Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce 58/2009

Composto dai Signori Magistrati:

Aldo Ravalli Presidente

Luigi Viola Consigliere

Massimo Santini Referendario est.

Ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso n. 1203/2008 presentato dalla Fideco Ambiente s.r.l., in personale del legale rappresentante sig. Pier Francesco Rimbotti, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Antonella Capria. Teodora Marocco ed Angelo Vantaggiato ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Lecce alla via Zanardelli n. 7;

contro

il Comune di Manduria, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Arcangelo Maurizio Passiatore ed elettivamente domiciliato in Lecce alla via Zanardelli n. 7 presso lo studio dell’Avv. Laura Borrega;

per l’annullamento

1. della nota n. 15556 in data 28 maggio 2008 del Comune di Manduria con cui si ordina di non effettuare l’intervento diretto alla realizzazione di un impianto fotovoltaico di potenza inferiore ad 1 MW;
2. della nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008;
3. di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale;

nonché, con atto di motivi aggiunti

4. della nota n. 20600 del 16 luglio 2008 con cui si prescrivono ulteriori condizioni cui dovrà attenersi la richiedente;
5. della deliberazione della giunta municipale n. 158 del 12 giugno 2008.

Visti il ricorso e l’atto di motivi aggiunti con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale, resistente;

Visti tutti gli atti di causa;

Designato alla pubblica udienza del 19 novembre 2008 il relatore Massimo Santini, referendario, uditi altresì gli Avv.ti Marocco e Vantaggiato per il ricorrente, e l’Avv. Passiatore per il Comune resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente ha presentato in data 22 febbraio 2008 denuncia di inizio attività, ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 e della legge Regione Puglia n. 1 del 2008, per la realizzazione di un impianto fotovoltaico di potenza pari a 0,98 MW.

In data 10 marzo 2008 il Comune di Manduria chiedeva una integrazione documentale che la società provvedeva a riscontare il successivo 21 marzo 2008.

In data 9 giugno 2008 il Comune di Manduria ordinava di non effettuare l’intervento in quanto con nota assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008, nelle more del redigendo regolamento comunale per la disciplina dei suddetti impianti di energia rinnovabile, tutte le relative pratiche erano state temporaneamente sospese per 60 giorni, e ciò anche in applicazione della delibera regionale n. 35 del 2007.

La società interponeva dunque ricorso giurisdizionale per i seguenti motivi:

1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del DPR n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia), in quanto il provvedimento inibitorio è stato adottato oltre il termine perentorio di trenta giorni previsto dalla indicata disposizione affinché si formi validamente il titolo edilizio;
2. Violazione dell’art. 41 Cost. e in particolare del principio di legalità, considerato che un siffatto potere soprassessorio (concretizzatosi mediante la sospensione assessorile) non è altrimenti contemplato dalla normativa di riferimento settoriale;
3. Violazione del principio di certezza del diritto, atteso che l’ordine del comune è intervenuto una volta che il titolo edilizio si era ormai formato, con conseguente radicamento di un legittimo affidamento in capo alla società ricorrente;
4. Difetto di motivazione, in quanto non vengono esplicitate le ragioni per cui la pratica, al di là della nota assessorile, avrebbe dovuto essere sospesa;
5. Violazione dell’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, il quale non prevederebbe in alcun modo l’esercizio di un siffatto potere regolamentare da parte delle amministrazioni comunali, il cui intervento potrebbe anzi comportare ulteriori e indebiti limiti normativi alla realizzazione di impianti ritenuti fondamentali per il raggiungimento di importanti obiettivi di politica ambientale.

