T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 31-05-2011, n. 4902

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone in fatto la società odierna ricorrente che in data 22 gennaio 2008 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato nei propri confronti un procedimento volto all’accertamento della sussistenza di eventuali violazioni al Codice del Consumo con riferimento al servizio denominato "Internet Gratis’, avuto particolare riguardo alle condizioni economiche alle quali è offerto il servizio T. di accesso ad internet in modalità dialup, con contestuale richiesta di informazioni cui la società ricorrente ha dato puntuale riscontro, presentando altresì impegni ai sensi dell’art. 27, comma 7, del Codice del Consumo volti ad eliminare dalla denominazione del servizio il riferimento alla sua gratuità.

In data 14 febbraio 2008 l’Autorità ha proceduto alla integrazione del procedimento ipotizzando la sussistenza dei presupposti per procedere all’eventuale sospensione provvisoria della pratica commerciale indagata.

Con successivo provvedimento del 10 marzo 2008, preso atto dell’avvenuta modifica della pratica in contestazione, l’Autorità ha ritenuto essere venuta meno qualsiasi esigenza di urgenza per l’adozione della misura cautelare.

In data 27 marzo 2008, con provvedimento gravato da ricorso giurisdizionale iscritto al N. 6034/2008 R.G., sono stati rigettati gli impegni presentati dalla società ricorrente nella considerazione della manifesta scorrettezza della pratica, mentre con provvedimento del 19 giugno 2008 l’Autorità, ritenuta la scorrettezza della pratica contestata ai sensi degli artt. 20, 21, 22 e 23 del Codice del Consumo, ne ha vietato l’ulteriore diffusione irrogando alla società ricorrente la sanzione pecuniaria amministrativa di euro 195.000.

Avverso tale provvedimento deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

I – Violazione dell’art. 27 del D.Lgs. n. 206 del 2005 come modificato dal D.Lgs. n. 146 del 2007. Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990. Erronea qualificazione della fattispecie. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, ed in particolare mancanza dei presupposti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, perplessità.

Procede preliminarmente parte ricorrente alla descrizione della pratica sanzionata, affermando che la dicitura "Internet Gratis" non costituirebbe un claim pubblicitario, ma identificherebbe il servizio di connettività ad internet in modalità dialup offerto attraverso il marchio Alice, il portale Virgilio, ed il sito www.tin.it, caratterizzato dall’assenza di costi di attivazione e di costi mensili, dovendo pertanto ritenersi effettiva la gratuità del servizio in quanto riferita all’assenza di costi diversi da quelli di navigazione, prevedendo il servizio unicamente costi di accesso e lo scatto alla risposta, come dettagliatamente rappresentati ai consumatori nelle pagine web ed all’interno del percorso obbligato che conduce all’attivazione del servizio.

Sostiene, quindi, parte ricorrente l’erronea qualificazione, da parte dell’Autorità, della fattispecie censurata, definita come genericamente scorretta in sede di avvio del procedimento, manifestamente scorretta e grave in sede di rigetto degli impegni presentati, e nuovamente qualificata scorretta con il provvedimento finale, cosicché la perplessità dell’iter valutativo si sarebbe riflessa sulla motivazione che risentirebbe, oltre che di genericità, di incertezze ed ambiguità.

La ricostruzione della fattispecie non sarebbe, inoltre, aderente alla realtà in quanto fondata su di una lettura parziale della dizione "Internet Gratis’, slegata dal contesto del messaggio in cui è collocata ed avulsa dall’insieme di informazioni di dettaglio contestualmente fornite in ordine alle condizioni economiche dell’offerta, nel dettaglio descritte da parte ricorrente.

Sulla base delle modalità complessive di presentazione del servizio risulterebbero, quindi, secondo parte ricorrente, chiaramente intelligibili e complete le relative condizioni economiche, che consentirebbero al consumatore di collegare la pubblicizzata gratuità alla sola connessione al provider, consentendogli di assumere una decisione consapevole ed informata.

L’Autorità, trascurando la portata complessiva del messaggio, avrebbe quindi espresso una valutazione parziale in contrasto con quanto dalla stessa affermato in precedenti decisioni circa la necessità di valutare la gratuità del servizio in modo complessivo.

