Cass. pen., sez. II 21-10-2008 (08-10-2008), n. 39383 Riesame – Poteri del Tribunale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
1.1. Con ordinanza in data 25-5-2008, il Tribunale di Taranto, in sede di riesame, annullava l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal locale G.I.P. in data 28-1-2008 nei confronti, tra gli altri, di D.F. e di N.M. per difetto delle esigenze cautelari.
Secondo l’ipotesi accusatoria il D. e la N. – nella qualità, rispettivamente, il primo, di responsabile legale e di direttore amministrativo e la seconda, di responsabile amministrativo della Casa di cura "(OMISSIS)" – si erano resi responsabili negli anni 2003/2007 del reato di associazione per delinquere finalizzato al compimento di truffe ai danni della Regione Puglia e della ASL (OMISSIS) e del reato-fine di truffa continuata in danno dei suddetti enti.
Il Tribunale – nel confermare il giudizio di "gravità indiziaria" – riteneva che gli indagati, in numero pari a sei, avessero posto in essere un vero e proprio sodalizio criminoso, finalizzato al compimento di una serie di truffe ai danni della sanità pubblica, che aveva operato in modo consolidato nel tempo e con un’efficace divisione dei compiti, in particolare il D., presentando una serie numerosa di richieste di rimborso alla ASL (OMISSIS) per prestazioni non rientranti tra quelle convenzionate, contando sulla compiacenza di un dirigente medico e la N., gestendo il programma informatico, con il quale erano elaborati i dati contenuti nelle schede di dimissione ospedaliere ed emessi i D.R.G. (Diagnosis Related Groups) necessari ai fini del rimborso delle prestazioni da parte del Servizio Sanitario pubblico.
Nell’ordinanza impugnata si descrive diffusamente il meccanismo dei rimborsi erogati alle cliniche private per l’effettuazione di prestazioni mediche accreditate secondo il sistema di finanziamento a prestazione o sistema D.R.G. (Diagnosis Related Groups); viene individuata la funzione centrale del direttore sanitario per i compiti allo stesso spettanti di verifica sulla completezza e appropriatezza dei dati contenuti nelle schede di dimissione ospedaliera (S.D.O.); viene altresì precisato che l’attribuzione al D.R.G. di ciascuno paziente avviene attraverso un software che elabora alcune informazioni contenute nella scheda di dimissione ospedaliera; viene quindi descritto il meccanismo della truffa come ricostruito dagli inquirenti, dopo avere isolato a campione n. 33 interventi di mastoplastica eseguiti nel quadriennio indicato da G.G.M., chirurgo plastico, che svolgeva la propria attività presso la clinica "(OMISSIS)", come operatore esterno; in particolare vengono richiamati i risultati della relazione di consulenza redatta da ausiliario di P.G., secondo cui i n. 33 interventi non avrebbero potuto essere eseguiti in una struttura convenzionate ed essere posti a carico del Servizio Sanitario pubblico, perchè, avendo funzione meramente estetica, non rientravano nei cd. LEA (livelli essenziali di assistenza); si precisa, altresì, che gli artifici e raggiri, posti in essere per conseguire il rimborso, consistevano nel prospettare nei D.R.G., presentati per i rimborsi (in cui era inserito ciascun paziente, sulla base della scheda di dimissione ospedaliera) gli interventi in questione come conseguenti a patologie o malformazioni, dissimulando il carattere puramente estetico degli stessi.
Nel trattare le posizioni dei vari indagati il Tribunale poneva in evidenza alcune "anomalie" della vicenda, quali: l’elevato numero di interventi alle mammelle eseguiti presso la clinica (OMISSIS) in rapporto a quelli dello stesso genere eseguiti negli istituti ospedalieri della città (nel solo anno 2006 n. 43 interventi rispetto a n. 4 o 5 eseguiti in ospedale); l’elevato numero delle pazienti (più della metà di quelle operate alle mammella) ricoverate sulla base di ricette provenienti dal ricettario ASL di uno degli indagati, il dott. V.; la compilazione di dette ricette, per la gran parte, ad opera del G. (con esclusione di sei casi, dei n. 33 oggetto di approfondimento investigativo, in cui la ricetta era sottoscritta dal V. e ciò nonostante le pazienti, sentite a sommarie informazioni, avessero negato di averlo mai conosciuto).
