Cass. pen., sez. II 21-10-2008 (08-10-2008), n. 39382 Convalida – Motivazione – Parametri

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
1.1. Con ordinanza in data 7/1/2008, il Tribunale di Rimini rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse di S.O., indagato per ricettazione, avverso il Decreto in data 7 dicembre 2007 emesso dal P.M. presso lo stesso Tribunale di convalida di sequestro probatorio eseguito d’iniziativa della G.d.F. di Rimini il 6-12-2007 (e protrattosi nei giorni 7-12-2007, 10-12-2007, 11-12-2007, 12-12- 2007 e 13-12-2007) su merce varia, capi di abbigliamento e accessori, ritenuti contraffatti e presenti nei locali della s.r.l. Gadget e in altri locali a disposizione dell’indagato, siti all’interno (OMISSIS), nonchè su macchinali per taglio-cucito e stampa.
In motivazione il Tribunale – dopo avere preliminarmente riassunto, sulla base degli atti pervenuti dal P.M., lo stato delle indagini – riteneva acquisito, nei limiti rilevanti in sede cautelare, che i marchi di cui ai capi in sequestro non fossero genuini (come emergeva dalle relazioni tecniche che la P.G. aveva acquisito da persone qualificate) e che l’indagato, servendosi dei macchinari in sequestro, avesse apposto detti marchi su capi di abbigliamento detenuti al fine della vendita.
Sulla base di tale premessa il Tribunale riteneva infondati tutti i motivi di riesame; in particolare riteneva sussistente il fumus del reato di ricettazione contestato, dal momento che i marchi che il S. cuciva sugli indumenti erano di provenienza illecita (art. 473 o 474 c.p.); rilevava, inoltre, che il provvedimento del P.M. era adeguatamente motivato in ordine alle esigenze probatorie, risultando queste individuate nella necessità di svolgere consulenza tecnica sulla merce in sequestro e di procedere all’esame di persone informate dei fatti (tra i quali il Tribunale riteneva che potesse esserci tale F.G., resosi irreperibile, il quale aveva emesso fatture aventi all’oggetto varia merce in favore dell’indagato); precisava, infine, che anche sui macchinari in sequestro andava mantenuto il vincolo reale, dal momento che (come emergeva dalle stesse dichiarazioni dell’indagato) si trattava di corpo del reato, ossia di strumento utilizzato per la commissione dell’illecito che andava assicurato, quale elemento di prova al procedimento in corso.
1.2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione S.O., per mezzo del difensore, denunciando inosservanza e/o violazione degli artt. 125, 253, 257, 324, 354 e 355 c.p.p.. In particolare in ricorso vengono formulati i seguenti cinque motivi:
– Mancanza di idonea motivazione del decreto di convalida e dell’impugnata ordinanza del riesame di Rimini circa le specifiche esigenze probatorie che avrebbero giustificato l’adozione e il permanere del vincolo cautelare reale in funzione del reale accertamento dei fatti – Con il primo motivo si deduce che il Tribunale del riesame, rigettando l’eccezione di difetto di motivazione da parte del P.M. in ordine alle esigenze probatorie, si sia limitato a recepire in maniera acritica "le indicazioni di fatto" offerte dal P.M. o da quest’ultimo richiamate per relationem dal verbale di sequestro della G.d.F. di Rimini; inoltre il Tribunale avrebbe errato a individuare come "persona informata dei fatti" F.G.: ciò in quanto si tratterebbe di un coindagato, per cui le relative dichiarazioni, da assumersi con le formalità di cui all’art. 350 c.p.p., non potrebbero rilevare ai fini del mantenimento del sequestro.
– Omessa motivazione in relazione alla doglianza "insussistenza del fatto reato contestato" rubricata al punto 2^ della memoria, con la quale la difesa aveva rilevato che sia nel decreto di convalida che nel sequestro eseguito di iniziativa della G.d.F. di Rimini, richiamato per relationem, era stata completamente omessa l’indicazione della condotta integrante gli estremi di reato, citato solo con l’articolo di legge, dovendosi rilevare che nel caso di specie, vertendosi in tema di ricettazione, avrebbe dovuto essere indicato anche il delitto presupposto, in assenza del quale non poteva darsi alcuna ipotesi di ricettazione.