Con atto di motivi aggiunti venivano poi impugnati: a) la nota n. 20600 del 16 luglio 2008 del Comune di Manduria, con la quale si invitava la società a conformarsi al regolamento comunale adottato con delibera n. 158 del 12 giugno 2008, nonché all’art. 27 della legge regionale n. 1 del 2008; b) il citato regolamento comunale n. 158 con cui, in particolare: a) si vieta l’espianto di vitigni “Primitivo doc” e di ulivi secolari al fine di installare detti impianti di energia rinnovabile; b) si richiede in ogni caso il parere dell’Ispettorato Provinciale Agricolo; c) si impone il recupero agricolo di almeno 1/3 della superficie disponibile e la perimetrazione a verde agricolo dell’area interessata dall’intervento; d) si prevede il versamento di un canone annuo a titolo di ristoro ambientale, nonché di una fideiussione a garanzia dell’eventuale smantellamento dell’impianto a fine esercizio. Al riguardo sono state dunque proposte le seguenti ulteriori censure:

6. Violazione della legge n. 239 del 2004 nella parte in cui prevede misure di compensazione ambientale disposte direttamente dal Comune, laddove la normativa di settore ascrive siffatta competenza esclusivamente in capo a Stato e regioni, peraltro per esigenze legate all’elevato impatto territoriale ed ambientale prodotto dai suddetti impianti;
7. Violazione dell’art. 23 Cost., nella parte in cui viene stabilita la corresponsione di un contributo nella sostanza riconducibile ad un tributo non altrimenti previsto da una fonte primaria;
8. Violazione della delibera regionale n. 35 del 2007, la quale prevede il versamento di fideiussioni soltanto per impianti soggetti ad autorizzazione espressa (ossia superiori ad 1 MW) e non anche per quelli sottoposti a DIA (ossia di potenza inferiore ad 1 MW);
9. Eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità nella parte in cui impone oneri di coltivazione e di trattamento del fondo (recupero agricolo di almeno 1/3 della superficie disponibile e perimetrazione a verde agricolo dell’area interessata dall’intervento) non altrimenti previsti dalla normativa vigente.

Si è costituito in giudizio il Comune di Manduria eccependo che:

1. La integrazione documentale riscontrata il 20 marzo 2008 non è sufficiente a superare la carenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi, in capo alla ricorrente, affinché il termine per la formazione del titolo edilizio possa ritenersi validamente trascorso. Dunque, poiché la documentazione è incompleta, il termine non può validamente decorrere ai fini della formazione del titolo edilizio;
2. Il contratto preliminare di locazione dell’area ove collocare l’impianto è privo della prescritta registrazione;
3. La DIA non è stata altresì sottoscritta dal proprietario dell’area, né è stato allegato il titolo di proprietà dell’area;
4. Il DURC del 25 febbraio 2008 è stato depositato tardivamente;
5. La relazione tecnica sulla asseverazione dell’area come agricola è eccessivamente sintetica e generica;
6. Manca il nulla osta sull’assenza di interferenze con le linee di comunicazioni elettroniche di cui al d.lgs. n. 259 del 2003 (richiamata nella nota circolare del MISE in data 25 giugno 2008), nonché l’assegnazione del punto di connessione da parte dell’ENEL (cfr. circolare Regione Puglia in data 1° agosto 2008);
7. Difetta il requisito dell’integrazione dell’impianto con altre strutture a carattere commerciale, industriale o di servizi, così come previsto dall’art. 27 della legge regionale n. 1 del 2008;
8. Non risulta rispettato il requisito stabilito dall’art. 2 della legge Regione Puglia n. 31 del 2008, nella parte in cui esclude la realizzazione di siffatti impianti negli ambiti territoriali estesi C e D del PUTT, né quello fissato dal successivo art. 3 della stessa legge regionale, laddove è prescritto che l’area asservita all’intervento sia estesa almeno due volte la superficie radiante;
9. Infine v’è carenza di interesse in merito alla nota assessorile di sospensione del 14 maggio 2008, dal momento che la stessa è priva di lesività diretta nei confronti del ricorrente.

Alla udienza del 19 novembre 2008 i rispettivi procuratori delle parti costituite rassegnavano le proprie conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

01. Il ricorso è fondato nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

1. Si affrontano contestualmente i primi quattro motivi di ricorso, data la loro stretta connessione sul piano logico e sistematico. Essi riguardano in particolare l’ordine di non effettuare l’intervento in data 28 maggio 2008.