Nessuna omissione ingannevole sarebbe, conseguentemente, ravvisabile con riferimento alla pratica contestata, non essendo il servizio stato prospettato come gratuito ma descritto sin dall’inizio come servizio a pagamento, inidoneo essendo pertanto il messaggio ad incidere in maniera significativa sulle scelte economiche dei consumatori, tenuto anche conto delle concrete modalità di sottoscrizione del servizio, veicolate attraverso un percorso obbligato che non consentirebbe di attribuire rilevanza autonoma alla dicitura "Internet Gratis’.

II – Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del D.Lgs. n. 206 del 2005 come modificato dal D.Lgs. n. 146 del 2007 e dell’art. 11 della legge n. 689 del 1981. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e, in particolare, difetto di istruttoria, illogicità e contraddittorietà manifesta. Disparità di trattamento, violazione del principio di proporzionalità.

I denunciati vizi nella qualificazione della fattispecie si sarebbero riflessi nel trattamento sanzionatorio particolarmente severo, non proporzionato rispetto alla condotta.

L’Autorità non si sarebbe, inoltre, attenuta, nella quantificazione della sanzione, ai criteri della gravità e della durata della condotta, nonchè dell’opera svolta per eliminare a attenuare le conseguenze dell’infrazione.

Quanto alla gravità della sanzione, la relativa valutazione sarebbe indimostrata e generica, oltre che estranea rispetto alla normativa di riferimento, introducendo una speciale responsabilità del professionista in ragione del settore cui l’offerta inerisce, la tipologia delle omissioni informative, l’asimmetria informativa tra consumatore e professionista e la natura di quest’ultimo, non tenendosi conto che l’offerta era corredata da puntuali e chiare informazioni sulle relative condizioni economiche.

La quantificazione della sanzione sarebbe, inoltre, basata su formule stereotipe, prive di effettivo riscontro avuto riguardo alle modalità di diffusione della pratica ed al suo impatto, senza tenere conto del fatto che essendo la promozione dell’offerta avvenuta tramite internet, la stessa è stata rivolta ad una categoria di consumatori dotati di familiarità con il mezzo e con le condizioni economiche di accesso comunemente praticate rispetto alla tecnologia di navigazione.

Quanto alla operata compensazione tra le circostanze aggravanti a carico di T. e l’attenuante rappresentata dal comportamento collaborativo della stessa, rileva parte ricorrente di aver rimosso i profili di possibile decettività del messaggio rinominando spontaneamente il servizio di connessione in modalità dialup, così facendo venir meno i presupposti per l’accertamento dell’infrazione ai sensi dell’art. 27 del Codice del Consumo.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione sostenendo, con articolate controdeduzioni, l’infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia.

Si è costituita in giudizio anche la società WIND T.unicazioni S.p.a. con formula di rito.

Alla Pubblica Udienza del 6 aprile 2011, la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso il provvedimento – meglio descritto in epigrafe nei suoi estremi – con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in esito alla compiuta istruttoria, acquisito il parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ed apprezzata la scorrettezza, ai sensi degli artt. 20, 21, 22 e 23 del Codice del Consumo, della pratica commerciale consistente nella promozione del servizio T. di accesso ad internet con modalità dialup, denominata "Internet Gratis’, ne ha vietato l’ulteriore diffusione e ha irrogato alla società ricorrente una sanzione amministrativa pecuniaria di euro 195.000.

L’impianto ricorsuale, come delineato dalle censure proposte dalla società ricorrente, si snoda attraverso la proposizione di censure volte innanzitutto a confutare le valutazioni espresse dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (hic hinde Autorità) con riferimento alla condotta sanzionata, preliminarmente procedendo alla dettagliata illustrazione degli elementi di rilievo sulla cui base nega, parte ricorrente, la sussistenza di profili di scorrettezza della pratica commerciale, per l’effetto assumendo l’illegittimità della gravata decisione e delle valutazioni poste a suo fondamento, avverso le quali vengono articolate puntuali contestazioni.

Sotto altro profilo si duole parte ricorrente della quantificazione della sanzione, lamentandone il carattere sproporzionato rispetto alla corretta qualificazione della pratica, nonché l’intervenuta violazione dei criteri dettati dall’art. 11 della legge n. 689 del 1981, avuto particolare riguardo al giudizio di gravità della condotta, che introdurrebbe una speciale responsabilità del professionista, con omessa considerazione della completezza e chiarezza delle informazioni sulle relative condizioni economiche dell’offerta, nonché della categoria di consumatori cui l’offerta è diretta.

