Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-04-2011) 01-06-2011, n. 22170 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 27 aprile 2010 la Corte d’Appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Perugia del 17 febbraio 1999, ha ridotto la pena inflitta a M.F. ad anni uno di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 per avere illegittimamente detenuto gr. 4,226 di cocaina, e gr. 1,132 di hashish, quantità riferite al principio attivo. La Corte territoriale ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato ascrittogli sulla base del materiale sequestrato consistente, oltre alla sostanza stupefacente in questione, anche in strumenti da taglio e peso rinvenuti nella disponibilità del M. e, soprattutto, in materiale utilizzabile per il confezionamento di dosi; la Corte d’Appello ha pure considerato le giustificazioni definite assurde, date dall’imputato al possesso del suddetto materiale. In ordine al trattamento sanzionatorio, la Corte d’Appello ha tenuto conto della modifica legislativa intervenuta riguardo al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per cui la detenzione di vario tipo di sostanza stupefacente non costituisce più reato continuato ma unico reato.

Il M. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza lamentando, con il primo motivo, la mancata valutazione ed assunzione di prova decisiva, ed omessa motivazione con riferimento al diniego della richiesta istruttoria relativa all’esame della bilancina sequestrata che avrebbe potuto dimostrare la sua inidoneità a pesare singole dosi di stupefacente.

Con secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) e art. 125 c.p.p., comma 3 per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, non avendo i giudici enunciato in modo analitico le ragioni per le quali non sono stati ritenuti attendibili i rilevi critici contenuti nell’atto di appello con particolare riferimento al mancato apprezzamento della prova diretta costituita dalla deposizione di un testimone oculare, rispetto a quella indiziaria e logica.

Con terzo motivo si deduce errata applicazione degli artt. 69 e 132 c.p., e violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) e art. 125 c.p.p., comma 3, per difetto di motivazione in ordine alle ragioni per cui si sia determinata la pena in misura superiore al minimo edittale.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.

Il primo motivo relativo all’omessa assunzione di prova dedotta come decisiva è manifestamente infondato sotto un duplice aspetto. In primo luogo la valutazione sulla necessità dell’assunzione di mezzi istruttori è chiaramente riservata ai giudici del merito, mentre in sede di legittimità può essere solo verificata la completezza e logicità della motivazione. Ma, in secondo luogo, deve considerarsi che la Corte territoriale, facendo riferimento anche alle inverosimili ed illogiche giustificazioni date dall’imputato anche riguardo al possesso di una bilancia di precisione, ha implicitamente motivato la inutilità di un ulteriore accertamento su tale bilancia preteso dal ricorrente.

Il secondo motivo è estremamente generico, in quanto non specifica nemmeno il rilievo che avrebbe la deposizione del teste M. A. nè ne indica il contenuto, per cui non sarebbe neppure possibile apprezzare tale rilievo. Per il resto il motivo di gravame contiene generiche affermazioni di principio sulla necessità delle prove per l’affermazione della penale responsabilità, senza alcuno specifico riferimento alla sentenza impugnata che, comunque, è compiutamente e logicamente motivata.

Riguardo al trattamento sanzionatorio, oggetto del terzo motivo di ricorso, va osservato che la Corte, oltre ad avere operato una congrua riduzione della pena per effetto della unicità del reato conseguente all’intervenuta modifica del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ha considerato anche la concessione delle attenuanti generiche e tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p.. D’altra parte la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’alt 133 c.p. (da ultimo, Cass., Sez. 4A, 13 gennaio 2004, Palumbo) A ciò dovendosi aggiungere che non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale (Cass., Sez. 4A, 4 dicembre 2003, Cozzolino ed altri).

Nella specie, risulta evidente che il potere discrezionale in punto di trattamento dosimetrico, alla luce della pena pecuniaria inflitta, è stato dal giudice correttamente esercitato, con riferimento allo stato di incensuratezza dell’imputato e con la concessione delle attenuanti generiche, così dimostrando di aver tenuto conto degli elementi indicati nell’art. 133 c.p..

Alla dichiarazione di inammissibilità fa seguito l’onere delle spese del procedimento nonchè la condanna dei ricorrente al pagamento di una somma in favore delle Cassa delle Ammende che si stima equo fissare, anche dopo la sentenza n. 186 del 2000 della Corte Cost, in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *