Cass. pen., sez. V 21-10-2008 (02-10-2008), n. 39430 Condizione dell’arruolato o addestrato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RILEVATO IN FATTO
– Che con sentenza della Corte d’assise di Milano in data (OMISSIS) R.O.E.S.A. e Y.M.M.R. vennero ritenuti responsabili del reato di cui all’art. 270 bis c.p., quali aderenti, secondo l’accusa, il primo con ruolo di organizzatore ed il secondo con quello di partecipe, unitamente ad altri soggetti, in parte già individuati a seguito di indagini svolte in altri paesi europei, ad una organizzazione terroristica sovranazionale, localmente denominata in vari modi e connotata da varie sigle ma riconducibile al programma complessivo della nota organizzazione "Al Qaida", avente come scopo quello di commettere atti di violenza con finalità di terrorismo nei confronti di stati stranieri, europei ed extraeuropei;
– che, proposto appello da parte degl’imputati, la Corte d’Assise d’appello di Milano, con la sentenza di cui in epigrafe, in parziale riforma di quella di primo grado, ritenne anche il R. responsabile di sola partecipazione e concesse allo Y. le attenuanti generiche, con conseguente riduzione, per entrambi, delle pene inflitte in primo grado;
– che, a sostegno del complessivamente confermato giudizio di colpevolezza, la Corte di secondo grado, respinte talune eccezioni procedurali, fece essenzialmente riferimento: – a) agli accertati rapporti tra il R. e taluni soggetti risultati coinvolti nell’attuazione del sanguinoso attentato di (OMISSIS) nonchè tra lo stesso R. e certo M., detenuto e poi condannato in Belgio per ritenuta appartenenza ad un gruppo eversivo di matrice islamico – fondamentalista denominato GICM; – b) all’avvenuto rinvenimento, nella memoria di un "computer" di cui R. era in possesso, di documentazioni e immagini tutte in vario modo riconducibili alla lotta armata dell’Islam contro l’Occidente, tra cui anche alcune fotografie illustranti le modalità di realizzazione di ordigni esplosivi di tipo analogo a quello degli ordigni utilizzati per l’attentato di (OMISSIS); – c) al contenuto di colloqui, captati mediante intercettazioni ambientali, tra il R. ed il più giovane Y., ritenuti dimostrativi, per un verso, della preesistente adesione del primo all’organizzazione terroristica e, per altro verso, della ottenuta adesione del secondo, ad opera del primo, alla medesima organizzazione;
– che avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori, entrambi gl’imputati denunciando:
R.:
1) Nullità dell’ordinanza della Corte d’assise d’appello in data 16 ottobre 2007, con la quale erano state respinte le eccezioni attinenti al conferimento, in data 20 luglio 2006, da parte della Corte di primo grado, allo stesso perito a suo tempo incaricato di eseguire la traduzione e trascrizione delle conversazioni intercettate, di quello che, ad avviso della difesa, sarebbe stato da considerare un nuovo incarico, conseguente alla riscontrate manchevolezze dei risultati del primo; eccezioni, quelle anzidette, con le quali si era denunciata la violazione, in particolare, dell’art. 229 c.p.p. per mancata indicazione, da parte del perito, del giorno, dell’ora e del luogo in cui le operazioni peritali sarebbero state iniziate; dal che sarebbe derivato un pregiudizio ai diritti della difesa, tanto più rilevante in quanto – si sostiene – dalla traduzione e trascrizione delle stesse conversazioni fatta eseguire in (OMISSIS), nell’ambito di altro processo ivi instaurato, ed acquisite in corso di causa, sarebbero emerse gravi discordanze rispetto alla traduzione e trascrizione effettuata dal suddetto perito;