1.1. In primo luogo si rileva che il predetto ordine è stato adottato a seguito della scadenza del termine previsto per la formazione del titolo edilizio, che la legge fissa in trenta giorni dalla presentazione della DIA.

Quest’ultima è stata infatti presentata in data 22 febbraio 2008 ed integrata il successivo 21 marzo. Da tale data i trenta giorni – in applicazione del principio secondo cui il termine decorre dal momento in cui la documentazione è effettivamente completa – sono nuovamente scattati: il riscontro documentale integrativo del 21 marzo 2008, sul quale la PA non ha mai sollevato eccezione alcuna se non (irritualmente) in questa sede giurisdizionale, si appalesa infatti idoneo a far decorrere nuovamente il termine che – in assenza come nella specie di ulteriori interruzioni per adempimenti istruttori – è dunque venuto a scadenza il successivo 20 aprile 2008.

L’ordine di non effettuare i lavori è invece intervenuto il 28 maggio.

A tale riguardo, è ius receptum che la DIA prevista dal testo unico edilizia (TUEd) rappresenti autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento: in merito ad essa la PA svolge una eventuale attività di controllo – nel termine di trenta giorni dalla presentazione della DIA stessa – che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo) del titolo legittimante l’inizio dei lavori.

Ora, il termine di 30 giorni entro il quale l’amministrazione comunale può esercitare il potere inibitorio in relazione alla denuncia di inizio attività ex art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 è da ritenersi perentorio, sia per la certezza dei rapporti giuridici, sia perché la norma introduce nella peculiare fattispecie normativa (realizzazione di impianti di energia rinnovabile) una duplice limitazione temporanea: da un lato, allo jus aedificandi, che è facoltà attinente al diritto di proprietà; dall’altro lato, alla libera iniziativa privata in materia di attività energetica (art. 1, comma 2, legge n. 239 del 2004). Pertanto, detta limitazione temporanea non può che avere carattere perentorio, non potendo lasciarsi al mero arbitrio dell’amministrazione la disponibilità dei diritti sopra indicati, costituzionalmente garantito. Ove, pertanto, dopo la presentazione della denuncia di inizio attività decorra infruttuosamente il termine di 30 giorni previsto, la conseguenza che da ciò deriva è la formazione dell’autorizzazione edilizia implicita (cfr., in termini, T.A.R. Abruzzo L’Aquila, 8 giugno 2005, n. 433).

Prima la giurisprudenza e poi il legislatore (legge n. 80 del 2005) hanno inoltre stabilito che, una volta decorsi i termini previsti dall’art. 23 TUED, all’amministrazione residua unicamente l’attivazione del procedimento di autotutela secondo i criteri ed i parametri stabiliti al riguardo dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990.

Circa l’esercizio di siffatto potere non v’è tuttavia traccia nel caso di specie: avuto riguardo allo specifico contenuto del provvedimento impugnato, infatti, emerge inequivocabilmente che il Comune ha tardivamente esercitato proprio quel controllo sul progetto che l’ordinamento colloca – come già detto – perentoriamente in una fase precedente alla formazione del titolo edilizio. In altre parole, la rappresentazione delle cause ostative (sulla cui legittimità in sé, peraltro, ci si soffermerà più avanti) è stata intempestivamente posta in essere solo dopo la chiusura per silentium della fase istruttoria, ossia allorquando il tiolo edilizio doveva ritenersi già positivamente assentito.

1.2. In secondo luogo – e ferma restando la già rilevata scadenza del termine perentorio – secondo lo schema delineato dall’art. 23 TUED non è consentita la inibitoria dell’intervento che si intende realizzare se non per la riscontrata assenza di una o più delle condizioni stabilite dalla normativa vigente al momento della scadenza dei termini previsti per la formazione del titolo edilizio, senza poter mai invocare al medesimo fine atti regolamentari che allo stato risultano solo in corso di predisposizione.

