Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-04-2011) 01-06-2011, n. 22183 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Venezia con sentenza in data 15.4.2010, in parziale riforma della sentenza pronunciata all’esito di giudizio abbreviato dal G.i.p. presso il Tribunale di Vicenza, riduceva nei confronti di V.L. la pena inflitta dal primo giudice a confermava nel resto. La Corte territoriale, con riguardo alla posizione dell’appellante V.L., il quale risponde della violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, di cui al capo Q) della rubrica, osservava che V. aveva chiesto di essere ammesso al giudizio abbreviato dopo l’incidente probatorio, sicchè legittimamente tale elemento poteva essere utilizzato nei suoi confronti. La Corte territoriale considerava che elementi a carico di V.L. erano emersi nell’ambito di una vasta indagine posta in essere dai Carabinieri di Vicenza a carico di diversi soggetti indagati per la violazione della disciplina in materia di stupefacenti. In particolare, l’indagato Ve.Le., interrogato dal pubblico ministero, aveva riferito che tra i clienti di R.M. vi era anche V.L., circostanza che il dichiarante aveva detto di avere saputo dall’indagato T..

La Corte evidenziava che Ve. aveva pure riferito di avere ceduto a V., nel novembre 2007, una partita di 50 grammi di cocaina.

Il Collegio considerava che la perquisizione eseguita presso l’abitazione del V. aveva consentito il ritrovamento di una busta di cellophane dalla quale erano stati ricavati tre ritagli di forma circolare, normalmente utilizzati per il confezionamento di singole dosi di sostanza stupefacente, oltre ad altri ritagli e la somma in contanti di Euro 950.

La Corte territoriale richiamava, quindi, le dichiarazioni eteroaccusatorie pure rese da R.. Quest’ultimo aveva dichiarato: che V. gli aveva chiesto se conosceva chi potesse procuragli della cocaina; che V. gli aveva detto di avere acquistato cocaina dal Ve., ma che era sua intenzione acquistare la droga senza l’intermediazione di quest’ultimo. R. aveva pure riferito di avere ceduto al V. tre partite da 50 grammi di cocaina ciascuna, al prezzo di Euro 3.000. Oltre a ciò, R. aveva detto di avere consegnato all’indagata S. una ulteriore somma di denaro consegnatagli da V.; che la donna era poi sparita, così che V. si era adoperato per ritrovare la S.. Il dichiarante aveva riferito che V. si era arrabbiato, una volta venuto a sapere l’entità del ricarico praticato da Ve. sulle partite di droga. Il Collegio evidenziava che Ve. e R. avevano confermato le predette dichiarazioni nel corso dell’incidente probatorio.

La Corte di Appello rilevava che il numero dell’utenza cellulare del V. risultava memorizzato nei telefonini del Ve. e del R.; e rilevava che l’utenza del V. era memorizzata nei telefoni di altri soggetti implicati in procedimenti per stupefacenti e che non meritava credito la tesi difensiva, in base alla quale tale evenienza andava ricollegata alla attività svolta dal V. per diverse discoteche.

Ritenuta provata la cessione di 200 grammi di cocaina, la Corte di Appello escludeva l’applicabilità dell’ipotesi attenuata di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. 2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Venezia ha proposto ricorso per cassazione V.L., a mezzo del difensore, ribadendo l’eccezione di nullità relativa alla richiesta di rinvio a giudizio, per violazione degli artt. 365 e 369 bis c.p.p., con riferimento al decreto di perquisizione e sequestro.

La parte osserva di avere sollevato la richiamata eccezione anche avanti al Tribunale del Riesame il quale, avendo accolto il ricorso nel merito, non aveva deciso sul punto. La parte ritiene che la richiesta di rito abbreviato non valga a sanare il dedotto vizio che investe l’atto di impulso del processo.