Con il secondo motivo si deduce l’assoluta mancanza di motivazione da parte del Tribunale in ordine al motivo di riesame con cui si denunciava che il P.M. si era limitato ad enunciare la norma di legge contestata, senza descrivere la condotta costituente reato; si rileva, altresì, che il Tribunale non avrebbe mai potuto colmare la mancata indicazione del reato-presupposto, necessario a integrare il delitto di ricettazione, non potendo sostituirsi alle prerogative dell’organo dell’accusa.
– Violazione di legge, errore in iudicando in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di cui all’art. 648 c.p..
Con il terzo motivo si deduce l’insussistenza della fattispecie di reato contestata; in particolare si deduce che, in base a quanto dichiarato dallo stesso imputato in sede di convalida ("Compravamo la merce senza scritte e poi la marchiavamo noi") emergerebbe che il predetto aveva prodotto direttamente le stampe e le etichette contraffatte; dal che la configurabilità al più del delitto di cui all’art. 473 c.p., e non già della ricettazione (e neppure dell’art. 474 c.p.).
– Omessa motivazione in relazione alle precise doglianze difensive in ordine alla sussistenza del fumus del delitto di cui all’art. 648 c.p., nonchè di quello di cui all’art. 474 c.p., (ed art. 473 c.p.).
Con il quarto motivo si deduce l’assenza di motivazione sulle doglianze difensive con cui si evidenziava l’insussistenza del delitto di ricettazione, nonchè del delitto-presupposto di cui all’art. 473 c.p., dal momento che agli atti non sarebbe dato di rinvenire alcun certificato di registrazione relativo ai marchi asseritamente contraffatti, nè indicazioni di sorta afferenti la forma, i colori, le denominazioni degli eventuali segni imitati.
– Violazione di legge processuale per illegittima utilizzazione da parte del Tribunale del riesame di atti prodotti dal P.M. in data successiva a quella di emissione del decreto di fissazione di udienza e dei quali la difesa ha preso visione solamente in occasione dell’udienza di discussione del riesame cautelare reale.
Con il quinto motivo si deduce l’inutilizzabilità di documenti trasmessi dalla Procura della Repubblica, successivamente all’avviso di fissazione di udienza per il riesame, e quindi, in data successiva a quella in cui la difesa aveva provveduto a estrarre copia della documentazione trasmessa dal P.M. a sostegno del proprio provvedimento di convalida; in particolare non sarebbe utilizzabile la documentazione allegata alla integrazione di notizia di reato del 27/12/2007, che il Tribunale menziona al fl. 3^ del provvedimento impugnato e che appare chiaramente richiamata a pag. 4^ dello stesso provvedimento.
2.1. Va premesso che il sindacato di legittimità andrà circoscritto alle sole censure di violazione di legge, nonchè alla verifica di un apparato argomentativo non meramente apparente. Invero l’art. 325 c.p.p., consente la ricorribilità per cassazione delle ordinanze del Tribunale del riesame in tema di sequestro da parte delle persone interessate solo "per violazione di legge", per tale intendendosi il vizio indicato negli artt. 111 Cost., e art. 606 c.p.p., lett. b) e c). Di conseguenza il controllo di legittimità non può estendersi all’adeguatezza delle linee argomentative ed alla congruenza logica del discorso giustificativo della decisione, potendosi esclusivamente denunciare il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Cass. Sez. Un., 28 maggio 2003 n. 12, Pellegrino). Ne consegue che – come è stato affermato da questa S.C. con specifico riferimento al decreto di sequestro probatorio – deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione che si risolva in una censura di difetto di motivazione sulle esigenze probatorie quando il provvedimento gravato, pur laconicamente, abbia sul punto fornito una spiegazione tale da consentire di rintracciare l’itinerario decisorio, sottraendone l’approdo al sospetto di violazioni o errata interpretazione del dato normativo o di manifesta arbitrarietà (Cass. Pen. Sez. 3^, 15/07/2004, n. 36160 Marchesini).