1.3. Peraltro, un simile potere soprassessorio (sospensione di tutte le pratiche DIA in attesa della adozione del regolamento di settore) non appare altrimenti contemplato dalla normativa di riferimento (d.lgs. n. 387 del 2003 e DPR n. 380 del 2001). Infatti, in applicazione del principio di legalità dell’azione amministrativa ciascuna amministrazione può esercitare soltanto i poteri espressamente previsti dalla legge e secondo le modalità da questa previste. E ciò tanto più ove si tratti – come nella specie – di incidere su attività economiche: a) in via di principio soggette a (parziale) liberalizzazione (citato art. 1 della legge n. 239 del 2004); b) ritenute fondamentali per il raggiungimento di obiettivi di politica ambientale fissati a livello comunitario (direttiva 2001/77/CE, la quale prevede inoltre la riduzione di qualsivoglia ostacolo normativo) e ancor prima a livello internazionale (v. Protocollo di Kyoto).

In questa prospettiva, il provvedimento inibitorio si appalesa anzi oltremodo posto in violazione di principi fondamentali di semplificazione stabiliti dalla legislazione statale in materia di energia (d.lgs. n. 387 del 2003), la quale prevede termini come visto perentori (in particolare, 180 gg. per gli impianti superiori ad 1 MW e 30 gg. per quelli di potenza inferiore) per la conclusione dei relativi procedimenti amministrativi, sì da non tollerare una loro sospensione, quand’anche ad tempus e non sine die (cfr. Corte cost., sent. n. 364 del 2006).

Le censure qui complessivamente affrontate debbo dunque essere accolte.

2. La difesa comunale, dal canto suo, ha sollevato una serie di eccezioni per lo più dirette a rilevare il mancato, utile decorso del termine, in base a numerose argomentazioni che il collegio non ritiene tuttavia di condividere per le ragioni di seguito esposte.

2.1. Per quanto attiene alla asserita carenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi in capo alla società, tale eccezione è smentita in fatto sulla base della documentazione versata in atti, dalla quale si evince che attraverso l’integrazione documentale depositata il 21 marzo (concernente titolo di proprietà, DURC, produzione rifiuti, etc.) la ricorrente sembra avere pienamente soddisfatto la richiesta istruttoria dell’amministrazione comunale; quest’ultima, d’altra parte, nei due successivi provvedimenti del 28 maggio 2008 e del 16 luglio 2008 (oggetto del presente gravame) non ha in effetti mai provveduto a contestare il riscontro documentale sopra menzionato.

Del resto, anche le ulteriori contestazioni concernenti registrazione del contratto di locazione, dimostrazione del titolo di proprietà, tempestività di produzione del DURC e relazione asseverativa della zona agricola, oltre a non apparire meritevoli di accoglimento per genericità o infondatezza (l’attestazione della proprietà è stata prodotta così come i dati sulla regolarità contributiva), sono state sollevate esclusivamente in questa sede, senza che nelle due richiamate note del 28 maggio 2008 e del 16 luglio 2008 sia mai stata espressa al riguardo riserva alcuna.

Si tratterebbe dunque di una inammissibile integrazione postuma della motivazione dei provvedimenti impugnati.

Peraltro, qualora la carenza documentale fosse stata ritenuta dall’amministrazione sì evidente e decisiva, una volta formatosi il titolo edilizio la stessa avrebbe potuto solamente esercitare – come già detto – la prevista autotutela; prerogativa cui, nella specie, non si è fatto comunque ricorso.

2.2. Stesso discorso per quelle eccezioni sollevate in ordine al nulla-osta sull’assenza di interferenze con le comunicazioni elettroniche ed al punto di connessione ENEL: esse non possono infatti trovare ingresso in questa sede giacché rappresentano profili non altrimenti evidenziati nei provvedimenti gravati, configurandosi in tal modo come integrazione postuma della motivazione. Né è stato esercitato, al riguardo, alcun potere di autotutela.

