Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 13-04-2011) 01-06-2011, n. 21844 Competenza per territorio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

persona del P.G. Dr. SPINACI Sante, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Con la sentenza qui impugnata, la Corte d’appello ha riformato parzialmente la decisione di primo grado nei confronti del ricorrente P. circoscrivendo l’accusa di cui al capo A) alla sola violazione della L. n. 75 del 1958, art. 3, comma 1, n. 8, riqualificando l’imputazione sub b) in quella di cui agli artt. 110 e 610 c.p. e, l’imputazione sub e) in quella di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14, nonchè precisando la contestazione sub F) ( art. 416 c.p.) come mera partecipazione.

A tale stregua, la Corte ha ribadito la responsabilità del ricorrente infliggendogli la pena complessiva di anni sette di reclusione e 6000 Euro di multa.

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso, tramite il proprio difensore, deducendo:

1) violazione di legge e vizio di motivazione da ravvisare nel fatto che la Corte abbia respinto nuovamente l’eccezione di incompetenza territoriale già sollevata dinanzi al Tribunale dichiarando di aderire all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’eccezione sarebbe stata sollevata tardivamente oltre i termini di cui all’art. 21 c.p.p., comma 2 (vale a dire, prima della conclusione dell’udienza preliminare). Si obietta che, invece, deve valere l’altro orientamento secondo cui il giudice può dichiarare d’ufficio la propria incompetenza per territorio anche all’esito del giudizio di primo grado;

2) violazione di legge e vizio di motivazione a proposito della utilizzabilità delle dichiarazioni rese dalle pp.oo. che sono state lette sebbene le condizioni soggettive delle donne fosse tale da escludere una imprevedibilità del loro allontanamento. Si sottolinea, infatti, che tale eventualità è più che realistica considerate: 1) l’assenza di qualsiasi attività lavorativa stabile (essendo tutte dedite al meretricio sulla pubblica via); 2) erano tutte sprovviste di documenti di identità all’atto della denuncia;

3) non avevano indicato alcun domicilio ove essere rintracciate; 4) alcune di loro si erano subito allontanate dalla comunità ove erano state ospitate. In particolare, per la p.o. V. si fa notare che, sebbene fossero state acquisite notizie della sua presenza in Inghilterra, non erano state attivate ricerche per il suo rintraccio e si era, quindi, dato corso alla lettura delle sue dichiarazioni;

3) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla credibilità annessa alle dichiarazioni del chiamante in correità M.E.. In particolare, si sollecita l’attenzione sul fatto che, già nell’atto di appello, erano state evidenziate le numerose contraddizioni che caratterizzano le affermazioni fatte da questo imputato e si censura che la Corte abbia ritenuto irrilevanti le discrasie segnalate sia all’interno di quelle dichiarazioni che in raffronto alle affermazioni della parte lesa del presunto sequestro.

Critica viene rivolta anche al fatto che la Corte abbia ritenuto irrilevanti le motivazioni alla base della collaborazione di M. E. quando, invece la strumentala delle stesse (finalizzate all’ottenimento di benefici) avrebbe richiesto un maggiore rigore nella valutazione della loro attendibilità;

4) violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte ritenuto solo la violazione dell’art. 3, comma 1, n. 8, vale a dire, sfruttamento della prostituzione, sebbene tale ipotesi fosse praticamente stata esclusa dagli stessi giudici di primo grado che l’avevano considerata alternativa e residuale rispetto alle altre contestazioni (che invece sono state escluse dalla Corte). Cosi facendo, i giudici di appello hanno operato una vera e propria reformatio in pejus che è stata giustificata con motivazione che qui si critica violativa dei principi basilari sulla responsabilità penale. Ed infatti, la Corte ha replicato (all’analoga questione qui posta) che nel dispositivo della decisione di primo grado non vi era stata alcuna pronuncia assolutoria per l’ipotesi di sfruttamento e che solo a quest’ultimo avrebbe dovuto essere fatto riferimento per valutare un eventuale reformatio "sicchè la esclusione operata in motivazione è da considerarsi tamquam non esset". Si obietta, per contro che, semmai, avrebbe dovuto essere la sentenza di primo grado ad essere corretta per la non corrispondenza del dispositivo alla parte motiva (a tal fine, si richiama quella giurisprudenza della S.C. secondo cui la prevalenza del dispositivo non costituisce un canone inderogabile).