Ciò precisato, il Collegio ritiene di esaminare congiuntamente i primi due motivi di ricorso, perchè strettamente connessi. Invero il ricorrente, per un verso, deduce la carenza di "idonea motivazione" del decreto di convalida in punto di individuazione delle esigenze probatorie e di indicazione del fatto-reato contestato; per altro verso, lamenta che il Tribunale sia incorso in analogo deficit motivazionale con riguardo all’indicazione delle esigenze probatorie e, nel contempo, abbia esercitato un’impropria opera di "supplenza" con riguardo all’individuazione della fattispecie incriminatrice.
Questa in estrema sintesi la natura delle doglianze esposte dal ricorrente anche attraverso la ritrascrizione dell’istanza di riesame, in via di principio il Collegio rileva – in conformità a un consolidato orientamento di questa S.C. – che, in tema di convalida di sequestro probatorio eseguito dalla Polizia giudiziaria, adempie l’obbligo di motivazione il P.M. che, nel suo provvedimento, dia conto dei presupposti del vincolo e, quindi, della configurabilità del reato, con specificazione della relativa ipotesi normativa;
poichè, peraltro, nella fase delle indagini preliminari, l’organo dell’accusa non è tenuto a formulare l’imputazione, è sufficiente che il fatto per il quale si procede possa essere individuato anche attraverso gli atti redatti dalla Polizia giudiziaria, cui il provvedimento faccia riferimento. In tal caso, invero, non si realizza lesione del diritto di difesa, che è garantito dalla consegna del verbale di sequestro e, comunque, dalla notifica del provvedimento del P.M. e dal successivo deposito ex art. 324 c.p.p., comma sesto (Cass. pen., Sez. 5^, 17/02/2004, n. 12229; conf. Cass. pen., Sez. 6^, 27/04/2004, n. 28051). Inoltre il giudice del riesame ha il potere di confermare il provvedimento di sequestro probatorio integrandone la motivazione con la specificazione delle esigenze probatorie che ne stanno a fondamento, sempre che il P.M. abbia provveduto ad indicarle seppure in maniera generica (Cass. pen., Sez. 2^, 08/11/2007, n. 45212).
Facendo applicazione dei suesposti principi al caso di specie, ritiene il Collegio che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, il decreto di convalida di sequestro all’esame contiene un chiaro aggancio alla condotta incriminata, posto che – oltre all’indicazione dell’ipotesi normativa contestata e all’individuazione del tempo e del luogo di commissione – fa riferimento al verbale di P.G., espressamente indicato come "parte integrante" del provvedimento di sequestro, in tal modo individuando nei relativi contenuti la base fattuale dell’ipotesi di reato contestata all’odierno ricorrente (ricettazione di marchi contraffatti). Inoltre il P.M. ha fornito una sia pur succinta spiegazione in ordine alla concreta finalità probatoria perseguita, evidenziando sia la natura di "corpo di reato" e, più generale, di "cose necessarie per l’accertamento dei fatti" dei beni in sequestro, sia la necessità di prosecuzione delle indagini, con lo svolgimento di accertamenti tecnici ed esame di persone informate dei fatti, al fine di "valutare la sussistenza delle condotte delittuose", oltre che di accertare "la provenienza delittuosa di quanto in sequestro".
Si tratta di indicazioni che a questo Collegio – avuto riguardo alla fase di avvio delle indagini, connotata da particolare urgenza e considerata, altresì, l’eloquenza dei fatti, quale emerge dal verbale di perquisizione e sequestro – appaiono sufficienti a garantire l’opportuna difesa del destinatario dell’atto e, nel contempo, ad assicurare il controllo giudiziale in sede di riesame circa la sussistenza del fumus delicti di cui all’art. 648 c.p., nonchè il rapporto tra le cose sequestrate e l’ipotesi di reato contestate.