2) manifesta illogicità della motivazione posta a sostegno della ritenuta partecipazione dell’imputato ad un’organizzazione con finalità di terrorismo, anche internazionale, sull’assunto, in sintesi e nell’essenziale, che essa si sarebbe basata sul fallace presupposto che "tutti coloro che pronunciano editti radicali" (come appunto poteva dirsi del R.) sarebbero da considerare "associati per delinquere", così aprendo la strada alla formulazione di un giudizio di colpevolezza basato non su fatti di univoco significato ma su mere "ipotesi, congetture e vaticini", atteso che dagli elementi acquisiti di ritenuto valore indiziario non necessariamente si sarebbe potuto desumere, secondo la regola del passaggio dal "fatto noto" al "fatto ignoto" da dimostrare, che il R. fosse un associato per delinquere, ben potendo gli stessi elementi giustificare anche altre conclusioni, ivi compresa quella che egli altro non fosse che un semplice connivente, come tale non punibile, o addirittura (con riferimento, in particolare, al contenuto delle conversazioni intercettate) un mero millantatore, mosso dalla sola e generica ammirazione per le gesta della c.d. "jihad islamica", alla quale ben si sarebbe potuto ricondurre anche l’accertato possesso di materiale inneggiarne alle suddette gesta;
3) inosservanza o erronea applicazione di legge penale, unitamente a manifesta illogicità di motivazione, in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, sull’assunto che, una volta escluso il ruolo di "organizzatore" originariamente attribuito al R., per lasciargli solo quello di "reclutatore" di soggetti (quali il giovane Y.) da destinare ad attentati suicidi, ed esclusa altresì l’esistenza, originariamente ipotizzata, di una "associazione terroristica risalente ai tempi di permanenza di R. a (OMISSIS) e poi protrattasi fino al suo arresto", l’unico reato teoricamente configurabile a carico del ricorrente sarebbe stato quello di cui all’art. 270 quinquies c.p., del quale egli, però, non avrebbe potuto rispondere trattandosi di previsione introdotta successivamente ai fatti a lui addebitati;
Y.:
1) violazione di norme processuali previste a pena di nullità o inutilizzabilità, in relazione al conferimento, da parte della Corte d’Assise d’Appello, in data 14 luglio 2007, del nuovo incarico al perito già incaricato della traduzione e trascrizione delle conversazioni intercettate, per ragioni sostanzialmente non dissimili da quelle poste a sostegno dell’analoga doglianza avanzata dalla difesa del R.;
2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 270 bis c.p. sull’assunto, in sintesi e nell’essenziale, che, "in assenza di una identificata ed individuabile struttura – nonchè della prova della conoscenza di essa – l’elemento afferente alla "adesione ad un progetto" non valga da solo a ritenere implicitamente dimostrati gli ulteriori elementi costitutivi e, quindi, pienamente configurabile il delitto in parola, in capo a soggetto aderente in partecipazione", ulteriormente argomentandosi, al riguardo, che non si potrebbe, in contrario, far leva sulla ipoteticamente dimostrata aderenza del R. all’organizzazione terroristica, non essendo ciò sufficiente a dimostrare che la dichiarata adesione a progetti ed offerte provenienti dal medesimo soggetto equivalesse a conoscenza della suddetta organizzazione ed a manifestazione della volontà di farne parte, con disponibilità alla commissione di un "numero indefinito di delitti fine", ben potendo essa significare soltanto una generica propensione al sacrificio anche della vita, quale ricompreso tra i "passaggi di purificazione dell’anima teorizzati dal pensiero religioso islamico, prima che dal teorema di tipo terroristico per la realizzazione della "causa"; e ciò tanto più in quanto, all’atto delle pretesa adesione del ricorrente, dell’organizzazione terroristica avrebbero cessato già di far parte, in quanto deceduti o arrestati, gli autori della strage di (OMISSIS);