Prima di procedere alla disamina delle censure ricorsuali proposte, giova premettere un breve cenno descrittivo della condotta sanzionata con il gravato provvedimento, al fine di meglio delineare i contorni della vicenda in esame e più compiutamente definire la portata delle doglianze che alla stessa afferiscono, rinviando al prosieguo della trattazione il più esaustivo esame del contenuto della gravata delibera nei limiti in cui lo stesso si riveli funzionale alla delibazione rimessa al Collegio.

In tale direzione, va precisato che il gravato provvedimento ha ritenuto integrare una pratica commerciale scorretta la diffusione, attraverso i siti web www.alice.it, www.virgilio.it e www.tin.it, di un messaggio volto a promuovere i servizi T. di accesso ad Internet con tecnologia dialup, in particolare prospettandone la gratuità attraverso il ricorso alla denominazione del servizio "Internet gratis", accompagnata in una successiva pagina web dalla specifica 1Euro cent al minuto, ritenuto inidoneo a consentire ai destinatari del messaggio di percepire le effettive condizioni economiche cui la fruizione del servizio è subordinata, quali il costo dello scatto alla risposta per ciascun collegamento internet pari a 12 centesimi ed il costo del collegamento telefonico, come tale inadeguato a soddisfare l’onere minimo di chiarezza e completezza informativa, particolarmente stringente nello specifico settore tecnologico.

Così brevemente descritta la pratica sanzionata, viene innanzitutto in rilievo, nella gradata elaborazione logica delle questioni sollevate, la disamina delle contestazioni mosse dalla società ricorrente avverso la qualificazione della fattispecie che, contrariamente a quanto prospettato dall’Autorità, si sostanzierebbe – secondo parte ricorrente – nell’offerta di un servizio caratterizzato dalla gratuità della connessione al provider in modalità dialup offerto attraverso il marchio Alice, il portale Virgilio, ed il sito www.tin.it, cosicché la dizione "Internet Gratis" non potrebbe essere considerata un claim pubblicitario, ma una fedele rappresentazione delle caratteristiche del servizio, attenendo la gratuità all’assenza di costi di attivazione e a costi mensili.

L’affermata assenza di valenza pubblicitaria alla dizione "Internet Gratis’, al di là della opinabilità della tesi in proposito prospettata, risulta invero irrilevante ai fini della riconducibilità della pratica nel campo di applicazione del Codice del Consumo, dovendo, ai sensi dell’art. 18, comma 1, lettera d) di tale Codice, essere considerata pratica commerciale "qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori", con la conseguenza che qualsiasi comunicazione relativa all’offerta di un prodotto o di un servizio, anche priva di carattere pubblicitario, integra una pratica commerciale, rientrando nella ampia ed onnicomprensiva nozione recata dal Codice del Consumo, con conseguente applicazione del relativo apparato normativo regolante la materia.

Né, invero, può sottacersi che l’utilizzo – certamente non casuale – della dizione "Internet Gratis’, assolve ad una chiara funzione promozionale, evidenziando un profilo, quale quello della gratuità, di sicura capacità attrattiva per i consumatori in virtù della caratteristica particolarmente accattivante evidenziata, risultando conseguentemente poco plausibile l’affermata assenza del carattere pubblicitario di tale dizione, che rimanda indiscutibilmente alle caratteristiche economiche dell’offerta, dovendo ulteriormente rilevarsi che sarebbe risultata più rispondente alla dichiarata natura del messaggio come meramente descrittiva del servizio una dizione più asettica, quale quella adottata successivamente alla presentazione degli impegni, con denominazione del servizio quale "Internet DialUp’.

Non risulta, inoltre, meritevole di favorevole esame la censura con cui parte ricorrente contesta la non aderenza alla realtà della ricostruzione della fattispecie effettuata dall’Autorità, in quanto asseritamente fondata su di una lettura parziale della dizione "Internet Gratis’, slegata dal contesto del messaggio in cui è collocata ed avulsa dall’insieme di informazioni di dettaglio contestualmente fornite in ordine alle condizioni economiche dell’offerta, puntualmente descritte da parte ricorrente.