Si rammenta che il principio espresso dalle SS.UU. Penali (sentenza 28/1/2004, n. 5876, Ferazzi), condiviso da questo Collegio, ha escluso – in mancanza di indicazioni delle concrete finalità probatorie perseguite nel decreto di sequestro – un ruolo sostitutivo del giudice del riesame con un’arbitraria opera di supplenza di scelte discrezionali riservate al P.M., ma non ha, tuttavia, inibito allo stesso giudice di fare riferimento agli spunti integrativi eventualmente offerti dal requirente all’udienza camerale. Nella stessa prospettiva di una corretta distinzione dei ruoli tra l’organo requirente e quello decidente, deve ritenersi che il Tribunale – quale giudice del merito, cui è riservata la doverosa verifica della corrispondenza della base fattuale all’ipotesi di reato contestata – possa trarre argomenti dai fatti storici risultanti dagli atti ai fini di un corretto inquadramento giuridico della fattispecie e di una migliore giustificazione delle esigenze probatorie. In particolare questa S.C. ha avuto modo di osservare che, qualora il pubblico ministero abbia indicato in modo insufficiente le ragioni atte a giustificare, in funzione dell’accertamento dei fatti storici, il ricorso alla misura ablativa, il giudice del riesame ha il potere di rendere idonea la motivazione sul punto, facendo ricorso ad argomenti che migliorino la illustrazione delle esigenze indicate dall’inquirente (Cass. pen., Sez. 5^, 18 ottobre 2005, n. 45932).
Orbene il Tribunale di Rimini ha fatto buon governo degli indicati principi di diritto, dal momento che ha fatto riferimento alle ipotesi dell’accusa, quale risultava dalle emergenze su cui si stavano sviluppando le indagini del P.M. (e, segnatamente, al verbale di P:G., costituente "parte integrante" del decreto di convalida, oltre che – come si vedrà di seguito – alla "integrazione di notizia di reato"); in particolare ha proceduto alla corretta e doverosa verifica della corrispondenza della base fattuale all’ipotesi di ricettazione contestata, rilevando, in termini succinti, ma comunque, adeguati (e, quindi, non sindacabili in questa sede) la sussistenza di elementi emergenti in atti (non genuinità dei marchi;
disponibilità dei marchi in questione da parte del S.;
utilizzo a tal fine dei macchinali in sequestro per "cucire" i suddetti marchi sugli indumenti sequestrati) idonei a integrare l’ipotesi normativa configurata, con conseguente possibile individuazione del reato-presupposto in quello di cui all’art. 474 c.p., o nell’art. 473 c.p.; ha, infine, verificato la sicura natura di corpo del reato o, almeno, di cosa pertinente al reato dei beni sequestrati, nonchè la necessità di verifiche tecniche e di controllo della relativa fatturazione (e, quindi, in ordine alla provenienza della merce).
Si tratta di una motivazione sintetica, ma non meramente apparente, giacchè lascia agevolmente comprendere l’iter argomentativo seguito;
il Tribunale non ha affatto eluso le censure del ricorrente in ordine al lamentato deficit motivazionale del decreto di convalida e neppure si è "appiattito" sulle indicazioni del P.M., avendo, piuttosto, operato con funzione chiarificatrice, proprio in ragione della natura delle censure formulate dall’odierno ricorrente, operando precisi riferimenti alla realtà fattuale emergente in atti.
E’ appena il caso di precisare che l'(eventuale) erronea indicazione da parte del Tribunale di tal F.G. come persona informata dei fatti non vale a vanificare il positivo giudizio sulla sussistenza delle esigenze probatorie, attesa l’ampiezza delle finalità investigative individuate.
