T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 31-05-2011, n. 4901

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone in fatto la società odierna ricorrente che in data 22 gennaio 2008 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato nei propri confronti un procedimento volto all’accertamento della sussistenza di eventuali violazioni al Codice del Consumo con riferimento al servizio denominato "Internet Gratis’, avuto particolare riguardo alle condizioni economiche alle quali è offerto il servizio T. di accesso ad internet in modalità dialup, con contestuale richiesta di informazioni cui la società ricorrente ha dato puntuale riscontro, presentando altresì impegni ai sensi dell’art. 27, comma 7, del Codice del Consumo volti ad eliminare dalla denominazione del servizio il riferimento alla sua gratuità.

In data 14 febbraio 2008 l’Autorità ha proceduto alla integrazione del procedimento ipotizzando la sussistenza dei presupposti per procedere all’eventuale sospensione provvisoria della pratica commerciale indagata.

Con successivo provvedimento del 10 marzo 2008, preso atto dell’avvenuta modifica della pratica in contestazione, l’Autorità ha ritenuto essere venuta meno qualsiasi esigenza di urgenza per l’adozione della misura cautelare.

Con provvedimento del 27 marzo 2008, sono stati rigettati gli impegni presentati dalla società ricorrente nella considerazione che, ad una prima analisi, la condotta integrasse una pratica commerciale manifestamente scorretta.

Avverso tale provvedimento deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:

I – Violazione dell’art. 27, comma 7, del D.Lgs. n. 206 del 2005 come modificato dal D.Lgs. n. 146 del 2007. Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990. Erronea qualificazione della fattispecie. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, ed in particolare mancanza dei presupposti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, perplessità.

Afferma parte ricorrente l’erronea ricostruzione, da parte dell’Autorità, della natura e delle caratteristiche del servizio, nonché delle sue modalità di presentazione al pubblico, sostenendo che la dicitura "Internet Gratis" non costituirebbe un claim pubblicitario, ma identificherebbe il servizio di connettività ad internet offerto da T. attraverso il marchio Alice, il portale Virgilio, ed il sito www.tin.it, caratterizzato dall’assenza di costi di attivazione e di costi mensili, dovendo pertanto ritenersi effettiva la gratuità del servizio in quanto riferita all’assenza di costi diversi da quelli di navigazione, prevedendo il servizio unicamente costi di accesso e lo scatto alla risposta, come dettagliatamente rappresentati ai consumatori nelle pagine web ed all’interno del percorso obbligato che conduce all’attivazione del servizio.

Nel richiamare la disciplina dettata in materia di accessibilità alla procedura con impegni, denuncia parte ricorrente come l’Autorità abbia immotivatamente negato l’ammissibilità degli impegni dalla stessa presentati qualificando la pratica come manifestamente scorretta anche attraverso il richiamo all’art. 23, lettera v), del Codice del Consumo, sulla base di un ragionamento tautologico e senza esprimere alcuna valutazione in ordine alla gravità della condotta, sostenendo in proposito la necessità della cumulativa ricorrenza, per poter legittimamente rigettare gli impegni, del riscontro, prima facie, sia della manifesta scorrettezza che della gravità della condotta, non potendo quest’ultimo profilo ritenersi assorbito nel primo.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso e sostenendone nel merito l’infondatezza, con richiesta di corrispondente pronuncia.

Alla Pubblica Udienza del 6 aprile 2011, la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori delle parti, trattenuta per la decisione, come da verbale.
Motivi della decisione

Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso il provvedimento – meglio descritto in epigrafe nei suoi estremi – con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (hic hinde Autorità) ha rigettato gli impegni presentati dalla società ricorrente, ai sensi dell’art. 27,comma 7, del Codice del Consumo, successivamente all’avvio del procedimento volto ad accertare l’eventuale violazione degli artt. 19, 20, 21 22 e 23 del Codice del Consumo in relazione alla condotta consistente nella promozione del servizio T. di accesso ad internet con modalità dialup, denominata "Internet Gratis’.