Con riguardo, poi, alle dichiarazioni delle parti lese, se ne sottolinea la ambiguità, specie tenuto conto dei rapporti di natura sentimentale che le legavano agli imputati e si sostiene che la Corte non ha rispettato le regole sulla valutazione della prova ignorando aspetti sostanziali come quello relativo alla V. che, una volta allontanatasi dalla comunità protetta, era subito stata raggiunta dagli imputati presso la stazione centrale di Milano. Con riferimento a tale episodio, si fa notare che tale rintraccio non sarebbe stato possibile se non fosse stata la stessa V. a segnalare la propria presenza agli imputati;

5) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla imputazione sub b). Sebbene, infatti, la Corte abbia riqualificato le imputazioni da sequestro di persona a violenza privata, non si è in presenza di una corretta rivisitazione della vicenda. A tal fine, si richiamano una serie di episodi che sarebbero indicativi del fatto che le ragazze si sono sempre mosse in piena libertà sì da escludere del tutto la contestazione;

6) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla fattispecie associativa della quale si è sostenuta la insussistenza per via dei seguenti motivi: 1) limitatissima estensione temporale del fenomeno; 2) assenza di una ripartizione di ruoli; 3) assenza di riscontri circa una comune gestione dei proventi illeciti; 4) mancanza di una previa deliberazione comune del programma criminoso.

Inoltre, la Corte ha sottovalutato i rilievi in punto di elemento soggettivo laddove, invece, è chiara la assoluta estemporaneità delle singole partecipazioni. In particolare, per quel che attiene all’odierno ricorrente, si fa notare che il suo arrivo in Italia è coinciso quasi con l’arresto dei coimputati M. e Mi., sì da far venir meno il numero minimo dei partecipanti. Come pure, è emerso che la realizzazione dei reati-fine è stato frutto di iniziative individuali;

7) violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte ritenuto corretta la contestazione dell’aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art., 4 n. 7, sebbene essa non sia stata contestata formalmente;

8) violazione di legge e vizio di motivazione perchè, in particolare, non è condivisibile la motivazione addotta per il diniego delle attenuanti generiche in quanto non si è tenuto conto delle circostanza favorevoli che avrebbero, quantomeno, permesso di formulare un bilanciamento con gli elementi negativi.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

2. Motivi della decisione – Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

2.1. La questione posta con il primo motivo è infondata perchè obiettivamente tardiva come evidenziato dai giudici di secondo grado.

Essa, peraltro, è stata qui sostenuta in termini generici sulla base di una citazione giurisprudenziale priva di riferimenti (in guisa da non poter essere verificata) e che, comunque (spogliando la giurisprudenza sui punto) sembra riferirsi, semmai, al caso di procedimento connesso della cui esistenza si venga a sapere dopo la chiusura dell’udienza preliminare (Rv. 228931).

La regola, infatti, è che il termine, oltre il quale le questioni concernenti la competenza per territorio sono precluse e non possono essere più rilevate neppure di ufficio, è quello dell’avvenuto accertamento, per la prima volta, della costituzione delle parti, a norma dell’art. 491 c.p.p., comma 1, e non può essere superato neppure se i presupposti per proporre la questione siano emersi nel corso del dibattimento, salvo che la questione della competenza territoriale sia ancora aperta o il giudice non abbia osservato la norma che impone di decidere immediatamente su di essa. (Sez. 1^, 17.12.98, Abbellito, Rv. 212457; conf. Sez. 6^, 22.6.01, Rv. 221213).

Si tratta, quindi, di motivo ai limiti della manifesta inammissibilità anche perchè la Corte vi ha replicato in modo ampio, argomentato con plurime citazioni giurisprudenziali conformi (che ribattono all’unico ed isolato precedente evocato dal ricorrente) e con ragionamento del tutto logico.

2.2. Altrettanto valida è la motivazione con cui la Corte replica alla questione, già sollevata dinanzi ad essa, della inutilizzabilità delle dichiarazioni delle pp.oo. (f 14 e ss). Ed infatti, per quel che attiene alla V. si fa notare che "il presupposto della irreperibilità deve ritenersi sussistente in quanto la notizia che la predetta si trovasse in Gran Bretagna, senza ulteriori precisazioni, non consentiva di avviare utili ricerche in quello Stato".