Il Tribunale – con specifico riferimento alla posizione del D. – ne riteneva provata la consapevole e attiva collaborazione alle truffe, tenuto conto che lo stesso aveva sottoscritto, per ben quattro anni, fatture per prestazioni che non rientravano tra quelle rimborsabili dal SSN e che, invece, erano presentate per il rimborso e, di fatto, rimborsate con la compiacenza di un funzionario ASL;
osservava che la circostanza che l’indagato – per quanto affermato in sede di interrogatorio di garanzia – si fosse raccomandato più volte con il G. e con la N. perchè non venissero eseguiti interventi di tipo estetico nella clinica, induceva a ritenere che lo stesso fosse consapevole che, con ogni probabilità, tale tipo di interventi era eseguito nella clinica; d’altra parte, trattandosi del primo beneficiario e destinatario dei rimborsi illegittimamente conseguiti, non era ragionevole ritenere che il G. o la N. avessero agito a sua insaputa o addirittura contro la sua volontà; non residuava poi alcun dubbio ove si considerava il dato anomalo della brusca interruzione degli interventi alle mammelle eseguiti presso la clinica, allorchè il D., nel maggio 2007, era stato attinto da ordinanza custodiale per altra analoga vicenda di rimborsi.
Per quanto riguardava la posizione della N. il Tribunale riteneva acquisiti i gravi indizi di colpevolezza, evidenziando la funzione di responsabile amministrativo della clinica svolta per tredici anni, con l’importante compito di gestire il programma informatico che elaborava le informazioni inserite nelle schede di dimissione ospedaliere al fine di elaborare il codice del DRG, necessario per procedere alla richiesta di rimborso. Si trattava – a parere del Tribunale – di un’attività che non poteva essere considerata meramente esecutiva, che comportava, anzi, un rapporto fiduciario con il D., il quale, probabilmente contava proprio sul suo fedele operato per il buon fine di tutta l’operazione. Una conferma del fatto che la N. potesse decidere o, quantomeno, concorrere a decidere quale tipologia di interventi potessero eseguirsi presso la clinica era desumibile dalla raccomandazione che il D. riferiva di avere fatto a lei (oltre che al G.) di non eseguire interventi estetici.
1.2. Avverso l’ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione sia il D., che la N., per mezzo dei rispettivi difensori, dichiarando di avere interesse alla decisione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione all’art. 314 c.p.p. e art. 405 c.p.p., comma 1 bis.
1.2.1. Nel ricorso nell’interesse del D. viene dedotta la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. In particolare si lamenta che il Tribunale abbia ritenuto sussistente la consapevole e attiva collaborazione dell’indagato alla commissione della truffa sulla base di un inammissibile criterio di responsabilità oggettiva o "di posizione", peraltro travisando le dichiarazioni dallo stesso rese in sede di interrogatorio di garanzia; inoltre la motivazione di mero stile non darebbe contezza della sussistenza degli estremi dell’associazione per delinquere, mancando l’esistenza di uno specifico sodalizio preesistente e permanente rispetto alla commissione dei reati.
1.2.2. Nel ricorso nell’interesse della N. si formulano i seguenti motivi:
– Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza e manifesta illogicità della motivazione – A tal riguardo si lamenta che il Tribunale non abbia preso in esame le specifiche doglianze proposte nell’interesse dell’indagata.
– Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), violazione dell’art. 292 c.p.p., mancanza e illogicità della motivazione – In particolare si deduce che la motivazione è carente, in specie sull’eccezione di nullità dell’ordinanza del G.I.P. formulata sul rilievo che il provvedimento applicativo della misura cautelare era motivata per relationem, riportando pedissequamente la richiesta del P.M..
– Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), violazione dell’art. 273 c.p.p. e art. 416 c.p., mancanza e illogicità della motivazione – Sotto tale profilo si deduce che il Tribunale ha desunto ex post la sussistenza dell’associazione per delinquere, sulla base del mero dato della commissione da (almeno) tre persone di numerosi reati per un tempo sufficientemente lungo.
– Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), violazione dell’art. 273 c.p.p. e art. 640 c.p., mancanza e illogicità della motivazione. – A tali effetti si deduce che il Tribunale è incorso in contraddizione, da un lato, individuando i raggiri nell’avere dissimulato nei D.R.G. il carattere esclusivamente estetico degli interventi e, dall’altro, ritenendo che le richieste fossero "manifestamente illegittime", sicchè la clinica (OMISSIS) non avrebbe potuto conseguire i rimborsi senza la cooperazione del dirigente ASL M., il quale avrebbe dovuto sospendere i rimborsi per attivare i necessari accertamenti.
– Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), violazione dell’art. 273 c.p.p. e artt. 110 e 640 c.p., mancanza e illogicità della motivazione -. Sempre sotto il profilo del vizio logico e della violazione di legge si deduce che il Tribunale è incorso in equivoco sulla reale natura del compito della N., rappresentato dalla delicata operazione di inserimento dei dati nel software; ciò non avrebbe, comunque, consentito all’indagata di "elaborare in partenza" i dati pervenuti per l’immissione, in quanto un’operazione di tal fatta, per un verso, era inammissibile, pena il rischio di un’incongruità dei dati immessi nel sistema e per altro verso, avrebbe richiesto una competenza medica che l’indagata non potrebbe avere; inoltre per la N. (così come per l’altro ricorrente) l’argomento tratto dal Tribunale dall’interrogatorio di garanzia del D. sarebbe frutto di un travisamento del fatto.
2. I motivi di ricorso consentono una trattazione unitaria per la parte in cui affrontano questioni comuni e seguono linee omogenee.
2.1. Una disamina a sè richiede la tematica svolta dalla sola N. relativa all’eccezione pregiudiziale di nullità dell’ordinanza genetica. Al riguardo la ricorrente deduce che il G.I.P. ha pedissequamente riportato nella propria ordinanza la richiesta del P.M. e che, dal canto suo, il Tribunale ha risposto in maniera incompleta e comunque, errata, rigettando l’eccezione di nullità, non potendo ritenersi ammissibile "una mera ricopiatura" da parte del G.I.P. di quanto esposto dall’organo requirente.
Il motivo è manifestamente infondato, avendo il Tribunale risposto all’eccezione in maniera adeguata e conforme ai principi rilevanti in materia, peraltro integralmente "rivisitando" il complesso delle risultanze procedimentali e svolgendo una motivazione, quantomai attenta e approfondita, che, per costante giurisprudenza di questa Corte, integra il provvedimento del G.I.P..