A sostegno della proposta azione deduce parte ricorrente l’illegittimità del gravato provvedimento in quanto carente sotto il profilo della motivazione, per essersi l’Autorità limitata a qualificare la pratica come manifestamente scorretta, anche attraverso il richiamo all’art. 23, lettera v), del Codice del Consumo, sulla base di un ragionamento tautologico e senza esprimere alcuna valutazione in ordine alla gravità della condotta, laddove, secondo parte ricorrente, la non ammissibilità degli impegni potrebbe trovare legittimo fondamento unicamente nei casi in cui sia riscontrabile, prima facie, la ricorrenza, cumulativamente, sia della manifesta scorrettezza che della gravità della condotta, non potendo quest’ultimo profilo ritenersi assorbito nel primo.

La delibazione in ordine alle proposte censure suggerisce di preliminarmente riferire il contenuto del gravato provvedimento di rigetto degli impegni, il quale trova il proprio fondamento nella considerazione che gli stessi "si riferiscono ad una pratica commerciale che, ad una prima analisi, non appare avere connotati tali da consentire, nel caso di specie, l’applicazione della norma di cui all’art. 27, comma 7, del D.Lgs. n. 206 del 2005" in quanto "la prospettazione di un servizio come gratuito o senza alcun onere nelle comunicazioni commerciali, anche alla luce delle previsioni di cui all’art. 23, lettera v), integra una fattispecie di pratica commerciale manifestamente scorretta e pertanto esclusa dall’ambito applicativo del citato articolo".

Ciò posto, il Collegio è chiamato a preliminarmente pronunciarsi sull’eccezione, sollevata dalla resistente Amministrazione, di inammissibilità del ricorso, articolata sull’assunto che il provvedimento di rigetto degli impegni non costituisca atto provvedimentale autonomamente impugnabile.

Ai fini del decidere in ordine a tale eccezione occorre preliminarmente procedere alla ricostruzione della fisionomia dell’istituto degli impegni, come delineata dall’art. 27 del Codice del Consumo.

Dispone tale norma, come modificata dal D.Lgs. 2 agosto 2007 n. 146, al comma 7, che "Ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale, l’Autorità può ottenere dal professionista responsabile l’assunzione dell’impegno di porre fine all’infrazione, cessando la diffusione della stessa o modificandola in modo da eliminare i profili di illegittimità. L’Autorità può disporre la pubblicazione della dichiarazione dell’impegno in questione a cura e spese del professionista. In tali ipotesi, l’Autorità, valutata l’idoneità di tali impegni, può renderli obbligatori per il professionista e definire il procedimento senza procedere all’accertamento dell’infrazione".

In ragione delle conseguenze derivanti dall’accettazione degli impegni presentati dal professionista nell’ambito dell’accertamento della eventuale scorrettezza di una pratica commerciale, non ritiene il Collegio poter accedere alla tesi della non autonoma impugnabilità della determinazione con la quale l’Autorità rigetti gli impegni presentati da una delle parti coinvolte nell’apertura di un procedimento istruttorio, formulata sull’assunto che trattasi di atto a mero rilievo endoprocedimentale.

L’accettazione degli impegni, infatti, determina la chiusura del procedimento dinanzi all’Autorità e scongiura, quindi, l’applicabilità di sanzioni a fronte dell’eventuale accertamento della scorrettezza della pratica oggetto di indagine.

In ragione degli effetti conseguenti alla decisione di rigetto degli impegni – che implica la prosecuzione del procedimento accertativo – deve ritenersi la sussistenza, in capo al soggetto i cui comportamenti abbiano formato oggetto di attenzione da parte dell’Autorità, di una posizione giuridica evidentemente tutelabile, atteso che – in difetto dell’accoglimento degli impegni – il procedimento avviato non potrebbe non essere portato a conclusione, con riveniente attitudine della conclusiva determinazione ad arrecare un pregiudizio patrimoniale in ragione della irrogabilità delle previste sanzioni amministrative pecuniarie.