2.3. Per quanto attiene all’ambito di applicazione dell’art. 27 della legge regionale n. 1 del 2008, ratione temporis applicabile (ossia prima della sua abrogazione da parte della legge regionale n. 31 del 2008, che ha ridisciplinato tali aspetti), essa prevede, al comma 1, che “per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 … con potenza elettrica nominale fino a 1 MWe da realizzare nella Regione Puglia, fatte salve le norme in materia di valutazione di impatto ambientale e di valutazione di incidenza, si applica la disciplina della denuncia di inizio attività (DIA), di cui agli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 … nei seguenti casi:

a) impianti fotovoltaici posti su edifici industriali, commerciali e servizi, e/o collocati a terra internamente a complessi industriali, commerciali e servizi esistenti o da costruire … ”.

Il successivo comma 2 prevede poi che “gli impianti di cui al comma 1 possono anche essere realizzati in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, tenuto, peraltro, conto di quanto specificato dall’articolo 12, comma 7, del d.lgs. 387/2003”.

Secondo l’interpretazione data dall’amministrazione comunale, il riferimento al comma 1 operato dal successivo comma 2 sarebbe da intendere nel senso che gli impianti fotovoltaici, pur se collocati in zona agricola, dovrebbero comunque risultare integrati con altre strutture commerciali, industriali e terziarie.

Ad avviso di questo collegio, invece, il richiamo agli impianti di cui al comma 1 deve intendersi come riferito a tutte le strutture genericamente enucleate nell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 387 del 2003 (disposizione questa a sua volta riportata, non a caso, dallo stesso comma 1 della norma regionale), ossia con esclusivo riguardo a tipologia, dimensioni e potenza delle medesime e non anche alla loro particolare conformazione (o meglio integrazione) strutturale.

La disposizione sembra dunque prevedere la possibilità di realizzare gli interventi de quibus anche in zona agricola (comma 2), a prescindere dalla loro integrazione strutturale con altri impianti a carattere industriale, commerciale o di servizi (comma 1).

D’altra parte, nella prospettiva indicata dalla difesa comunale la legge regionale, oltre che ad introdurre una ultronea specificazione, avrebbe altrimenti giustificato, in questo modo, la presenza di talune strutture (per l’appunto industriali, commerciali, etc.) all’interno di aree (agricole) con esse incompatibili sotto il profilo urbanistico.

L’interpretazione cui il collegio ritiene invece di aderire è peraltro l’unica a consentire una lettura costituzionalmente compatibile della disposizione in parola, considerato che la possibilità giuridica di installare tali impianti anche in zone agricole rappresenta un principio fondamentale della legislazione statale in materia di energia (art. 12, comma 7, d.lgs. n. 387 del 2003).

Concludendo sul punto, per siffatte strutture deve osservarsi il procedimento DIA e non quello dell’autorizzazione espressa.

2.4. In ultimo, la legge regionale n. 31 del 2008 non è chiaramente applicabile al procedimento de quo, atteso che al momento della sua entrata in vigore il titolo – come ampiamente dimostrato nei punti che precedono – si era già validamente formato (art. 7, comma 1, della legge regionale n. 31 del 2008).

2.5. Per tutte le ragioni sopra evidenziate (2.1. – 2.4.), le eccezioni sollevate dalla difesa comunale debbono essere integralmente respinte.

3. Valutata in questi termini – ossia per tardiva inibitoria e comunque per inammissibile sospensione – l’illegittimità del provvedimento in data 28 maggio 2008, illegittimità che per le stesse ragioni si estende altresì alla successiva nota del 16 luglio e, in parte qua, alla nota di indirizzo assessorile del 14 maggio 2008, si rileva conseguentemente come, al momento della adozione della delibera di giunta n. 158 del 12 giugno 2008, il titolo edilizio fosse già validamente formato: pertanto, in ossequio al principio tempus regit actum, la predetta delibera non può ritenersi applicabile al caso di specie. Per mero dovere di completezza il collegio non si esime in ogni caso dal ritenere che:

3.1. Sussiste in capo al Comune il potere di disciplinare la realizzazione e, più in particolare, l’ubicazione degli impianti di energia rinnovabile.