Sotto altro aspetto il ricorrente osserva che la Corte territoriale non ha correttamente apprezzato la produzione documentale relativa al mutuo contratto dall’imputato, dalla quale risulta che il prestito era stato ottenuto molto prima dei fatti in addebito. Rileva, inoltre, che il Collegio ha omesso di valutare le dichiarazioni rese dal fratello del prevenuto e dal V. medesimo.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ulteriore ricorso il deducente, a mezzo di diverso difensore, lamentando il vizio di motivazione del provvedimento impugnato in relazione ai criteri di cui all’art. 192 c.p.p.; osserva l’esponente che la Corte territoriale ha omesso di motivare in ordine alla credibilità dei dichiaranti, limitandosi sul punto ad aderire alle argomentazioni svolte dal primo giudice, pure a fronte delle specifiche ragioni di censura dedotte nell’atto di appello.

Con ulteriore motivo il ricorrente si duole della mancata concessione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

Osserva la parte che in difetto di attività di sequestro nei confronti del prevenuto, non è dato stabilire se la sostanza che V. avrebbe acquistato sia della stessa composizione qualitativa di quella sequestrata ai coimputati; e che le modalità del fatto, come descritte nel capo di imputazione, fanno ritenere ragionevole un acquisto per uso personale.

Infine, il ricorrente assume che la Corte territoriale non abbia indicato le ragioni poste a fondamento della scelta del trattamento sanzionatorio.
Motivi della decisione

3. Il ricorso è fondato, nei sensi di seguito specificati.

3.1 Soffermandosi, primieramente, sui motivi di censura dedotti dalla difesa del V. concernenti la violazione degli artt. 365 e 369 c.p.p., si osserva che meritano condivisione le valutazioni effettuate nella sentenza impugnata, laddove si rileva: che la nullità prevista dall’art. 369 bis c.p.p., non rientra tra le ipotesi di nullità assoluta e deve qualificarsi come nullità a regime intermedio; che conseguentemente, avendo l’imputato chiesto la definizione nel processo allo stato degli atti, la relativa eccezione risulta preclusa; che la dedotta eccezione di nullità dell’incidente probatorio risulta generica, non avendo la parte specificato quale norma risulterebbe violata; e che la parte ha chiesto comunque il rito abbreviato, dopo l’espletamento dell’incidente probatorio, rendendo operativa la ricordata preclusione. Trattasi di rilievi coerenti rispetto all’orientamento espresso sul punto dalla giurisprudenza di legittimità. Ed invero, questa Suprema Corte ha chiarito che nel giudizio abbreviato sono rilevabili e deducibili solo le nullità di carattere assoluto e le inutilizzabilità cosiddette patologiche, di talchè l’irritualità nell’acquisizione dell’atto probatorio è neutralizzata dalla scelta negoziale delle parti di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza rispetto delle forme di rito (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 29240 del 09/06/2005, dep. 03/08/2005, Rv.

232374).

4. Diverse considerazioni si impongono con riguardo alle censure dedotte dall’esponente, afferenti all’apprezzamento della prova dichiarativa compiuto dai giudici di merito. La parte ha rilevato che la Corte territoriale ha omesso di motivare in ordine alla credibilità dei dichiaranti, limitandosi ad aderire alle argomentazioni svolte dal primo giudice, pure a fronte delle specifiche ragioni di censura dedotte nell’atto di appello.

4.1 Il rilievo, di natura assorbente, risulta fondato.

La valutazione delle chiamate di correo, cioè a dire delle dichiarazioni rese da soggetto indagato in procedimento connesso ovvero collegato ex art. 371 c.p.p., comma 2, lett. b), deve avvenire secondo criteri ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, che ha chiarito il percorso logico che deve seguire il giudice di merito nella valutazione della chiamata e nella selezione degli elementi esterni di conferma dell’attendibilità della medesima dichiarazione.