Nè rileva la persistenza o meno di siffatte esigenze, dal momento che al giudice del riesame spetta soltanto verificare se il decreto sia stato legittimamente disposto e non anche verificare la persistenza delle esigenze probatorie, posto che, per quanto concerne il mantenimento o meno del sequestro legittimamente disposto, il sistema processuale ha previsto agli artt. 262 e 263 una specifica procedura, indicando tra l’altro gli organi deputati alla verifica della sussistenza delle esigenze probatorie (Cass. sez. 2^, 17/12/1998, Bugio).
2.2. Passando al terzo motivo con cui si deduce l’insussistenza del contestato delitto ex art. 648 c.p., va qui ribadito che la giurisprudenza anche costituzionale (Corte cost. ord. 04/05/2007, n. 153; cfr. anche Corte cost. n. 48 del 1994; n. 444 del 1999) è costante nel ritenere che tra i presupposti di ammissibilità del sequestro, sia esso preventivo o probatorio, non è da includere la fondatezza dell’accusa, il cui riscontro è riservato al Giudice del merito (Cass. sez. un., 23 febbraio 2000, Mariano, m. 215840; Cass. pen. sez. 3^, 03/06/2004, n. 32730) e tantomeno la colpevolezza dell’imputato (Cass. sez. 3^, 13 febbraio 2002, Di Falco, m.
221268.).
La preclusione, per il giudice del riesame delle cautele reali, di un accertamento sul merito dell’azione penale, muove dalla precipua ottica di evitare un sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa compiuto nella fase delle indagini preliminari (cfr. Corte Cost. n. 253 del 2007 cit.). Invero l’indagine sulla "gravità indiziaria" va circoscritta alle cautele personali, in considerazione della natura dei diritti coinvolti, mentre il Giudice del riesame o dell’appello della cautela reale non può e non deve orientare le proprie valuta/ioni su elementi che concernono il merito delle imputazioni contestate, trattandosi di elementi caratterizzati dalla non raggiunta completezza per essere atti di indagine, valutabili in termini complessivi all’esito della conclusione dell’attività investigativa.
L’accertamento del fumus commissi delicti in sede di impugnazione della cautela reale va, dunque, effettuato solo sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati e posti a fondamento del provvedimento, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma vanno valutati così come esposti per verificare, appunto, se consentono di ricondurre l’ipotesi di reato formulata in una di quelle tipicamente previste dalla legge (ex plurimis, Cass. pen. Sez. 3^, 03/06/2004, n. 32730), salvo il caso (che qui non ricorre) che l’infondatezza dell’accusa risulti del tutto manifesta.
Ciò posto, ritiene il Collegio che il Tribunale di Rimini ha correttamente orientato le sue valutazioni nell’ambito dei principi di diritto sopra enunciati, per il quale in materia di cautela reale non vale il criterio dell’"elevata probabilità di responsabilità", proprio della cautela personale, ed ha, quindi, adottato il diverso metro del fumus commissi delicti; nel contempo il Tribunale ha mostrato di non essersi limitato a un controllo meramente formale, ma di avere, al contrario, operato la verifica con riguardo al singolo caso concreto. In tale prospettiva risulta evidenziata la serietà della prospettazione accusatoria e dell’ipotesi investigativa, per l’ampiezza di elementi acquisiti in ordine alla non genuinità dei marchi di cui ai capi in sequestro e all’utilizzo degli stessi da parte del prevenuto, stante l’indiscutibile competenza delle persone, assunte come consulenti dalla P.G., nonchè il rilievo di alcune ammissioni dell’indagato rinvenute nel verbale di convalida di fermo.
Nel complesso le argomentazioni svolte nell’impugnata decisione in ordine al fumus danno contezza della "non manifesta infondatezza" dell’ipotesi delittuosa contestata e si sottraggono al sindacato ex art. 325 c.p.p., non risultando viziate da contrarietà a norma sostanziale o processuale, nè sorrette da motivazione solo apparente, tralignante in quanto tale in violazione di legge, rilevante in questa sede.
Nel ricorso all’esame si contesta che le parziali ammissioni rese in sede di convalida di fermo siano suscettibili di essere interpretate nel senso ritenuto dal Tribunale (secondo cui l’indagato si sarebbe limitato a "cucire" sugli indumenti i marchi falsi da altri fabbricati).