Il favor legislativo per le fonti rinnovabili, che si riverbera tra l’altro sulla possibilità di installare gli impianti suddetti anche in zona agricola, non è infatti senza limiti.

Dal quadro normativo che regola la materia (decreto legislativo 387 del 2003 e legge regionale n. 31 del 2008) emerge infatti che le amministrazioni comunali, nel favorire l’installazione di impianti di energia pulita, conservino in ogni caso un certo potere discrezionale teso a disciplinare – se del caso anche mediante atti regolamentari a carattere generale, come nella specie – il corretto inserimento di tali strutture nel rispetto dei fondamentali valori della tradizione agroalimentare locale e del paesaggio rurale.

3.2. Le prescrizioni concernenti il recupero agricolo ed ambientale dell’area asservita all’impianto sembrano poi rispondere a canoni di proporzionalità e ragionevolezza, non comportando le stesse preclusioni di fatto alla realizzazione delle strutture de quibus. In applicazione dei poteri espressamente previsti da art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 387, infatti, il Comune ben può imporre talune condizioni di esercizio al fine di consentire – come già anticipato – una adeguata tutela del paesaggio rurale e delle tradizioni agroalimentari delle comunità locali.

3.3. Appare invece illegittima la previsione relativa alla compensazione ambientale. E ciò alla stregua della legge n. 239 del 2004, la quale, oltre ad ancorare tali misure alla sussistenza di determinati presupposti (presenza di “concentrazioni territoriali di attività, impianti ed infrastrutture ad elevato impatto territoriale”), prevede in ogni caso che le stesse possano essere disposte dallo Stato o dalla Regione, non potendo unilateralmente essere stabilite da un singolo Comune (Cons. Stato, sez. III, parere 14 ottobre 2008, n. 2849).

3.4. Appare in ultimo esente da vizi di legittimità la previsione di una fideiussione posta a garanzia della rimozione dell’impianto in caso di cessazione dell’attività.

Tale adempimento, comunemente richiesto nella prassi (in materia di governo del territorio si veda altresì la c.d. garanzia “a prima richiesta” da presentare per gli oneri di urbanizzazione), non costituisce infatti una prestazione impositiva ex art. 23 Cost., come tale da prevedere solo per legge, quanto piuttosto una obbligazione contrattuale da assumere con terzi soggetti (garanti) che la amministrazione comunale, in applicazione di principi di diritto comune cui la stessa può legittimamente ricorrere (cfr. art. 1-bis della legge n. 241 del 1990), ritiene di “chiedere” al fine di cautelarsi dinanzi ad eventuali inadempimenti del privato (nella specie concernenti l’obbligo di rimuovere gli impianti in caso di cessazione dell’attività).

4. Per tutte le considerazioni esposte il ricorso è fondato e deve essere pertanto accolto. Per l’effetto annulla la nota n. 15556 in data 28 maggio 2008, la nota n. 20600 del 16 luglio 2008 e, con riferimento alla sospensione delle pratiche DIA, la nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008.

Sussistono in ogni caso giusti motivi, data la novità delle questioni affrontate, per compensare tra le parti le spese e le competenze del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1203/2008, lo accoglie e per l’effetto annulla:

1. la nota n. 15556 in data 28 maggio 2008;
2. la nota n. 20600 del 16 luglio 2008;
3. nei sensi e nei limiti indicati in motivazione, la nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 19 novembre 2008.

Aldo Ravalli – Presidente

Massimo Santini – Estensore

Pubblicata mediante deposito

in Segreteria il 15 gennaio 2009

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

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