Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-04-2011) 01-06-2011, n. 22182

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

nato.
Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Bologna, con sentenza in data 1 ottobre 2009, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Rimini del 7 marzo 2001, riduceva la pena inflitta a C.A., dichiarava la pena condonata nella misura di anni tre di reclusione e confermava nel resto. La Corte territoriale rilevava che il primo giudice aveva ritenuto provata la responsabilità del C. per avere detenuto a scopo di spaccio n. 227 pasticche di ecstasy (fatto contestato al capo a), circa sei grammi di hashish (capo b) e oltre quindici grammi di cocaina (capo c); nonchè per aver ceduto a M.F. e Ca.Ma. ulteriori quantitativi di sostanza stupefacente del tipo ecstasy e cocaina (capo d); fatti accertati in (OMISSIS). La Corte di Appello riferiva che la notte del (OMISSIS) personale della Polizia di Stato aveva effettuato una perquisizione presso la abitazione del C. rinvenendo all’interno della camera da letto occupata dal predetto 50 pasticche di ecstasy custodite in un contenitore di latta ed altre 240 pasticche della medesima sostanza, occultate all’interno di una vecchia radio. Evidenziava la Corte territoriale che gli atti di perquisizione e sequestro risultavano "assai confusi" tanto che il Tribunale aveva mandato assolto gli altri coimputati e ritenuto provata la penale responsabilità unicamente dell’imputato C.. La Corte rilevava, inoltre, che non poteva trovare applicazione la diminuente per il rito abbreviato, dovendo applicarsi la disciplina vigente al momento della presentazione della relativa istanza; e posto mente al fatto che il processo non era risultato decidibile allo stato degli atti.

2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione C.A., a mezzo del difensore, deducendo l’inosservanza delle norme processuali. La parte ritiene che la Corte territoriale abbia dato rilievo probatorio alle dichiarazioni rese da M.A.. Osserva che la M., nel corso del giudizio di primo grado, all’udienza dell’11 ottobre 1999, sentita in qualità di coindagata, si era avvalsa della facoltà di non rispondere e che il Tribunale aveva quindi acquisito le dichiarazioni rese dalla donna nel corso delle indagini preliminari. Assume il ricorrente che per effetto delle modifiche apportate all’art. 51 c.p.p. dalla L. n. 63 del 2001 le dichiarazioni della M. dovessero essere confermate da altri elementi di prova. La parte osserva che la Corte di Appello avrebbe dovuto affermare la penale responsabilità del C. unicamente con riguardo ai fatti di cui al capo d), per il quale vi è confessione.

Sotto altro aspetto il ricorrente ritiene che la Corte territoriale abbia errato nel rilevare che nel caso di specie non potesse trovare applicazione la diminuente per il rito abbreviato, pure richiesto dalla parte all’udienza preliminare. La parte ritiene che debba applicarsi la disciplina prevista dal codice penale, per la successione di leggi nel tempo.

Infine, il ricorrente rileva che M. si era avvalsa della facoltà di non rispondere e che la Corte di Appello avrebbe dovuto indicare elementi esterni di riscontro, rispetto alle dichiarazioni originariamente rese dalla donna; la parte si duole del mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile.

Giova primieramente rilevare che le eccezioni processuali dedotte dall’esponente risultano manifestamente infondate.

4. Con riguardo alla utilizzazione delle dichiarazioni extradibattimentali rese da M.F., acquisite al fascicolo per il dibattimento anteriormente al 25 febbraio 2000, si osserva che questa Suprema Corte ha chiarito che la disciplina intertemporale di cui alla L. 1 marzo 2001, n. 63, art. 26, comma 4, in tema di utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali, trova applicazione ove si tratti di dichiarazioni provenienti da chi, per libera scelta, si è sempre sottratto all’esame dibattimentale. La Corte regolatrice ha, peraltro, precisato che la citazione del dichiarante, da parte del giudice di appello, al fine di verificare la persistenza della volontà del teste di sottrarsi all’esame, è dovuta soltanto qualora la difesa abbia formulato specifica richiesta di rinnovazione del dibattimento (vedi Cass. Sez. 2, sentenza n. 41469 del 23.9.2003, dep. 30.10.2003, Rv. 227134). Orbene, atteso che, nel caso di specie, la difesa non ha chiesto il rinnovo del dibattimento, del tutto legittimamente la Corte di Appello di Bologna ha pure utilizzato le dichiarazioni predibattimentali rese dalla M., a fini probatori. E’ poi appena il caso di rilevare che, nell’impianto motivazionale della sentenza impugnata, le dichiarazioni della M. completano un ragionamento probatorio fondato su diversi e concordanti elementi indiziari, come subito si vedrà. 4.1 Con ulteriore motivo la parte ha rilevato che a seguito della riforma introdotta dalla L. n. 474 del 1999 è venuta meno la duplice condizione ostativa (consenso del PM e decidibilità allo stato degli atti), di talchè il giudice del dibattimento avrebbe dovuto applicare la riduzione di pena in favore dell’imputato che aveva, senza esito, chiesto la definizione del processo allo stato degli atti all’udienza preliminare, stante il mancato consenso del pubblico ministero. A sostegno dell’assunto la parte rileva che deve trovare applicazione, nel caso di specie, la disciplina dettata dal codice penale in materia di successioni di leggi nel tempo.