A tale conclusione il Collegio ritiene di dover pervenire pur in presenza di pronunce della Sezione in cui si è affermata l’inammissibilità del ricorso proposto avverso il diniego di accettazione degli impegni, cui peraltro hanno fatto seguito pronunce di segno diverso, alle quali ultime il Collegio ritiene di doversi adeguare (ex plurimis: TAR Lazio – Roma – Sez. I – 2010 n. 3374 con argomentazioni che, pur se riferite alla materia antitrust, rivestono portata generale valevole anche per la materia delle pratiche commerciali scorrette, nel cui ambito l’istituto degli impegni ripete la propria fisionomia da quello dettato in materia antitrust).

L’interesse all’impugnazione va, pertanto, ricondotta alla portata autonomamente lesiva dell’atto con cui l’Autorità non aderisce alla sistemazione di interessi prospettata dal soggetto cui è imputabile la condotta oggetto di accertamento, con proposizione evidentemente autolimitativa, nonché alla mancata interruzione del procedimento che avrebbe, diversamente, fatto seguito all’accettazione degli impegni stessi.

Non può conseguentemente escludersi che tale atto abbia, rispetto al provvedimento conclusivo del procedimento, autonoma portata effettuale ed altrettanto autonoma idoneità a costituire una posizione legittimante ai fini dell’attivazione del controllo giurisdizionale, per l’effetto dovendosi escludere la fondatezza dell’eccezione in rito sollevata dalla difesa erariale.

Procedendo all’esame delle censure proposte avverso il gravato provvedimento di rigetto degli impegni presentati dalla società ricorrente, è utile completare la ricognizione del relativo quadro normativo di riferimento, precisando che l’istituto delineato dal citato art. 27, comma 7, del Codice del Consumo, come sostituito – unitamente al complesso degli articoli da 18 a 27- dall’art. 1 del D.Lgs. 2 agosto 2007, n. 146, emanato in attuazione della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2005/29/CE dell’11 maggio 2005 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la Direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le Direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio e il Regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio ("direttiva sulle pratiche commerciali sleali") – comma che peraltro non trova specifico riscontro nelle disposizioni della direttiva comunitaria – appare modellato su quello della c.d. "decisione con impegni", introdotto, nell’ambito della tutela della concorrenza, dall’art. 9 del Regolamento CE n. 1/2003 e, analogamente a quest’ultimo, comporta una valutazione ampiamente discrezionale da parte dell’Autorità, tenuto conto del fatto che l’accettazione degli impegni non produce quell’effetto di chiarimento della regola giuridica che deriva, invece, dalle decisioni con le quali venga accertata la sussistenza e consistenza di un’infrazione.

Più specificamente, l’istituto è ispirato, nella sua struttura e nelle sue finalità, agli "impegni" noti alla legislazione antitrust comunitaria, già disciplinati dall’art. 3 del Regolamento del Consiglio (CEE) n. 17/1962 del 6 febbraio1962 (di attuazione degli artt. 85 e 86 del Trattato Istitutivo della Comunità Europea, ora artt. 81 e 82 della versione consolidata integrata dal Trattato di Nizza del 26 febbraio 2001, pubblicato nella G.U.C.E. 24 dicembre 2002, n. C 325), e quindi dall’art. 9 del successivo Regolamento del Consiglio (CE) n. 1/2003 del 16 dicembre 2002 (in tal senso: T.A.R. Lazio – Roma – Sez. I – 8 aprile 2009, n. 3723). Le disposizioni citate, come noto, autorizzano la Commissione a obbligare, mediante decisione, le imprese e associazioni d’impresa a porre fine all’infrazione (ossia a cessare da pratiche concordate anticoncorrenziali o da abusi di posizione dominante), mentre l’art. 5 del Reg. n. 1/2003, nel demandare alle Autorità garanti della concorrenza negli Stati membri l’applicazione degli artt. 81 e 82 "in casi individuali", egualmente le ha autorizzate ad "accettare impegni" di tal genere.