Senonchè – anche a volere prefigurare, alla luce del novellato art. 606 c.p.p., lett. e), nel "travisamento della prova" una violazione della legge processuale (come tale ammissibile in sede di ricorso ex art. 325 c.p.p.), piuttosto che un vizio di motivazione – resta il fatto che il ricorrente non ha assolto l’onere a suo carico della prova del travisamento, all’uopo non essendo sufficiente l’inserimento nel corpo del ricorso di una copia intervallata da ripetuti omissis del verbale dell’udienza di convalida. A tacere del fatto – assolutamente dirimente – che la prospettazione in chiave difensiva dell’indagato risulterebbe, comunque, inidonea a svelare la "manifesta infondatezza" dell’ipotesi criminosa formulata dall’accusa.
2.3. Considerazioni analoghe a quelle svolte sub 2.2. valgono per il quarto motivo di ricorso, con il quale si deduce l’omessa motivazione da parte del Tribunale sulle censure svolte in punto di insussistenza del reato-presupposto della ricettazione, con specifico riferimento al profilo della mancata protezione dei marchi. Invero ritiene il Collegio che non è rilevabile alcun vizio motivazionale e ciò per la semplice ragione che il contenuto critico delle censure in parola esulava dall’ambito del controllo consentito in sede di impugnazione della cautela reale (e, a fortiori, in questa sede di legittimità).
I plurimi approfondimenti, reclamati dall’odierno ricorrente, avrebbero, infatti, comportato una valutazione sul merito dell’imputazione, peraltro opinabile e, comunque, incidente su emergenze istruttorie ancora "fluide", che esula dai presupposti del sequestro probatorio, proprio perchè si tratta di un mezzo di ricerca della prova del fatto-reato e che, in ogni caso, non è consentita in sede di cautela reale.
Non appare superfluo rammentare – in sintonia con un precedente di questa stessa sezione (sentenza 17 ottobre 1995, n. 4265) – che, nel caso di marchi di larghissimo uso e di incontestata utilizzazione da parte delle relative società produttrici, è onere di chi lo assume provare l’insussistenza della protezione del marchio.
2.4. Relativamente all’ultimo motivo di ricorso osserva il Collegio che risulta dalle stesse deduzioni del ricorrente che la documentazione allegata alla "integrazione di notizia di reato", di cui si contesta l’utilizzazione da parte del Tribunale, venne acquisita agli atti del procedimento ad iniziativa del P.M. e che di essa la difesa ebbe contezza all’udienza fissata per il riesame.
Ciò detto, il motivo risulta manifestamente infondato. Si rammenta che il Tribunale del riesame, seppure è privo di poteri istruttori incompatibili con la speditezza del procedimento incidentale e con il principio informatore del processo penale basato essenzialmente sulla iniziativa delle parti, può decidere, anche in base alla documentazione offerta in contraddittorio dalle parti in udienza, (Cass. Sez. Un. 20 aprile 2004 n. 18339); in particolare è consentita anche nel procedimento incidentale di appello la produzione di documentazione relativa ad elementi probatori "nuovi", preesistenti o sopravvenuti, sempre che sia rispettato l’ambito del devolutum e che in ordine ad essi sia assicurato nel procedimento camerale il contraddittorio delle parti (cfr. Cass. pen., Sez. 1^, 23/06/2006, n. 26299; Cass. pen., Sez. 2^, 09/02/2006, n. 6728):
presupposti, questi ultimi, che, avuto riguardo allo stesso tenore delle deduzioni del ricorrente, non vi è motivo di ritenere siano stati travalicati nel caso specifico.
In definitiva le censure proposte incorrono tutte nella sanzione di inammissibilità, non essendo riconducibili alla tipologia di quelle consentite ex art. 325 c.p.p., o risultando, comunque, manifestamente infondate.
A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità – determinata da profili di colpa emergenti dal ricorso – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00, alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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