Il rilievo è manifestamente infondato. Invero, già la Corte Costituzionale, con sentenza del L. 31 maggio 1990, n. 277, ha escluso l’applicabilità dell’art. 2 c.p., al fine di regolare l’operatività delle norme in materia di giudizio abbreviato nell’ambito dei processi pendenti al momento dell’entrata in vigore del nuovo codice di rito penale. La Corte regolatrice ha, di poi, ribadito che la successione nel tempo delle norme che regolano il giudizio abbreviato, stante la natura processuale dell’istituto, soggiace alla regola del "tempus regit actum"; in particolare la Suprema Corte ha chiarito che la normativa introdotta dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, in tema di rito abbreviato, può essere applicata unicamente ai rapporti processuali non ancora esauriti, cioè a dire quelli per i quali è ancora possibile il compimento dell’istruttoria dibattimentale (Cass. Sezione 1, sentenza n. 7385 del 5.06.2000, dep. 23.06.2000, Rv. 216255; Cass. Sezione 5, sentenza n. 10096 del 14.06.2000, dep. 25.09.2000, Rv. 217526). Pertanto, del tutto legittimamente, nel caso di specie, la Corte di Appello ha ritenuto inapplicabile la diminuente di rito, poichè il rapporto processuale era ormai esaurito, nei sensi ora chiariti.

5. Ciò premesso, si osserva che i restanti motivi di censura si risolvono nella mera riconsiderazione alternativa del compendio indiziario, censito dai giudici di merito. Come noto, si è chiarito che "esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Cass. Sezioni unite 30.4.1997, Dessimone). Ed invero, in sede di legittimità non sono consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. 23.03.1995, n. 1769, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181). Del resto, nel caso di specie, la Corte di Appello ha rilevato, che, con riguardo ai fatti contestati al capo d) della rubrica, C. aveva reso confessione e che la M. aveva confermato l’attività di spaccio effettuata dal predetto C.. La Corte territoriale ha pure evidenziato che le pastiglie cedute alla M. avevano la medesima percentuale di principio attivo riscontata nelle pastiglie rinvenute nella stanza del C. ed ha ritenuto che detto elemento confermasse la attribuibilità al C. anche il quantitativo di pastiglie rinvenuto nella camera da letto. La Corte di Appello ha ritenuto provata la responsabilità del prevenuto anche in ordine ai restanti capi di imputazione, rilevando: che C. era titolare del contratto di locazione dell’appartamento in cui era stata rinvenuta la droga; che l’imputato, diversamente dagli altri ragazzi che occupavano la casa, si trovava nell’abitazione al momento della perquisizione; che nella segreteria telefonica della abitazione B. aveva lasciato un messaggio, preavvertendo C. del fatto che avrebbe portato una partita di droga; che nell’appartamento venne rinvenuta la somma di L. 2.350.000; che la consulenza tossicologica aveva accertato che tutte le pasticche rinvenute nell’abitazione, oltre a quelle trovate nella disponibilità della M., facevano parte di una unica partita.

La Corte territoriale ha considerato che detti elementi evidenziavano la responsabilità del C. in ordine alla detenzione a fine di spaccio delle sostanze rinvenute nella abitazione, conformemente a quanto riferito dalla M..

5.1 La Corte di Appello ha, infine, considerato che le evidenziate circostanze di fatto escludevano la possibilità di riconoscere l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. Si tratta di un apprezzamento che si colloca nell’alveo tracciato dalla giurisprudenza di legittimità; ed invero la Suprema Corte ha chiarito che "in tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa):

dovendo, conseguentemente, escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità". E in tale contesto valutativo, ove la quantità di sostanza stupefacente si riveli considerevole, la circostanza è di per sè sintomo sicuro di una notevole potenzialità offensiva del fatto e di diffusibilità della condotta di spaccio" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4948 del 22/01/2010, dep. 04/02/2010, Rv. 246649).

6. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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