Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-04-2011) 01-06-2011, n. 21809 Determinazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 22.7.2010 la Corte d’Appello di Reggio Calabria Sezione Minori in parziale riforma della sentenza emessa in data 1.2.2010 GUP presso il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria nei confronti di P.S. condannato in concorso per due rapine aggravate in danno di venditori ambulanti, lesioni e danneggiamento aggravato di due autovetture, riduceva la pena inflitta ad anni 3 di recl. ed Euro 1.200,00 di multa.

La Corte territoriale concordava con il giudice di primo grado in punto responsabilità.

In particolare con riguardo ai motivi di impugnazione precisava che nessuna nullità poteva essere ravvisata con riferimento agli atti di indagine preceduti dalla identificazione del dichiarante parte offesa B. considerata la certezza di tale identificazione e la sua presenza regolare sul territorio dello Stato, il B. si era infatti presentato anche in dibattimento a seguito di citazione.

Riteneva ininfluente sulla complessiva attendibilità del B. la smentita circa la presenza di F.M.A. nei fatti in esame condividendo l’assunto del giudice di primo grado, così come riteneva irrilevanti le contraddizioni rilevate fra le sue dichiarazioni e quelle di altri soggetti escussi, considerato che il teste era riscontrato in parte dalle stesse dichiarazioni del P. e di C.T., ma soprattutto dalle dichiarazioni delle altre parti lese.

Considerava corrette le modalità di espletamento del riconoscimento fotografico effettuato nel corso delle indagini preliminari.

Giustificava le imprecisioni nella descrizione del P. con le difficoltà linguistiche del B. e riteneva ininfluente la c.d. prova d’alibi essendo risultata compatibile la presenza del P. sulla scena del crimine e presso la Guardia Medica ponendosi i due eventi in necessaria sequenza temporale.

Riteneva corretta la qualificazione giuridica dei fatti.

Negava le circostanze attenuanti generiche e la richiesta attenuante di cui all’art. 114 c.p..

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo che la sentenza impugnata è incorsa:

a. in violazione di legge: inosservanza di norme processuali penali stabilite a pena di nullità e/o inutilizzabilità.

Eccepisce la nullità della sentenza nella parte in cui i giudici di merito si sono avvalsi dei verbali del B., nulli per non corretta identificazione del denunciante. b. travisamento della prova. contesta la ricostruzione dei fatti operata dai giudici del merito richiamando brani della sentenza impugnata, atti di indagine e trascrizioni dibattimentali.

Lamenta che il travisamento delle prove ha portato il giudicante ad una non corretta qualificazione dei fatti. c. mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 e art. 114 c.p. pena eccessiva.

Il ricorso presentato da P.S. inammissibile.

I motivi riproducono pedissequamente i motivi d’appello.

E’ giurisprudenza pacifica di questa Corte che se i motivi del ricorso per Cassazione riproducono integralmente ed esattamente i motivi d’appello senza alcun riferimento alla motivazione della sentenza di secondo grado, le relative deduzioni non rispondono al concetto stesso di "motivo", perchè non si raccordano a un determinato punto della sentenza impugnata ed appaiono, quindi, come prive del requisito della specificità richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 c.p.p., lett. c).

E’ evidente infatti che, a fronte di una sentenza di appello, come quella in esame, che ha fornito una risposta specifica a tutti i motivi di gravame la pedissequa ripresentazione degli stessi come motivi di ricorso in Cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’Appello.

Deve aggiungersi con riguardo alle doglianze formulate dal ricorrente, attinenti alla tenuta argomentativa della sentenza, che ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile:

a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.

Deve aggiungersi che l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Cass., Sez. 4^, 4 dicembre 2003, Cozzolino ed altri).

Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a sè stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati.

Nel caso di specie il ricorrente non solo ha reiterato doglianze già esposte con i motivi d’appello e debitamente disattese dalla Corte di merito, ma non ha nemmeno sostenuto il suo assunto con richiamo ad atti specifici e ben individuati del processo che il giudice di merito avrebbe omesso di valutare.

In proposito il Collegio osserva che è ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio della c.d.

"autosufficienza" del ricorso in base al quale quando la doglianza fa riferimento ad atti processuali, la cui valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del proprio assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificatamente indicati o la loro allegazione (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in precedenza), essendo precluso alla Corte l’esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (cfr.

Cass. n. 20344/06; Cass. n. 20370/06; Cass. n. 47499/07; Cass. n. 16706/08).

In altri termini, al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto.

Pertanto la Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta giudice della motivazione Nel caso di specie va anche ricordato che ci si trova dinanzi ad una "doppia conforme" e cioè doppia pronuncia di eguale segno per cui il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.

Il vizio di motivazione può infatti essere fatto valere solo nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di ed. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum " con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. Sez. 4^, n. 19710/2009 Rv 243636; Cass. Sez. 1^, n. 24667/07; Cass. Sez. 2^, n. 5223/2007 rv. 236130).

Nel caso in esame, invece, il giudice di appello ha riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo avere preso atto della censura dell’appellante, è giunto alla medesima conclusione della sentenza di primo grado.

Aderendo a tali principi deve perciò affermarsi che la sentenza impugnata supera il vaglio di legittimità.

Il ricorrente infatti attraverso lo schermo del travisamento chiede una rivalutazione complessiva delle prove non consentita in questa fase di legittimità.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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