In attuazione dell’art. 5 del Reg. (CE) n. 1/2003, è stato introdotto – dall’art. 14 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248- l’art. 14 ter della legge 10 settembre 1990, n. 287, che consente alle imprese, entro tre mesi dall’apertura dell’istruttoria per l’accertamento di un’infrazione alla disciplina antitrust nazionale o comunitaria, la presentazione d’impegni che – ove valutati idonei dall’Autorità – sono resi obbligatori e comportano la chiusura del procedimento senza accertamento dell’infrazione, con sanzione sino al 10% del fatturato nel caso di mancato rispetto degli impegni.

Con riferimento agli impegni previsti dall’art. 14 ter della legge n. 287 del 1990, questo Tribunale ha già avuto modo di precisare che l’accettazione degli impegni rispecchia valutazioni di ampia discrezionalità e che può essere rifiutata quando l’Autorità ritenga di dover comunque disporre l’irrogazione di una sanzione amministrativa in ragione della natura ed entità dell’infrazione, arguendo dal "considerando" di cui al punto 13 del Reg. (CE) n. 1/2003, secondo il quale "Le decisioni concernenti gli impegni non sono opportune nei casi in cui la Commissione intende comminare un’ammenda" (cfr. T.A.R. Lazio – Roma – Sez. I – 6 giugno 2008, n. 557; 13 luglio 2010, n. 24991).

La disciplina degli impegni di cui all’art. 27 comma 7 del D.Lgs. n. 206 del 2005 è stata integrata con le disposizioni contenute nell’art. 8 del Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pratiche commerciali e scorrette, di cui al provvedimento n. 17589, assunto con deliberazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 15 novembre 2007, il quale a sua volta prevede testualmente che "Entro e non oltre trenta giorni dalla ricezione della comunicazione di avvio del procedimento, il professionista può presentare, in forma scritta, impegni tali da far venire meno i profili di illegittimità della pratica commerciale" (comma 1). "L’Autorità valuta gli impegni e: a) qualora li ritenga idonei, dispone con provvedimento la loro accettazione rendendoli obbligatori per il professionista, chiudendo il procedimento senza accertare l’infrazione; b) qualora li ritenga parzialmente idonei, fissa un termine al professionista per un’eventuale integrazione degli impegni stessi; c) nei casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale di cui all’articolo 27, comma 7, del Codice del Consumo o in caso di inidoneità degli impegni, delibera il rigetto degli stessi" (comma 2). "Successivamente alla decisione di accettazione di impegni, il procedimento potrà essere riaperto d’ufficio, laddove: a) il professionista non dia attuazione agli impegni assunti; b) si modifichi la situazione di fatto rispetto ad uno o più elementi su cui si fonda la decisione; c) la decisione di accettazione di impegni si fondi su informazioni trasmesse dalle parti che siano incomplete, inesatte o fuorvianti" (comma 3).

Orbene, dal coordinamento esegetico tra le disposizioni normative e regolamentari è agevole desumere che la sfera delle pratiche commerciali scorrette alle quali risulta riferibile l’istituto degli impegni è limitata a fattispecie di maggiore tenuità e minore impatto socioeconomico, stante l’espressa esclusione per le ipotesi di pratiche "manifestamente scorrette e gravi", che – deve ritenersi – individua una sorta di endiadi, essendo arduo immaginare che una pratica grave non sia anche "manifestamente", ossia ictu oculi, scorretta, e che a sua volta una pratica di palese evidente scorrettezza non presenti, proprio in funzione della sua qualificata scorrettezza, profili di gravità (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 13 luglio 2010, n. 24991)

Tale conclusione è confermata dalla circostanza che l’accettazione degli impegni da parte dell’Autorità implica la chiusura del procedimento istruttorio senza assunzione di alcun provvedimento, precludendo l’accertamento dell’infrazione, salva la sua riapertura nelle ipotesi espressamente previste (violazione degli impegni assunti, modificazioni della situazione di fatto presupposta all’accettazione degli impegni, erronea e fuorviante rappresentazione degli elementi informativi comunicati e considerati ai fini dell’accettazione degli impegni).

