di retribuzione accessoria distinte per livello, comprendenti le quote di retribuzione accessoria aventi carattere di generalità e di continuità in base alla specifica disciplina legislativa, contrattuale ed amministrativa in vigore, anche ai sensi dell’art. 72, terzo comma, del D. Lgs. n. 29 del 1993, rilevati sulla base del bilancio consuntivo; b) delle residue quote di retribuzione accessoria non aventi carattere di generalità e continuità, che concorreranno ad alimentare il fondo per la produttività collettiva, di cui al successivo art. 36, nell’amministrazione di appartenenza;

3) stabilito, al terzo comma, che gli importi di cui alla lettera a) del precedente comma 2, sono corrisposti a decorrere dal 1 gennaio 1995, obbligando le amministrazioni ad effettuare i conseguenti conguagli delle somme già corrisposte in base alle disposizioni di cui al ricordato art. 72, terzo comma, del D.Lgs. n. 29 del 1993.

Inoltre, l’articolo 43 del detto C.C.N.L. ha espressamente previsto la disapplicazione, dalla data di stipulazione del contratto, di alcune disposizioni, tra cui è compresa, alla lettera s), con riferimento all’art. 34 (Disciplina della retribuzione accessoria), proprio la legge 22 giugno 1988, n. 221, di riconoscimento, come s’è visto, di detto emolumento in favore del personale amministrativo.

Dal coacervo delle indicate disposizioni, le quali si inseriscono, peraltro, nel processo di "privatizzazione" del rapporto di pubblico impiego di detto personale, emerge che il compenso previsto dalla citata legge n. 221 del 1988, erogabile (sempreché, ovviamente, ne sussistessero i presupposti legali) esclusivamente al personale del Comparto "Ministeri", cui si riferiscono i ricordati contratti collettivi di lavoro, è stato trasformato, a decorrere dal 1 gennaio 1995, in una retribuzione accessoria (liquidata mensilmente), qualificata come "indennità di amministrazione", ex art. 34, comma 2, lett. a), cit. e poi sostanzialmente confermata in tale sua caratterizzazione dall’art. 17, comma 1, del C.C.N.L. dello stesso Comparto 1998 – 2001.

Per completezza, si precisa altresì che, pur volendo riferire il presente gravame anche alla sopravvenuta indennità di amministrazione, la cognizione di questo Tribunale amministrativo deve comunque arrestarsi al 30.6.1998, per effetto di quanto disposto dall’art. 45, comma 17, del d.lgs. n. 80/98, successivamente trasfuso nell’art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165/2001 (cfr., fra le tante, Cassazione civile, sez. un., 16 giugno 2005, n. 12863)

2.1. Ciò posto, nel merito, il ricorso, è infondato.

La Sezione, non intende discostarsi al riguardo, da una serie di pronunce dalla stessa rese in ordine ad analoghe pretese dei dipendenti del Ministero della Giustizia (cfr., in particolare, la sentenza n. 1430/2005).

L’art. 3 della legge n. 27 del 1981, in vigore al tempo della domanda giudiziale, specificava espressamente ed inequivocabilmente che la l’indennità in questione non era pensionabile.

Al riguardo, come ricordato anche dalla difesa erariale, si è più volte espressa la Corte Costituzionale che, con le sentenze n. 119 del 1991, n. 449 del 1993, n. 441 del 1993 e, da ultimo, n. 422 del 27.12.1996, ha affrontato la questione della pretesa illegittimità costituzionale delle norme che disciplinano l’indennità giudiziaria, nella parte in cui dispongono la c.d. "non pensionabilità", e sempre l’ha ritenuta infondata.

Nell’ultima delle menzionate sentenze, la Corte ha affermato (e ribadito):

– che il fatto che il trattamento di quiescenza costituisca un "prolungamento della retribuzione" ai fini previdenziali "non comporta che sia garantita in ogni caso l’integrale corrispondenza tra retribuzione e pensione";

– che "in considerazione del potere del Legislatore di graduare i fini perseguiti anche in rapporto a valutazione di ordine finanziario, l’esclusione dalla pensionabilità dell’indennità giudiziaria non costituisce un uso arbitrario ed irragionevole della discrezionalità legislativa in ordine all’attuazione dei valori espressi dall’art. 38 della Costituzione";

– ed ancora "che la natura dell’indennità retributiva giudiziaria quale normale componente del trattamento economico non vale a dimostrare l’incostituzionalità della esclusione di tale indennità dal calcolo della pensione giacché la commisurazione del trattamento pensionistico al reddito percepito in costanza di rapporto di lavoro incontra un limite nel necessario contemperamento della tutela del pensionato con le disponibilità del bilancio pubblico, a carico del quale è finanziato in buona parte il sistema previdenziale".

La Sezione ha anche osservato come la circostanza che la pensionabilità dell’indennità di amministrazione di cui si verte, sia stata riconosciuta in sede di contrattazione collettiva, non muta i termini della questione dedotta in giudizio, ed, anzi, conferma l’infondatezza della pretesa avanzata illo tempore dai ricorrenti.

Ed infatti il CCNL 2000 – 2001 (come integrato dall’art. 17, comma 12, dall’Accordo del 16.5.2001), ha definitivamente stabilito che "solamente a decorrere dall’1.1.2000" l’indennità in questione vada considerata "utile agli effetti" del computo della retribuzione da assumere come base per il calcolo della indennità di fine rapporto.

Il che dimostra che al tempo della domanda giudiziale, l’indennità non era pensionabile e che quella percepita prima del termine di decorrenza stabilito dal CCNL non concorre a formare la retribuzione base pensionabile.

3. Il ricorso va dunque respinto.

Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare le spese.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma, sez. I^, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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