Quindi, sul punto della imprevedibilità dell’allontanamento (in genere) – ricordata la giurisprudenza di questa S.C. secondo cui la semplice condizione di straniera che svolga attività di meretricio non sono condizioni sufficienti a far presumere che si renderà irreperibile – si fa osservare che la C. è italiana mentre le altre tre donne erano state condotte presso una comunità protetta e, per di più, una di esse aveva preso a lavorare presso una famiglia italiana "alla quale ha poi lasciato il proprio recapito in Romania, risultato in sede di ricerche, effettivamente corrispondente alla residenza anagrafica" (f. 15).

E’ agevole constatare che si tratta di considerazioni basate su dati obiettivi ed interpretate in modo del tutto compatibile con il senso comune e con i limiti di una "plausibile opinabilità di apprezzamento" (tra le ultime, sez. 6^ 17.10.06 ouardass, n. 37270).

Peraltro, deve apprezzarsi anche il giusto richiamo della Corte a quella decisione di questa stessa sezione (8.5.07, De Los santos, Rv.

237633) nella quale si è affermato che "la irreperibilità del teste, che pure è conseguenza di un atto volontario, non determina automaticamente la inutilizzabilità delle precedenti dichiarazioni, ma è un dato neutro che assume valenza ai fini dell’art. 526 c.p.p., comma 1 bis, solo qualora sia connotata dalla volontà di sottrarsi all’esame".

Di certo, tale connotazione non è rinvenibile nel caso in esame posto che, come ricorda la sentenza impugnata, la irreperibilità sopraggiunta delle persone offese non era prevedibile ed, in assenza di elementi specifici di segno contrario, ben può essere considerata solo conseguenza della notoria "instabilità esistenziale" di questo tipo di persone.

3.3. Il terzo motivo di ricorso è sostanzialmente inammissibile perchè inficiato dall’equivoco di fondo di ritenere che la S.C. possa effettuare una nuova valutazione dei dati fattuali e stabilire, cioè, se le dichiarazioni del chiamante in correità M. possano o meno prestarsi a diverse interpretazioni se raffrontate a quelle della parte lesa del presunto sequestro.

Il punto è che questo tipo di apprezzamento è riservato esclusivamente al giudice di merito e la motivazione diventa censurabile, in sede di legittimità, solo nel momento in cui della propria valutazione, il giudice non dia alcuna spiegazione ovvero ne dia una apparente, contraddittoria o manifestamente illogica. Il sindacato sulla gravità, precisione e concordanza della prova indiziaria è limitato alla verifica della correttezza del ragionamento probatorio del giudice di merito, che deve fornire una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicità e non fondata su base meramente congetturale in assenza di riferimenti individualizzanti, o sostenuta da riferimenti palesemente inadeguati (sez. 4^, 12.11.09, Durante, Rv., 245880).

Tali sono, infatti, i soli profili entro cui può espletarsi il controllo di legittimità di questa S.C. ai fini della verifica del vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e).

In detta ottica, la verifica della decisione impugnata da esito positivo nel momento in cui, riqualificando il sequestro di persona in violenza privata, da conto del fatto che "risulta ampiamente provato che le persone offese siano state costrette, mediante le continue violenze e minacce che le stesse hanno descritto e che sono state riconosciute da uno degli autori, il M., a subire le vessazioni degli imputati, i quali non si limitavano a sfruttare la prostituzione delle quattro donne, ma interferivano pesantemente nella loro vita privata, imponendo una coabitazione forzata e controllando i loro movimenti in modo tale da dar luogo a gravi limitazioni della loro sfera decisionale in relazione alle più elementari esigenze di vita" (f. 21). Alla stregua di ciò, risulta del tutto irrilevante l’eventuale finalità "opportunistica" del M. nell’ammettere i fatti e chiamare in correità su aspetti che già avevano una loro obiettiva credibilità.