3) violazione di legge e vizio di motivazione, ancora, per mancata riconduzione dei fatti sotto le previsioni dell’art. 270 quater c.p. o art. 270 quinquies c.p. (con conseguente inapplicabilità, "ratione temporis", alla condotta posta in essere dal ricorrente), sull’assunto – previa riproduzione dei motivi d’appello a suo tempo rassegnati sul punto – che tali motivi sarebbero stati tanto più da ritenere validi in quanto vi era stata l’esclusione del ruolo originariamente attribuito al R. di organizzatore e reclutatore, per cui il rapporto tra lui e lo Y. sarebbe stato da considerare paritetico ed esclusivo e pertanto, atteso il suo contenuto, potenzialmente inquadragli solo in una delle due summenzionate previsioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che non appare meritevole di accoglimento (ed anzi, sotto alcuni profili, rasenta l’inammissibilità per difetto di specificità, rispetto al contenuto proprio della sentenza impugnata), il ricorso proposto nell’interesse del R.; e ciò in quanto:
a) la pretesa violazione dell’art. 229 c.p.p., denunciata con il primo motivo di ricorso, avrebbe potuto dar luogo soltanto, come espressamente riconosciuto anche nell’atto di gravame, ad una nullità a regime c.d. "intermedio" che, come tale, siccome concretizzatasi nella formazione di un atto (il verbale di conferimento dell’incarico nel quale si sarebbe dovuto far menzione del giorno, dell’ora e del luogo di inizio delle operazioni peritali) al quale la parte interessata assisteva (trattandosi di incarico conferito in pubblica udienza), avrebbe dovuto essere eccepita, a pena di decadenza, giusta quanto stabilito dall’art. 182 c.p.p., comma 2, prima del compimento dell’atto medesimo o, in caso di impossibilità (peraltro difficilmente ipotizzarle, nella specie), immediatamente dopo; il che non risulta essere avvenuto, dandosi atto, nell’impugnata sentenza (pag. 32), senza che, sul punto, risultino formulate obiezioni o censure nei motivi di ricorso, che l’eccezione era stata formulata solo con l’atto d’impugnazione della sentenza di primo grado, e cioè con l’osservanza del termine previsto dall’art. 180 c.p.p., la cui validità, però, presuppone che non si sia precedentemente incorsi nella causa di decadenza prevista dal citato art. 182 c.p.p., comma 2; al che può anche aggiungersi, per puro scrupolo di completezza, che la rappresentata discordanza fra la traduzione e la trascrizione effettuate dal perito e quelle fatte effettuare dall’autorità giudiziaria spagnola, oltre a non rilevare sotto il denunciato profilo processuale (la dedotta nullità, infatti, se sussistente e tempestivamente eccepita, sarebbe stata da riconoscere indipendentemente dalla esistenza o meno di detta discordanza), ha anche trovato risposta (del tutto ignorata nel ricorso) da parte della Corte territoriale, la quale ha sul punto osservato (pagg. 32-33), che l’invio all’autorità giudiziaria spagnola della trascrizione delle intercettazioni era stato precedente al conferimento tanto del primo quanto del secondo incarico al perito nominato dalla Corte d’assise in persona di tale Z., tanto che, da detta autorità, erano stati chiamati a chiarimento soltanto i trascrittori nominati dalla Questura, per cui – conclude sul punto l’impugnata sentenza – vengono del tutto a mancare "dati di fatto dai quali dedurre che lo Z. avrebbe erroneamente od erroneamente che dir si voglia tradotto prima e trascritto poi le intercettazioni in discussione";
b) ad onta dell’ampiezza e, sotto taluni profili, anche della pregevolezza (in sè e per sè) delle argomentazioni poste a sostegno del secondo motivo di ricorso, le stesse rasentano (come già anticipato) l’inammissibilità in quanto appaiono pressochè totalmente scollegate dalla effettiva "ratio decidendi" alla quale la Corte di merito risulta essersi ispirata, non emergendo da alcun passaggio della motivazione dell’impugnata sentenza (nè rinvenendosi nell’atto di ricorso alcuna utile indicazione al riguardo) che il giudizio di colpevolezza del R. sia stato basato (come invece sostenuto nel ricorso) sul presupposto che debba essere considerato un associato per delinquere chiunque abbia pronunciato "editti radicali" o comunque manifestato adesione ai principi del fondamentalismo islamico, ma potendosi al contrario rilevare che detto giudizio risulta fondato su dati di fatto più che