In sostanza, il legislatore nazionale ha introdotto un meccanismo di "definizione semplificata" per le pratiche commerciali scorrette di minore entità (potrebbe dirsi con assonanza penalistica "bagatellari"), fondato sulla formulazione di impegni da parte del professionista che risultino compiutamente idonei, secondo le circostanze e la discrezionale valutazione dell’Autorità, a determinare la cessazione della pratica, la eliminazione dei suoi effetti e/o comunque dei suoi profili d’illegittimità, secondo un meccanismo che richiama, in qualche modo, nei suoi presupposti, se non ovviamente nei suoi effetti, la desistenza volontaria ed ancor più il recesso attivo del delitto tentato e che invece, nella disciplina generale delle violazioni implicanti l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie, incide soltanto sulla determinazione della misura della sanzione (ai sensi dell’art. 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689, infatti, l’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione assume rilievo, assieme alla gravità della violazione, alla personalità dell’autore e alle sue condizioni economiche, l ai fini della determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo).

Le superiori considerazioni consentono, quindi, di disattendere quanto prospettato da parte ricorrente in ordine alla affermata natura necessariamente cumulativa dei presupposti della manifesta scorrettezza e della gravità della condotta – assumendo su tale base, parte ricorrente, che solo la loro contestuale ricorrenza potrebbe legittimare il rigetto degli impegni – dovendo in proposito ulteriormente rilevarsi che il giudizio di gravità di una pratica commerciale generalmente affonda le proprie radici, anche ai fini della quantificazione della sanzione da irrogare, nei riscontrati profili di scorrettezza della condotta, come parametrati all’onere di diligenza professionale, concretamente esigibile, nella fattispecie ritenuto violato, con la conseguenza che coerentemente accede ad una valutazione di manifesta scorrettezza di una condotta – convogliata dalla disamina dei tratti tipizzanti la pratica esaminata, dalla contrarietà allo specifico grado di diligenza richiesto e dal relativo impatto della stessa – espressa in sede di delibazione in ordine agli impegni presentati dal professionista in ambito procedimentale, anche il carattere di gravità della stessa.

Il che trova, peraltro conferma nella costante applicazione pratica da parte dell’Autorità della disciplina di riferimento, convalidata dalle pronunce al riguardo sollecitate in sede giurisdizionale.

Avuto riguardo al diverso profilo di censura con cui parte ricorrente contesta la mancanza di una motivazione idonea a sorreggere la gravata determinazione, rileva il Collegio che, alla luce della richiamata disciplina normativa, anche in materia di pratiche commerciali scorrette l’Autorità è chiamata a valutare, nell’esercizio di una potestà altamente discrezionale, la ricorrenza dei previsti presupposti, ovvero, ferma restando la preclusione alla possibilità di accettazione degli impegni nelle ipotesi di "manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale", l’idoneità delle misure correttive proposte a rimuovere i profili di illegittimità della condotta e la sussistenza di un rilevante interesse pubblico all’accertamento dell’eventuale infrazione.