Valga considerare che – secondo un consolidato indirizzo condiviso dal Collegio – il coordinamento dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) e c) bis (in base al quale a pena di nullità, rilevabile anche d’ufficio, il giudice nell’ordinanza cautelare deve esporre le specifiche esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere, esponendo i motivi per i quali non sono stati ritenuti rilevanti gli elementi forniti dalla difesa) e quello dell’art. 309 c.p.p., comma 9 (in base al quale il tribunale può anche confermare il provvedimento cautelare per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dei provvedimento stesso) va stabilito nel senso che al tribunale del riesame deve essere riconosciuto il ruolo di giudice collegiale e di merito sulla vicenda de libertate, onde allo stesso non è demandata tanto la valutazione della legittimità dell’atto, quanto la cognizione della vicenda sottostante e, quindi, primariamente la soluzione del contrasto sostanziale tra la libertà del singolo e la necessità coercitiva, con la conseguenza di relegare la dichiarazione di nullità dell’ordinanza impositiva a ultima ratio delle determinazioni adottabili. Tale nullità, invero, può essere dichiarata solo ove il provvedimento custodiale sia mancante di motivazione in senso "grafico", ovvero ove, pur esistendo una motivazione in tal senso, essa si risolva in clausole di stile, onde non sia possibile, interpretando e rivalutando l’intero contesto, individuare le esigenze cautelari il cui soddisfacimento si persegue (Cass. pen., sez. 6, 10/01/2000, n. 52). Inoltre, quando un provvedimento non si limita a richiamare altro atto, ma ne recepisca graficamente il contenuto, non può certo dirsi che "manchi" di motivazione, dovendo, piuttosto, equipararsi la situazione al caso di motivazione per relationem, e cioè del provvedimento che richiami il contenuto di diverso atto, facendone propria la motivazione. E sulla motivazione per relationem da parte del G.I.P. alla richiesta del P.M. – sia pure con riferimento ai decreti di autorizzazione o di convalida di operazioni di intercettazione telefonica o ambientale – si sono espresse le SS.UU. di questa Corte ritenendola legittima, semprechè l’atto di riferimento sia conosciuto o conoscibile dall’interessato, la motivazione, contenuta nell’atto di riferimento, risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria al provvedimento di destinazione e sia chiaro che il decidente abbia preso cognizione del contenuto delle ragioni del provvedimento di riferimento ritenendole coerenti alla sua decisione (sentenza 21 giugno 2000 n. 17, Primavera).
Orbene – precisato che in caso di ritrascrizione integrale dei contenuti dell’atto di riferimento, non può dubitarsi della sussistenza del primo e del terzo requisito – occorre aggiungere che, nella specie, alla luce della compiuta analisi effettuata dal Giudice del riesame e dello stesso tenore delle deduzioni della ricorrente, non è consentito porre in dubbio neppure l’idoneità del quadro indiziario, descritto dal P.M., a fondare la richiesta cautelare e, una volta recepito dal G.I.P., a consentire, da un lato, un’adeguata difesa all’indagato e, dall’altro, la verifica della sufficienza argomentativa ai Giudici del riesame.
2.2. Con specifico riferimento alle doglianze svolte dal D. osserva il Collegio che il ricorrente, lamentando l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in ordine a entrambi i reati contestati, deduce, peraltro in termini generici, questioni di fatto, sulle quali a fronte di una motivazione articolata e logica – qual è quella fornita dal Tribunale – è precluso il sindacato di legittimità. In tema di misure cautelari personali la valutazione dei peso probatorio degli indizi è, infatti, compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione; viceversa sono inammissibili le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate da detto giudice. Ed è ciò che fa l’odierno ricorrente, il quale si limita a contestare "nel merito" il quadro probatorio evidenziato a suo carico nel provvedimento impugnato, peraltro adducendo in termini apodittici e stereotipati una pretesa inconsapevolezza della reale natura degli interventi, per i quali egli stesso – come direttore sanitario e legale rappresentante della Casa di cura convenzionata con il servizio sanitario pubblico – ebbe a rilasciare fattura e a richiedere i rimborsi per un lungo arco di tempo.
Il complesso degli elementi indiziari emergenti, innanzitutto, dalla relazione dell’ausiliario di P.G. e dalle sommarie informative assunte dalle pazienti risulta collegato nell’ordinanza del Tribunale, con argomentazioni congrue e logiche, a una serie di "anomalie" (quali: l’esorbitante numero di interventi chirurgici alla mammella eseguiti presso la clinica (OMISSIS) rispetto a quelli eseguiti negli ospedali cittadini nello stesso periodo; l’ulteriore singolarità della provenienza della gran parte delle richieste di ricovero dal chirurgo estetico; la brusca interruzione delle operazioni alle mammelle, allorchè il D., insieme ad altri coindagati nel presente procedimento, venne attinto da altra ordinanza custodiale, per una vicenda di rimborsi simile a quella all’esame) così da formare una solida piattaforma indiziaria, insuscettibile di essere "rivista" in questa sede.