La delibazione in ordine a tale censura richiede di preliminarmente procedere a talune precisazioni in punto di fatto al fine di correttamente ricostruire la fisionomia della condotta.

Il messaggio integrante la condotta sanzionata, denominato "Internet Gratis" è stato diffuso, come accennato, sulle home page dei portali www.virgilio.it, www.alice.it e www.tin.it, e solo cliccando su tale denominazione, l’utente viene indirizzato ad un’ulteriore pagina web la quale riporta l’indicazione "Internet gratis.. collegamento ad Internet.. a 1Euro cent al minuto.. registrati gratis…"

Tale modalità di acquisizione di più dettagliate informazioni è, peraltro, confermata da parte ricorrente nel ricorso, laddove afferma che le condizioni economiche del servizio sono conoscibili dal consumatore solo attraverso l’accesso al link di cui alla dizione in esame, da cui si viene indirizzati verso un percorso obbligato che subordina l’attivazione del servizio alla approvazione delle condizioni ivi chiaramente riportate.

Tali essendo i contorni della pratica sanzionata, non risultano invero censurabili le valutazioni espresse dall’Autorità con riferimento alle riscontrate omissioni informative, non essendo offerto al consumatore un quadro chiaro e immediatamente percepibile in relazione alle condizioni economiche, e più in particolare all’esborso economico al quale si deve far fronte per fruire di detto servizio, posto che la comunicazione pubblicitaria non consente ai destinatari dei messaggi di venire realmente a conoscenza delle effettive e specifiche condizioni economiche alle quali l’adesione al servizio è subordinata, contrastando l’utilizzo del termine gratis con il costo relativo al collegamento telefonico e con il costo dello scatto alla risposta, con conseguente violazione dell’onere minimo di chiarezza e completezza informativa che, soprattutto nel settore delle telecomunicazioni appare particolarmente stringente in ragione di un’offerta estremamente varia, articolata e in continua evoluzione tecnologica.

Né la possibilità per il consumatore di assumere una decisione consapevole ed informata potrebbe ritenersi salvaguardata – contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente – alla luce delle modalità complessive di presentazione del servizio dalle quali, secondo gli assunti ricorsuali, risulterebbero chiaramente intelligibili e complete le relative informazioni economiche.

Fermo il carattere fuorviante del ricorso al termine gratis – non potendo accedersi, per come in seguito più diffusamente si andrà ad esporre, alla tesi di parte ricorrente circa la possibilità della sua corretta percezione da parte della specifica categoria di consumatori destinataria del messaggio – che risulta contraddetto dalla presenza di costi sia di collegamento telefonico che di scatto alla risposta, deve evidenziarsi, per come correttamente rilevato dall’Autorità nel gravato provvedimento, che la possibilità, per i consumatori, di acquisire le necessarie informazioni sulle condizioni economiche del servizio attraverso il rinvio ad un’ulteriore pagina web, non vale a sanare la decettività del messaggio, essendosi l’effetto della pratica consumato attraverso l’utilizzo del termine gratis, idoneo ad ingenerare nei consumatori il falso convincimento circa la non onerosità del servizio.

La tematica inerente l’eventuale portata sanante da annettersi alle informazioni fornite successivamente al primo contatto è stata più volte esaminata dalla Sezione la quale, con costante orientamento da cui non si ravvisano ragioni per discostarsi, ha affermato l’irrilevanza della possibilità che informazioni più dettagliate siano fornite o rese comunque disponibili in un contesto diverso o in una fase successiva a quella in cui la condotta si realizza, dovendo la correttezza della stessa essere verificata nell’ambito dello stesso contesto di comunicazione in cui la pratica commerciale oggetto di indagine viene integrata, e non già sulla base di ulteriori informazioni caratterizzanti diverse condotte o sulla base di informazioni che il professionista renda disponibili a contatto già avvenuto (ex plurimis: TAR Lazio – Roma – Sez. I – 20 gennaio 2010 n. 633; 20 settembre 2010 n. 32371; 24 giugno 2010 n. 20910; 21 luglio 2010 n. 27458; 3 marzo 2010, n. 3287; 8 settembre 2009 n. 8395, n. 9743 del 2009; 14 settembre 2009, n. 8670; n. 276 del 2008).