La decisione impugnata è, quindi, corretta anche quando afferma la indifferenza delle ragioni che hanno portato alla scelta processuale di M. (f 16) delle cui dichiarazioni la Corte sottolinea la complessiva precisione e non equivocità. 2.4. Per quel che attiene al contrasto tra motivazione e dispositivo – dedotto con il quarto motivo – nessuna critica può muoversi alla risposta data dalla Corte (ff. 18 ss.) che si basa, sia, sul richiamo ad una linea giurisprudenziale consolidata, sia, su di un ragionamento logico relativamente al caso concreto.

Sotto il primo profilo, infatti la Corte ricorda come sia invalso (ex multis sez. 2^, 20.5.08, Laini, Rv. 240649) il principio secondo cui l’eventuale difformità tra dispositivo e motivazione della sentenza "Va risolta nel senso della prevalenza del primo, che è l’atto con il quale si estrinseca la volontà della legge nel caso concreto, sulla seconda, che ha solo una funzione strumentale".

Il richiamo, tuttavia, non esaurisce il percorso motivazionale perchè, comunque, è anche calandosi nella fattispecie che i giudici di merito elidono il dubbio di dover opinare diversamente. In tal modo, quindi, la Corte invalida anche il giusto richiamo del ricorrente al fatto che, anche nella giurisprudenza di questa S.C., si rinvengono delle aperture alla possibilità di derogare al principio appena detto (es. Sez. 4^, 24.6.08, Adame, Rv. 240379). Ed infatti, proprio perchè occorre avere riguardo al tipo di contasti che possono sussistere, nella specie, giustamente la Corte ha escluso che la, pur ammessa, difformità tra motivazione e dispositivo giustificasse una revisione della decisione di primo grado sulla – indubbiamente logica ed obiettiva – considerazione che "la condotta di sfruttamento certamente non è residuale nè alternativa rispetto alle altre" sì che è fondato il dubbio di essere in presenza di un errore materiale contenuto nella frase della decisione di primo grado (ove si dice che va "esclusa la fattispecie di cui all’art. 3, n. 8 … da considerarsi residuale ed alternativa rispetto alle altre condotte elencate nell’articolo") e ritenere che "Ci si volesse, invece, riferire alla condotta di agevolazione di cui al n. 4" (f.

19). Risulta, quindi, sicuramente ben giustificata da parte dei giudici di secondo grado anche la reiezione di questo motivo di gravame.

2.5. Il quinto e sesto motivo di ricorso possono essere trattati congiuntamente perchè entrambi affetti dallo stesso difetto radicale di puntare, cioè, ad ottenere una rivisitazione dei fatti per trame conclusioni diverse. Come già si è evidenziato replicando sul terzo motivo, compito di questa S.C. è solo quello di verificare la logica della chiave interpretativa della motivazione impugnata. Pertanto, una volta che il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della propria analisi probatoria, l’esame del giudice di legittimità non può andare oltre essendo preclusa (sez. 2^ 11.1.07, Messina, Rv. 23571 e) "la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova", (ex multis sez. 1^, 27.9.07, Formis, rv. 237863; sez. 2^ 11.1.07, Messina, Rv. 235716).

Tanto puntualizzato, perciò, deve ritenersi ineccepibile la decisione impugnata che, nel confermare la condanna del primo grado, ha, non solo, richiamato – ed ampiamente riassunto – quella decisione, ma, soggiunto alcuni profili di convincimento peculiari desunti dalle dichiarazioni delle pp.oo. che sono state analizzate di concerto con quelle del M. (delle quali si sottolinea la piena conformità) si che la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice di merito non poteva che essere convalidata con sicurezza, specie con riferimento alla contestata violazione della L. n. 75 del 1958 (ff. 18 ss.). La completezza ed attenzione del ragionamento motivazionale della Corte, del resto, si coglie anche nel fatto che essa ha operato degli attenti distinguo nelle condotte incriminate escludendo quelle riconducibili ai nn. 4 e 5 (agevolazione ed induzione) perchè, proprio alla luce di quanto dichiarato dalle ragazze, ed emerso dalle indagini, era pacifico che le persone offese già si prostituissero e fossero anche autonomamente intenzionate a proseguire in tale attività. Ciò però non autorizza alcuna attività di sfruttamento da parte di terzi che, una volta verificata come nella specie, deve essere sanzionata "risultando dalle concordi dichiarazioni di M. e delle persone offese che queste ultime erano costrette a versare i proventi della prostituzione agli attuali imputati (ed al M.)". Da sottolineare, peraltro che, nel giustificare il proprio convincimento, la Corte di merito non si è neppure sottratta all’esame delle asserite incongruenze e contraddizioni respingendole in modo congruo e logico.