2.3. E’ il caso di precisare con riferimento al preteso travisamento dei contenuti dell’interrogatorio di garanzia (questione trattata in entrambi i ricorsi) che il novellato art. 606 c.p.p., lett. e) pur ampliando il novero degli atti utilizzabili per il controllo della motivazione, comprendendovi gli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" – non autorizza incursioni nelle risultanze fattuali, ponendo a carico del ricorrente l’onere di specifica indicazione di tali atti e di illustrazione della necessità del loro esame ai fini della decisione, ovvero, per il caso in cui l’esame sia stato compiuto, della manifesta illogicità o contraddittorietà del risultato raggiunto (Cass. pen., Sez. 2, 21/06/2006, n. 30711). Pertanto, al fine di dimostrare la sussistenza del vizio di motivazione di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e) cit., il ricorrente non può limitarsi ad addurre l’esistenza di "atti del processo" non esplicitamente presi in considerazione nella motivazione o di "atti" processuali che non sarebbero stati correttamente o adeguatamente interpretati dal giudicante, ma deve, invece, identificare l’atto processuale cui fa riferimento; individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta incompatibile con la ricostruzione adottata dalla sentenza impugnata; dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato nonchè della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda.
Inoltre dalla connotazione di specificità dell’indicazione gravante sul ricorrente discende per lui l’onere di rappresentare anche la decisività dell’informazione probatoria, e cioè la sua idoneità a minare dalle radici la struttura logica del ragionamento del giudice, sì che essa, ove considerata o correttamente apprezzata, ne avrebbe orientato il convincimento in tutt’altra direzione, giustificando soluzioni alternative a quella prescelta. In ogni caso occorre che la contraddittorietà della motivazione rispetto agli "altri atti del processo" sia percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Cass. pen., Sez. 4, 28/04/2006, n. 20245).
Orbene, nel caso all’esame, i ricorrenti non hanno allegato copia dell’atto di cui si discute e, in ogni caso, sono rimasti assolutamente inadempiente all’onere a loro carico di "individuare" e "rappresentare" la decisività dell’informazione probatoria. Invero – quand’anche la "frase" dell’interrogatorio di garanzia, che si assume travisata, non si riferisse ad una raccomandazione fatta dal D. al G. e alla N., ma ad una raccomandazione fatta dal D. e dalla N. al G., come assumono i ricorrenti – non per questo risulterebbe scardinato l’impianto logicoargomentativo del Tribunale. Invero l’argomento in parola, peraltro di carattere secondario nel percorso motivazionale seguito dal Tribunale, è volto a porre in evidenza che l’eventualità che nella clinica convenzionata fossero eseguiti interventi estetici (interventi, che come tali non avrebbero potuto essere eseguiti in convenzione) era ben presente al D. e che anche la N. concorreva nella individuazione del tipo di interventi eseguiti nella clinica; e quand’anche pure la N. avesse rivolto la "raccomandazione" di cui si tratta al G. non per questo le argomentazioni del Tribunale andrebbero in crisi.
2.3. Anche i motivi di ricorso della N. – ancorchè prospettati sotto il profilo della carenza motivazionale e della violazione di legge – rapportati ai contenuti concreti del provvedimento impugnato, si rivelano, per un verso, generici per la mancata correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione e, per altro verso, funzionali ad una rivisitazione dell’iter argomentativo e delle stesse risultanze fattuali, che non è consentita in questa sede.