Ed infatti, l’omissione informativa in ordine alla reale consistenza dell’offerta non viene sanata dalla circostanza della possibilità di ottenere ulteriori dettagli informativi non contestuali al messaggio promozionale che risulti idoneo, nella sua decettività, ad agganciare il consumatore, risultato questo che costituisce, in definitiva, lo scopo del messaggio stesso e che viene raggiunto attraverso la sua ingannevolezza, determinata dalle modalità di sua presentazione complessiva che non consente una precisa ed immediata percezione dell’offerta reale.

Scopo della disciplina dettata a tutela del consumatore è, difatti, quello di salvaguardare la libertà di autodeterminazione del consumatore sin dal primo contatto pubblicitario, imponendo al professionista un particolare onere di chiarezza nella propria strategia comunicativa.

L’ingannevolezza del messaggio non è, quindi, esclusa dalla possibilità che il consumatore sia posto in condizione, prima della adesione al servizio – come affermato da parte ricorrente – di conoscere tutti i dettagli dell’offerta reclamizzata, in quanto la verifica dell’Autorità riguarda il messaggio pubblicitario in sé, e pertanto la sua intrinseca idoneità a condizionare le scelte dei consumatori, indipendentemente dalle informazioni che il professionista renda disponibili a "contattò già avvenuto, e quindi ad effetto promozionale ormai prodotto.

Ed infatti, l’esigenza di chiarezza e completezza dei messaggi pubblicitari è imposta sin dal primo contatto, attraverso il quale devono essere messi a disposizione del consumatore gli elementi essenziali per una immediata percezione dell’offerta economica reclamizzata, imponendo la disciplina dettata a tutela dei consumatori che la reclamizzazione dell’offerta risponda a determinati standards di chiarezza e percepibilità, ed essere quindi veicolata attraverso mezzi idonei e contenere tutti gli elementi essenziali della stessa al fine di consentire al consumatore di percepirne correttamente le portata e le condizioni di fruibilità.

Coerentemente, quindi, con la struttura dell’illecito e con le finalità degli strumenti di tutela apprestati dall’ordinamento, la verifica di ingannevolezza di un messaggio va condotta con riferimento al messaggio in sé e per sé considerato, nella sua idoneità a condizionare le scelte dei destinatari, indipendentemente dalle informazioni che il professionista renda disponibili successivamente alla produzione dell’effetto promozionale, dovendo l’informazione pubblicitaria essere completa e non ingannevole ex se considerata, sulla base del principio della c.d. autosufficienza informativa.

Il giudizio in ordine al carattere di ingannevolezza di un messaggio pubblicitario va, pertanto, effettuato ex ante con esclusivo riferimento alla portata dello stesso, costituendo il contatto del destinatario del messaggio con il professionista il raggiungimento del risultato che il messaggio si prefigge, così consumandosi l’ingannevolezza dello stesso che mira, appunto, ad indebitamente orientare le scelte dei destinatari inducendoli a contattare il professionista.

Pertanto, alla luce delle finalità della disciplina dettata in materia di pubblicità ingannevole nei rapporti tra professionisti e consumatori e dei parametri cui ancorare il carattere di ingannevolezza, nessun pregio può assumere la circostanza che i caratteri di completezza e chiarezza dell’informazione siano integrati in una fase successiva a quella della diffusione del messaggio.

Applicando tali coordinate interpretative alla pratica commerciale in esame, la circostanza che le effettive condizioni economiche del servizio offerto tramite la denominazione "Internet Gratis" siano contenute in una diversa pagina web attraverso il relativo link, non assolve all’onere di chiarezza e completezza informativa che deve caratterizzare i rapporti tra professionisti e consumatori sin dal primo contatto, risultando omesse, in tale fase, le informazioni rilevanti per la corretta percezione dell’offerta, al contempo inducendo i consumatori a ritenere che la stessa si riferisca alla possibilità di navigare gratuitamente, laddove il servizio, al contrario, è soggetto al pagamento del costo di collegamento telefonico e dello scatto alla risposta.