La disciplina di riferimento, difatti, nel circoscrivere, attraverso la previsione di specifici limiti all’applicabilità dell’istituto degli impegni, la potestà discrezionale dell’Autorità, ne riconosce tuttavia l’ampia latitudine relativamente all’accertamento della sussistenza di tali limiti ed alla valutazione circa la ricorrenza di condizioni che, per la peculiarità e complessità del caso concreto, ovvero per la necessità di stabilire dei principi con riguardo ad una fattispecie inedita, o ad un mutato assetto di mercato, ovvero, ancora, per la presenza di un interesse dell’Autorità ad irrogare un’ammenda (attesa la funzione deterrente e di monito per gli operatori rivestita da quest’ultima), giustifichino – o meno – il rigetto degli impegni presentati, così procedendo, concludendo il procedimento ordinario, all’accertamento dell’infrazione.

Tanto precisato, va quindi dato atto che la motivazione sottesa al gravato provvedimento di rigetto degli impegni – nel qualificare la condotta come manifestamente scorretta, seppur alla prima analisi propria della fase procedimentale in cui si innesta tale valutazione – risulta aderente al paradigma normativo di cui all’art. 27, comma 7, del Codice del Consumo, che preclude l’applicazione dell’istituto degli impegni nei casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale.

Appare in proposito utile rilevare, in linea generale, avuto riguardo al sindacato giurisdizionale in materia di impegni presentati dai professionisti nell’ambito di procedimenti volti all’accertamento di eventuali profili di scorrettezza delle pratiche commerciali, che il giudizio dell’Autorità, reso a fronte della presentazione degli impegni, in quanto esternato in una fase anteriore alla conclusione del procedimento – e, quindi, prima che l’attività istruttoria sia completata e che le parti del procedimento stesso precisino, nelle modalità consentite, le proprie conclusioni – non può contenere quel complesso di considerazioni e valutazioni la cui disponibilità in capo alla procedente Autorità postula il necessario completamento dell’iter procedimentale.

Difatti, nel momento in cui vengono presentati gli impegni – e, conseguentemente, l’Autorità è chiamata a decidere se accettarli o meno – il giudizio sotteso a tale determinazione non può non assumere carattere necessariamente prognostico, con la conseguenza che le valutazioni effettuate dall’Autorità in ordine alla idoneità degli impegni a rimuovere i profili di illegittimità, o in ordine alla gravità della fattispecie ovvero alla manifesta scorrettezza della pratica commerciale oggetto di indagine, possono essere vagliate, in sede di sindacato giurisdizionale, solo sulla base del complesso di elementi e fatti a quel momento concretamente disponibili da parte dell’Autorità.

Discende, ulteriormente, dal segmento procedimentale cui accede la decisione sugli impegni, la possibile diversità delle conclusioni adottate al termine del procedimento, ben potendo, ad esempio, un giudizio di gravità – tale da non consentire l’accettazione degli impegni – essere ridimensionato o diversamente apprezzato nel momento in cui l’Autorità rassegni le proprie conclusioni sull’indagata fattispecie di violazione alle prescrizioni del Codice del Consumo, senza che ciò necessariamente integri un’ipotesi di contraddittorietà fra determinazioni assunte nel quadro del medesimo svolgimento procedimentale.

Ed infatti – precisato che, nella fattispecie in esame, in esito allo svolto procedimento l’Autorità ha ritenuto la scorrettezza della pratica con delibera del -19 giungo 2008, gravata con ricorso N. 9608/2008 R.G. – alla diversità dei momenti in cui le due distinte determinazioni (decisione in ordine all’accettabilità degli impegni e conclusivo provvedimento in ordine alla sussistenza e consistenza della violazione) vengono a cadere, accede un’omologa differenziazione in ordine ai rispettivi presupposti giustificativi, che riverbera inevitabili conseguenze anche sull’onere motivazionale che di ciascuna delle due divisate categorie di atti è proprio.

Sotto il profilo dei presupposti, rilevano, da un lato, elementi di valutazione e di giudizio non ancora conclusivi e suscettibili di essere completati mercé il perfezionamento dell’iter procedimentale e l’acquisizione delle argomentazioni difensive delle parti; dall’altro lato, rilevano la pienezza ed esaustività dei rilievi condotti nel corso dell’attività procedimentale – conclusa – anche in ragione dell’acquisita cognizione delle indicazioni promananti dagli operatori indagati.

Sotto il profilo della motivazione, se il conclusivo provvedimento deve necessariamente dare atto non soltanto degli elementi a fondamento della valutata sussistenza di una fattispecie passibile di sanzione ai sensi della vigente disciplina, ma anche della ponderazione dell’elemento soggettivo (responsabilità) dell’agente e, con riferimento alla consistenza della pratica sanzionabile, delle connotazioni che consentono di apprezzarne il grado di eventuale gravità, anche ai fini della commisurazione della misura afflittiva, diversamente la decisione con la quale vengano rigettati gli impegni necessita di un’attenuata esplicitazione motivazionale, atteso che all’Autorità è richiesto di dare contezza esclusivamente delle sussistenza di ragioni preclusive come riconducibili al ritenuto carattere manifesto della scorrettezza della pratica, o alla non idoneità degli impegni a rimuovere i profili di illegittimità, o al sotteso interesse pubblico all’accertamento ed alla repressione dell’illecito.

Ne consegue che anche la sintetica indicazione della valutazione espressa dall’Autorità deve ritenersi congrua ed adeguata a supportare la decisione di rigetto degli impegni che il professionista abbia dichiarato di voler assumere, al fine di consentire alla stessa Autorità di procedere ulteriormente, portando a conclusione il procedimento.

Ed invero, alla necessaria incompletezza del quadro cognitivo e valutativo cui accede il giudizio sugli impegni – che interviene anteriormente alla conclusione del procedimento – accede il carattere sommario del relativo apprezzamento, che si risolve nel riscontro di ragioni ostative al relativo accoglimento, come indicate dall’art. 27 del Codice del Consumo, all’interno del quadro valutabile al momento in cui gli impegni di che trattasi vengano portati all’attenzione dell’Autorità, avuto particolare riguardo alla emersione di elementi di manifesta scorrettezza e gravità che ne escludano l’attenuata rilevanza a fronte delle contestate violazioni alla disciplina di riferimento in relazione al complessivo atteggiarsi della fattispecie.

Aggiungasi che, avuto specifico riguardo alla fattispecie in esame, il gravato provvedimento di rigetto degli impegni riconduce il formulato giudizio di manifesta scorrettezza della pratica commerciale alla prospettazione di un servizio di connessione ad internet come gratuito e senza oneri, declinando tale giudizio anche attraverso il richiamo all’art. 23, lettera v), del Codice del Consumo, che qualifica ex ante in termini di pratica in ogni caso ingannevole la fattispecie consistente nel "descrivere un prodotto come gratuito o senza alcun onere, se il consumatore deve pagare un supplemento di prezzo…", così elevando lo standard informativo che deve caratterizzare una pratica commerciale in cui si faccia riferimento al termine gratis, con la conseguenza che, essendo il giudizio di scorrettezza già formulato dal legislatore in ragione della natura della pratica, la riscontrata riconducibilità di una condotta alla fattispecie astratta di cui alla citata norma risulta sufficiente ad assolvere il previsto onere motivazionale, senza che sia necessaria alcuna ulteriore esplicitazione delle relative ragioni.

Alla luce delle superiori considerazioni va, dunque, escluso che la decisione con la quale l’Autorità ha disposto la reiezione degli impegni proposti dalla società riveli elementi inficianti alla luce delle deduzioni esplicitate nel ricorso, come vagliate sulla base delle coordinate di giudizio dianzi illustrate, conseguendo alla riscontrata infondatezza delle relative doglianze il rigetto del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso N. 6034/2008 R.G., come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente al pagamento a favore della resistente Amministrazione delle spese di giudizio, che liquida in complessivi euro 1.500 (millecinquecento).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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