ragionevolemente (e pertanto insindacabilmente) ritenuti indicativi tanto della oggettiva esistenza di una organizzazione terroristica ramificata, in ultima analisi riconducibile alla fin troppo nota "Al Qaida" e resasi responsabile, tra l’altro, del sanguinoso attentato di (OMISSIS), quanto della concreta adesione del R. a detta organizzazione, quale dimostrata dagli stretti rapporti tra lui e diversi altri soggetti, nominativamente indicati, di cui risultava accertato il coinvolgimento nella preparazione e nell’esecuzione di detto attentato, nonchè dagli analoghi rapporti tra lo stesso R. ed il M., di cui risultava accertata l’appartenenza al ramo belga dell’organizzazione, noto sotto la sigla GICM, come pure dalla documentazione rinvenuta nella memoria del "computer" in possesso del ricorrente, non limitata a semplici scritti o immagini esaltanti le gesta di "combattenti islamici" ma comprensiva, come si è visto, anche di una serie di fotografie illustranti le modalità di confezionamento di ordigni esplosivi del tutto analoghi a quelli adoperati per l’attentato di (OMISSIS); elementi tutti, questi, i quali risultano pressochè totalmente ignorati nel ricorso, movendosi esso quasi esclusivamente sulla linea di considerazioni che, per quanto apprezzabili in linea teorica, non escono dai limiti della pura astrattezza; ed è appena il caso di aggiungere, a questo punto, che, anche con riguardo alla previsione di cui all’art. 270 bis c.p., non vi è ragione di discostarsi dal consolidato e pacifico orientamento giurisprudenziale secondo, in tema di reati associativi, l’affermazione della penale responsabilità di taluno quale partecipe ad un sodalizio criminoso non richiede affatto che risulti anche accertata la sua personale responsabilità in alcuno dei reati fine per i quali il medesimo sodalizio è stato costituito ed opera;
c) con riguardo al terzo motivo, l’avvenuta esclusione del ruolo di organizzatore originariamente attribuito al R. non avrebbe in alcun modo dovuto comportare, come necessaria conseguenza, la configurabilità del reato di cui all’art. 270 quinquies c.p., in luogo di quello di cui all’art. 270 bis c.p., atteso che il fornire a taluno addestramento ed istruzione con finalità di terrorismo (condotta prevista e punita dal citato art. 270 quinquies c.p.) non implica affatto e, per converso, neppure esclude che l’agente operi quale aderente ad una organizzazione terroristica, di tal che, ove "aliunde" risulti (come ritenuto dai giudici di merito nel caso di specie, sulla base degli elementi precedentemente richiamati), la sussistenza di detta ultima condizione, nulla impedisce che resti configurabile a carico dello stesso agente il reato associativo;
– che parimenti non appare meritevole di accoglimento il ricorso proposto nell’interesse di Y., in quanto:
a) relativamente al primo motivo, valgono sostanzialmente le stesse ragioni già indicate a proposito del primo motivo, di analogo contenuto, del ricorso precedentemente esaminato, potendosi solo aggiungere (anche in questo caso per puro scrupolo di completezza) che, in presenza di quella che, come si è visto, sarebbe stata una semplice ipotesi di nullità a regime intermedio, non si vede quale fondamento possa attribuirsi alla prospettazione, da parte della difesa, dell’ipotesi della inutilizzabilità ex art. 191 c.p.p., non rinvenendosi alcuna previsione normativa in tal senso nè fornendosi, nel ricorso, alcuna specifica indicazione circa il possibile fondamento di detta prospettazione;