Peraltro, il Codice del Consumo, all’art. 23, lettera v), tipizza espressamente in termini di pratica in ogni caso ingannevole la fattispecie consistente nel "descrivere un prodotto come gratuito o senza alcun onere, se il consumatore deve pagare un supplemento di prezzo rispetto al normale costo necessario per rispondere alla pratica commerciale e ritirare o farsi recapitare il prodotto", in tal modo elevando lo standard informativo che deve caratterizzare una pratica commerciale in cui si faccia riferimento al termine gratis, nella consapevolezza della particolare valenza accattivante di tale termine e della conseguente sua insidiosità per il consumatore.

La fattispecie viene in tal modo ricondotta nella c.d. black list delle pratiche commerciali considerate in ogni caso ingannevoli sulla base di un giudizio di scorrettezza operato ex ante dal legislatore in ragione della fisionomia della pratica e del carattere oggettivamente offensivo per gli interessi dei consumatori.

Le considerazioni sin qui illustrate consentono, quindi, di agevolmente disattendere le censure di parte ricorrente secondo cui l’Autorità avrebbe trascurato di considerare la portata complessiva del messaggio, asseritamente esprimendo una valutazione parziale, non potendo condividersi l’affermazione secondo cui il servizio sarebbe stato descritto sin dall’inizio come servizio a pagamento, né potendo l’onere di completezza e chiarezza informativa ritenersi adempito in virtù delle concrete modalità di sottoscrizione del servizio, veicolate attraverso un percorso obbligato, dovendo invece attribuirsi rilevanza autonoma, nella sua decettività, alla dizione "Internet Gratis’, in quanto chiarita e delimitata nella sua reale portata solo attraverso informazioni non contestuali.

Con specifico riferimento ai messaggi diffusi tramite internet, giova ricordare che, secondo l’orientamento già espresso dalla Sezione (TAR Lazio – Roma – Sez. I – 21 gennaio 2010 n. 647) non può escludersi la loro ingannevolezza in ragione dell’accessibilità alle informazioni relative alle condizioni economiche dell’offerta attraverso la consultazione dei vari link che, dalla pagina principale del sito, alle stesse rinviano.

Pur dovendo le informazioni riportate in una pagina web essere decodificate con riferimento al contenuto dell’intero sito, salvaguardando, dunque, la tendenziale unicità del messaggio, è tuttavia necessario che le informazioni di fondamentale importanza per i consumatori, ai fini della valutazione della convenienza dell’offerta, debbano comunque essere rese loro disponibili fin dal primo contatto pubblicitario, tenuto anche conto che l’elaborazione di pagine web si presta, più agevolmente rispetto ad altri mezzi di comunicazione, ad un’informazione completa ed esauriente, cosicché l’analisi della correttezza della comunicazione commerciale va effettuata attraverso un’attenta analisi della struttura del sito e del relativo impatto comunicativo, non potendosi escludere che, accanto a consumatori particolarmente esperti, in grado di accedere ad ogni informazione ivi presente, ve ne siano altri che, invece, si fermeranno al primo livello, senza volere, o sapere, effettuare ulteriori approfondimenti.

Destituita di fondamento deve, altresì, ritenersi la censura con cui parte ricorrente lamenta la perplessità dell’iter valutativo seguito dall’Autorità nel qualificare la pratica sanzionata come genericamente scorretta nella comunicazione di avvio del procedimento, definendola manifestamente scorretta e grave in sede di rigetto degli impegni presentati, e nuovamente definita scorretta con il provvedimento finale, venendo in rilievo qualificazioni della condotta del tutto coerenti con lo sviluppo procedimentale in cui sono state espresse, che non rivelano alcun profilo di incertezza o ambiguità, né di contraddittorietà tra loro.

Negativamente delibate le censure proposte avverso le valutazioni effettuate dall’Autorità in ordine alla scorrettezza della pratica commerciale sanzionata, la disamina rimessa al Collegio deve indirizzarsi alle doglianze con cui parte ricorrente contesta la quantificazione della sanzione irrogata, asseritamente adottata in violazione dei criteri normativi di riferimento, avuto particolare riguardo a quelli inerenti la gravità e la durata della condotta, nonché a quello relativo all’opera svolta per eliminare a attenuare le conseguenze dell’infrazione.

Con specifico riferimento al giudizio di gravità formulato dall’Autorità, non sono invero riscontrabili i denunciati caratteri di genericità ed estraneità degli elementi assunti a suo fondamento rispetto alla normativa di riferimento, essendo tale giudizio basato su puntuali argomentazioni ancorate alla specificità della condotta e coerenti con la disciplina di riferimento.

