Cass. civ. Sez. III, Sent., 30-09-2011, n. 19991

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 1582/2008, depositata il 28 maggio 2008, la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Como, che ha respinto la domanda di sfratto per morosità proposta da V.M. contro la s.a.s. B & B di Luigi e Filippo Beretta & C, conduttrice di un locale adibito a cantina- magazzino, sito in (OMISSIS).

La convenuta aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva del V., poichè egli agiva in forza di un contratto di acquisto di più immobili in blocco, da lui concluso con i precedenti proprietari e locatori dell’immobile oggetto di causa, contratto che la Corte ha ritenuto non comprendere il locale occupato dalla convenuta.

Il V. propone tre motivi di ricorso per cassazione. Resiste l’intimata con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ. – norma in vigore alla data del deposito della sentenza impugnata – a causa dell’omessa formulazione dei quesiti di diritto, quanto alle censure di violazione di legge, e di un momento di sintesi delle censure di vizio di motivazione, da cui risulti la chiara indicazione del fatto controverso, ovvero l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a giustificare la decisione, in relazione alle censure proposte ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. civ. S.U. 1 ottobre 2007 n. 20603; Cass. Sez. 3, 7 aprile 2008, n. 8897). Va soggiunto che il ricorrente lamenta l’omesso esame da parte della Corte di appello di un documento dal quale risulterebbe dimostrato il fatto che anche il locale-magazzino occupato dalla società intimata sarebbe stato compreso fra i beni acquistati dal V.: propone cioè una censura che prospetta un errore di fatto, errore che avrebbe dovuto essere fatto valere tramite azione di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4;

non costituisce motivo di ricorso per cassazione. Sotto più di un aspetto, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte di cassazione dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 800,00 per onorari. Oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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