b) con riguardo al secondo motivo, vale anche in questo caso osservare che le argomentazioni nelle quali esso si articola, pur se dotate in astratto di una qualche plausibilità, peccano sotto il profilo della concretezza, non curandosi esse di riconoscere e confutare le specifiche ragioni, ben illustrate neh" impugnata sentenza, sulla base delle quali la Corte di merito ha ritenuto che la manifestata adesione del ricorrente alla proposta di rendersi disponibile ad azioni terroristiche, anche mediante sacrificio della propria vita (sul che non sembra esservi, sostanzialmente, contestazione), non fosse soltanto l’adesione ad un più o meno vago progetto partorito dalla mente del R. o da lui comunque riferito, ma fosse piuttosto l’espressione della volontà di entrare a far parte di quella stessa organizzazione di cui, riconoscibilmente, faceva già parte il medesimo R. e nel cui programma criminoso rientrava appunto, in modo determinante ed assolutamente chiaro, proprio la realizzazione di azioni del genere anzidetto; organizzazione la cui persistente esistenza non poteva certo dirsi esclusa per il solo fatto che, come ricordato nel ricorso, taluni degli aderenti erano deceduti o arrestati; ed è, d’altra parte, "jus receptum", in tema di reati associativi, che per riconoscere l’avvenuta adesione di taluno ad un sodalizio criminoso non occorre che sia dimostrata l’osservanza di determinate formalità rituali (di cui, peraltro, nella specie, non si fa cenno alcuno) essendo soltanto necessaria e sufficiente la dimostrazione che il soggetto abbia dato la propria seria e consapevole disponibilità a contribuire alla realizzazione del programma criminoso, essendo già questo un fatto che contribuisce al mantenimento ed al rafforzamento del sodalizio medesimo, indipendentemente dalla circostanza che il contributo venga poi effettivamente richiesto e fornito (ved. ad es., per tutte, Cass. 1, 30 gennaio – 16 giugno 1992 n. 6992, Altadonna ed altri, RV 190643, secondo cui: "E’ configurabile come partecipazione effettiva, e non meramente ideale, ad una associazione per delinquere (nella specie di tipo mafioso), anche quella di chi, indipendentemente dal ricorso o meno a forme rituali di affiliazioni, si sia limitato a prestare la propria adesione, con impegno di messa a disposizione, per quanto necessario, della propria opera, all’associazione anzidetta, giacchè anche in tal modo il soggetto viene consapevolmente ad accrescere la potenziale capacità operativa e la temibilità dell’organizzazione delinquenziale";
e) con riguardo al terzo motivo, nel richiamare, per quanto di comune interesse, le argomentazioni a sostegno della ritenuta infondatezza del terzo motivo del ricorso R., può qui aggiungersi che, come esattamente osservato neh" impugnata sentenza, con l’introduzione dell’art. 270 quater c.p. (ma l’osservazione vale, all’evidenza, anche per l’art. 270 quinquies) il legislatore ha inteso estendere e non certo restringere l’area del penalmente sanzionabile, di tal che ove il "reclutato" o, più esattamente, l’"arruolato" (che, come tale, non risponde del reato di cui all’art. 270 quater c.p.) ovvero l’addestrato (punibile, invece, ai sensi del successivo art. 270 quinquies c.p.) non siano solo tali, ma entrino anche a far parte dell’organizzazione terroristica in nome e per conto della quale l’arruolamento o l’addestramento siano effettuati, non si vede per quale ragione non debbano rispondere del reato associativo che, in tal modo, viene ad essere configurabile a loro carico; e, anzi, proprio la mancata previsione, nell’art. 270 quater c.p., della punibilità dell’arruolato ben può lasciar intendere che il legislatore abbia dato per scontata la sua punibilità ai sensi dell’art. 270 bis c.p., salva l’ipotesi (alquanto improbabile a verificarsi) che si tratti di un arruolamento per il solo compimento (che poi potrebbe anche mancare) di singoli atti di terrorismo, al di fuori di un programma criminoso riconducibile ad una apposita organizzazione, laddove la previsione della punibilità, invece, dell’"addestrato" potrebbe essere dipesa dalla considerazione, da parte del legislatore, che chi accetta un certo tipo di addestramento mostra per ciò solo di essere pericoloso, ma non da automaticamente luogo alla presunzione di essere anche entrato a far parte di una organizzazione terroristica.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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