La gravità della violazione è stata, innanzitutto, ricondotta alla tipologia delle omissioni informative riscontrate le quali, per come dianzi esposto, attengono alle condizioni economiche dell’offerta, che costituiscono elementi essenziali al fine di consentire ai consumatori l’esatta percezione del relativo contenuto a fronte del ricorso al termine gratis, idoneo ad indurli in errore, omettendo quindi il professionista di rendere palese, sin dal primo contatto, l’onerosità del servizio con riferimento al costo del collegamento telefonico e del costo dello scatto alla risposta.

Ancora, il giudizio di gravità della condotta è stato correttamente parametrato alle modalità di prospettazione delle condizioni economiche alle quali è offerto il servizio di accesso ad Internet in modalità dialup, la cui esatta percezione viene consentita solo attraverso il rinvio tramite link ad altre pagine del web, a fronte della iniziale prospettazione della gratuità del servizio.

Non viene, inoltre – contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente – introdotta una speciale responsabilità del professionista in ragione dell’avvenuta modulazione del giudizio di gravità della condotta rispetto al settore cui l’offerta inerisce, ovvero quello dell’offerta di servizi di connessione, essendo tale elemento funzionale alla contestualizzazione della pratica in esame ed alla individuazione del livello di diligenza richiesto in capo al professionista.

Correttamente, quindi, l’Autorità ha ritenuto che in tale settore l’obbligo di completezza e chiarezza delle informazioni veicolate si presenti particolarmente stringente, anche in ragione dell’asimmetria informativa in cui versano i consumatori rispetto agli operatori di telefonia a fronte del proliferare di promozioni e tariffe e dell’offerta di servizi sempre più evoluti sotto l’aspetto tecnico. Avuto riguardo a tale settore, essendo la società ricorrente il principale operatore telefonico nazionale attivo da tempo, la condotta sanzionata rivela il carattere di palese contrarietà alla diligenza professionale, stante la specifica competenza del professionista, consapevole conseguentemente della natura essenziale delle informazioni omesse e delle modalità di prospettazione di detto servizio.

Non può, inoltre, condividersi quanto affermato da parte ricorrente che, al fine di censurare la quantificazione della sanzione, individua i destinatari del messaggio, diffuso tramite internet, nei consumatori che hanno familiarità con il mezzo e con le condizioni economiche comunemente praticate con riferimento alla navigazione, e ciò in quanto proprio la modalità di diffusione del messaggio, avvenuta via internet, è idonea a raggiungere un pubblico molto vasto ed indifferenziato, composto – come sopra accennato – sia da utenti esperti che da utenti non esperti, risultando pertanto corretta la valutazione dell’Autorità circa il significativo impatto che ha avuto la pratica per essere stata realizzata attraverso internet.

Anche le valutazioni effettuate dall’Autorità con riferimento all’avvenuta compensazione tra le circostanze aggravanti a carico della società ricorrente – in quanto già destinataria di giudizi di scorrettezza – e l’attenuante rappresentata dal comportamento collaborativo tenuto della stessa, resiste alle proposte censure, essendo stato attribuito il giusto rilievo alla circostanza che la T. abbia spontaneamente rimosso il messaggio nella forma oggetto di valutazione a seguito della comunicazione di avvio del procedimento – rinominando la dizione "Internet Gratis" con "Internet DialUp" – risultando tale compensazione coerente con la disciplina di riferimento, di cui costituisce corretta applicazione, e con la riscontrata insussistenza dei presupposti per l’accoglimento degli impegni presentati dalla ricorrente.

In conclusione, alla luce delle considerazioni sin qui illustrate, il ricorso in esame va rigettato stante la rilevata infondatezza delle censure con lo stesso proposte.

Le spese possono trovare compensazione nei confronti della W.T. S.p.a., che non ha svolto attività difensiva, mentre vanno poste a carico della società ricorrente, sulla base della regola della soccombenza, nei confronti della resistente Amministrazione, e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 9608/2008 R.G., come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente al pagamento a favore della resistente Amministrazione delle spese di giudizio, che liquida in complessivi euro 2.000 (duemila), compensandole nei confronti della W.T. S.p.a.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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