Invero – contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente – il Tribunale non è affatto venuto meno al suo compito motivazionale, ma anche, con riguardo alla posizione di detta indagata, ha dato conto della ragioni della propria decisione, basata sull’esame dettagliato delle risultanze investigative, in armonia con i criteri che nel procedimento de libertate devono presiedere alla valutazione della gravità indiziaria, segnatamente evidenziando il ruolo centrale del responsabile amministrativo nella "buona riuscita" della truffa e, nel contempo, l’implausibilità di una tesi difensiva che (come emerge anche dal ricorso all’esame) per un verso, esalta la delicatezza del compito di inserimento dei dati nel sistema informatico (cd. data-entry) e, per altro verso, tende a svalutare tale attività sino al punto di escludere ogni consapevolezza della reale natura dei "dati" inseriti. Peraltro l’efficacia di tale difesa deve confrontarsi con gli altri dati oggettivi emergenti nell’ordinanza impugnata, quali le già citate "anomalie" (cfr. sub n. 2.2.) e, con specifico riferimento alla N., anche la considerazione del lungo numero di anni, nel corso dei l’indagata ha svolto le funzioni di direttore amministrativo della clinica "(OMISSIS)". In tale contesto il giudizio espresso dal Tribunale circa l’esistenza di un rapporto fiduciario della N. con il D. e in ordine alla specifica capacità dell’indagata di "interloquire" anche sul tipo operazioni da eseguirsi nella clinica non appare illogico, tantomeno manifestamente illogico.
Nella specie la ricorrente non sottopone a sindacato la logicità della motivazione, ma attraverso una diversa ricostruzione degli accadimenti, rispetto a quella effettuata dai giudici di merito, peraltro già valutata, intende pervenire a diverse conclusioni, in punto di gravi indizi. In sostanza, non viene sindacata l’illogicità dell’ordinanza, ma le conclusioni corrette ed adeguate alle quali sono pervenuti i giudici.
Nè le deduzioni difensive denunciano una motivazione incompatibile con la ricostruzione della condotta dell’indagata; in particolare il riferimento, contenuto nell’ordinanza del Tribunale, alla attiva collaborazione nella truffa di altro indagato (il dirigente della ASL M.) non contrasta con quanto affermato in ordine alla dissimulazione della natura (puramente estetica) degli interventi nei D.R.G., ma sta solo a significare che l’artificio avrebbe potuto e dovuto essere smascherato ove fosse stato posto in essere un attivo controllo. E ciò non esclude la truffa, anche perchè il soggetto ingannato non era il funzionario compiacente, ma la ASL e, quindi, la Regione Puglia.
Inoltre le eventuali minime incongruenze sono ininfluenti, una volta che le deduzioni difensive, anche se non compiutamente esaminate, siano tuttavia incompatibili con la decisione impugnata.
2.4. Anche i motivi di ricorso con cui si contesta da entrambi i ricorrenti la sussistenza del reato di cui all’art. 416 c.p. sono in fatto e, comunque, manifestamente infondati.
Invero il Tribunale è pervenuto al convincimento della gravità indiziaria del reato associativo in esito alla compiuta analisi del meccanismo della truffa e, correlativamente, delle posizioni dei vari indagati, ponendo in evidenza, con motivazione logica e articolata, le specifiche competenze e i ruoli di ognuno, l’uniformità degli schemi seguiti per ottenere gli illeciti rimborsi, nonchè le connessioni tra i vari comportamenti.
Si rammenta che la prova in ordine al delitto associativo può desumersi anche dalle modalità esecutive dei reati-scopo, dalla loro ripetizione, dai contatti fra gli autori e dall’uniformità delle condotte, specie se protratte, come nel caso di specie, per un tempo apprezzabile; ed è ciò che ha fatto il Tribunale evidenziando come "la filiera necessaria per perfezionare la truffa ai danni del SSN, è sintomatica di una collaudata struttura organizzativa".
In definitiva tutti i motivi di ricorso sono inammissibili o perchè non riconducibili alla tipologia di cui all’art. 606 c.p.p. o perchè non sufficientemente specifici o perchè manifestamente infondati. A mente dell’art. 616 c.p.p. alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna in solido dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè, in ragione della responsabilità connessa alla natura dei motivi proposti, al versamento di una somma che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00 per ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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