Ai fini di una corretta valutazione della chiamata in correità a mente del disposto dell’art. 192 c.p.p., comma 3, il giudice deve, in primo luogo, sciogliere il problema della credibilità del dichiarante in relazione, tra l’altro, alla sua personalità, al suo passato, ai rapporti con i chiamati in correità ed alla genesi remota e prossima della sua risoluzione alla confessione ed alla accusa dei coautori e complici; in secondo luogo deve verificare l’intrinseca consistenza e le caratteristiche delle dichiarazioni del chiamante, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneità infine egli deve esaminare i riscontri cosiddetti esterni. In ordine ai riscontri esterni ( art. 192 c.p.p., comma 3), la Suprema Corte ha precisato che essi vanno valutati reciprocamente e complessivamente nella loro essenza ontologica di elementi integratori, idonei ad offrire garanzie certe circa l’attendibilità di colui che ha riferito il fatto oggetto di dimostrazione; essi, cioè, hanno solo la funzione di confermare l’attendibilità intrinseca e la credibilità soggettiva del dichiarante; gli elementi utilizzati a questo scopo possono essere di qualsiasi tipo e natura, sia rappresentativi che logici, purchè idonei a quella funzione; e non devono consistere in una prova autonoma di colpevolezza del chiamato.

Con specifico riferimento alla materia dedotta nel presente giudizio, si osserva che la Corte regolatrice ha chiarito che i riscontri esterni della chiamata in correità possono essere costituiti anche da ulteriori dichiarazioni accusatorie, le quali devono tuttavia caratterizzarsi:

a) per la loro convergenza in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione;

b) per la loro indipendenza – intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente – da suggestioni o condizionamenti che potrebbero inficiare il valore della concordanza;

c) per la loro specificità, nel senso che la c.d. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e riguardare sia la persona dell’incolpato sia le imputazioni a lui ascritte, fermo restando che non può pretendersi una completa sovrapponibilità degli elementi d’accusa forniti dai dichiaranti, ma deve privilegiarsi l’aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13473 del 04/03/2008, dep. 31/03/2008, Rv.

239744).

4.2 Tanto premesso, si osserva che, nel caso di specie, la Corte di Appello è incorsa nella violazione del disposto dell’art. 192 c.p.p., comma 3, denunciata dal ricorrente; lo sviluppo argomentativo posto a fondamento dell’apprezzamento della prova dichiarativa presenta, invero, plurime fratture logiche.

Con riguardo alla insussistenza di pregresse intese fraudolente tra i dichiaranti, questione specificamente dedotta dall’appellante, il Collegio, pur considerando che erano effettivamente emersi motivi di rancore tra i dichiaranti e l’imputato, non ha esplicitato le ragioni in base alle quali ha ritenuto di potere escludere la sussistenza di un concerto calunnioso perpetrato in danno del V..

Trattasi di rilievo di ordine dirimente, atteso che, nel caso di specie, i restanti elementi estrinseci di riscontro richiamati dalla Corte di Appello (il criptico frammento di un colloquio telefonico intercorso tra T. e Ve., il 14.5.2008, oggetto di intercettazione; il fatto che Ve. e R. avessero inserito nella memoria del telefonino il numero di V.; il rinvenimento di alcuni ritagli circolari di cellophane nella abitazione del V.) risultano del tutto aspecifici e perciò privi di alcuna valenza dimostrativa, rispetto alla pretesa attendibilità dei dichiaranti.

Ciò in quanto risulta pacifico che i dichiaranti e l’imputato si conoscessero e si frequentassero, ragione per la quale si erano scambiati i numeri di telefono. Inoltre, deve evidenziarsi che il rinvenimento dei predetti ritagli di cellophane costituisce elemento indiziario che difetta sia di gravità che di precisione – in quanto passibile di svariate interpretazioni alternative – rispetto al contenuto del fatto da provare (acquisto di diverse partite di cocaina nell’ordine di 50 grammi ciascuna).

5. Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Venezia.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Venezia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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