Altrettanto deve dirsi a proposito del reato associativo al cui riguardo la Corte da atto della brevità del sodalizio ma ribadendo che "ciò che conta ai fini della sussistenza del reato associativo è la ricorrenza dei requisiti necessari per la configurabilità di tale fattispecie, che senz’altro sono ravvisabili nel caso in esame" (f. 22).

Quanto, infine, alla ipotesi di sequestro di persona, derubricata dalla Corte in violenza privata, già si è detto a proposito del terzo motivo e non si può che ribadire che la motivazione sul punto è inattaccabile anche perchè sopraggiunge ad una attenta ricostruzione dei fatti e delle vicende processuali. Del resto, sostenere l’assenza di qualsivoglia costrizione solo perchè il M. ebbe a dichiarare che "le prostitute, se volevano scappare, scappavano" e che non erano state "chiuse" "perchè erano uscite tante volte" costituisce una elusione del senso della contestazione del reato di cui all’art. 610 c.p. non a caso – e giustamente – ritenuto sussistente in vece di quello di cui all’art. 605 c.p..

2.6. Incensurabile è anche la risposta data dalla Corte alla questione – di cui al settimo motivo – della mancata contestazione dell’aggravante di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 4, n. 7.

A riguardo, infatti, si fa notare che la contestazione è in fatto e che, quindi, sul punto della pluralità delle persone offese, gli imputati hanno potuto difendersi. Ciò, del resto, è in conformità a quanto sempre affermato da questa S.C. (sez. 5^, 16.9.08, Fornaio, rv. 242027, conf. Rv. 227076) che, cioè, ai fini della contestazione di una circostanza aggravante non è indispensabile una formula specifica espressa con enunciazione letterale, "nè l’indicazione della disposizione di legge che la prevede, essendo sufficiente che, conformemente al principio di correlazione tra accusa e decisione, l’imputato sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa sugli elementi di fatto integranti l’aggravante". 2.7. 8) Generico e manifestamente infondato è, infine l’ottavo motivo di ricorso con il quale si censura il diniego delle attenuanti generiche.

In primo luogo, deve rammentarsi che il riconoscimento delle circostanze di cui all’art. 62 bis c.p. non costituisce nè un diritto quesito per l’imputato nè una "benevola concessione" da parte del giudice. In particolare esse non derivano automaticamente dall’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto.

Ciò è tanto vero che lo stesso legislatore ha, abbastanza di recente (v. D.L. 23 maggio 2008, art. 1, comma 1, lett. f bis, conv.

L. 24 luglio 2008), ritenuto di dover puntualizzare – attraverso l’inserimento dell’art. 62 bis c.p., comma 3 – che "in ogni caso, l’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al comma 1".

La loro funzione di adeguamento della pena al caso concreto è, infatti, correlata alla sussistenza obiettiva di situazioni o circostanze non rientranti tra quelle già codificate ma che presentano connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva e particolare, considerazione. Si richiedono, in altri termini, elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola. (sez. 1^, 22.9.93, Stentano, Rv. 195339).

In ogni caso, il loro "riconoscimento o meno è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, che deve motivare nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo" (sez. 1^, 4.11.04, p.g. in proc. Paimisani, Rv. 230591).

Questo è quanto, per l’appunto, avvenuto nella specie ove la Corte ha ritenuto di respingere al medesima richiesta avanzata con i motivi di appello richiamando l’attenzione sulle modalità dei fatti "consistite in un’attività di sfruttamento della prostituzione in un contesto associativocce ha assunto connotati di rilevante gravità e pericolosità in relazione sia ai metodi abitualmente violenti utilizzati per la gestione delle prostitute ed anche per il controllo del territorio, sia al numerosi donne complessivamente sfruttate dagli associati".

E’, quindi, giustamente, per tali ragioni, che la Corte ha considerato non decisivo l’unico dato positivo prospettabile a favore degli imputati, vale a dire, la loro formale incensuratezza.

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Visti gli artt. 637 e ss. c.p.p.;

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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