Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-03-2011) 01-06-2011, n. 22094 Liberazione anticipata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 27 aprile 2010 il Tribunale di sorveglianza di Napoli rigettava il reclamo proposto da P.G.B. avverso l’ordinanza con la quale il Magistrato di sorveglianza di Napoli aveva rigettato l’istanza di liberazione anticipata con riferimento al periodo 6 dicembre 2002 – 6 dicembre 2006, atteso che nei suoi confronti erano state emesse sentenze di condanna rispettivamente per i delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso, commesso fino al (OMISSIS), sostituzione fraudolenta aggravata di valori ( L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7), consumato fino al (OMISSIS), concorso in tentata estorsione aggravata continuata (artt. 110, 81 cpv., e 56 c.p., art. 629 c.p., comma 2, L. n. 203 del 1991, art. 7 commesso fino al (OMISSIS) e che tali reati erano da inquadrare nel contesto di un’associazione di stampo mafioso all’interno della quale P. rivestiva un ruolo di primario rilievo.

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, P., il quale lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, mancanza, manifesta illogicità, contraddittorietà della motivazione, atteso che: a) il delitto di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies non è un reato permanente, bensì è un reato istantaneo con effetti permanenti e, pertanto, il beneficio invocato avrebbe potuto essere concesso con riferimento ai semestri compresi tra il (OMISSIS); b) la prova dell’impegno dimostrativo nel trattamento rieducativo può essere desunta dal comportamento serbato nei confronti degli operatori penitenziari; c) la revisione critica del proprio passato non può ritenersi necessaria ai fini della concessione del beneficio, costituendo principio di carattere generale quello per il quale nessuno può essere obbligato ad ammissioni lesive dei propri interessi neppure per il perseguimento di determinati benefici e che la liberazione anticipata ben può essere concessa anche a chi è stato condannato per reati associativi.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

1. Ai fini della liberazione anticipata, occorre avere riguardo, da un lato, alla corretta condotta carceraria e, dall’altro, ai risultati del trattamento individuale.

Con riguardo al primo profilo occorre sottolineare che il regolare comportamento del detenuto nell’istituto penitenziario non è elemento di per sè sufficiente e valutabile, in assoluto, quale sicuro indice di partecipazione all’opera di rieducazione. Si deve, infatti, accordare valore preferenziale al secondo dei parametri in precedenza indicati, ossia ai risultati dell’obbligatorio trattamento individuale che, comportando un’approfondita osservazione della personalità, è maggiormente in grado di far emergere l’evolversi della personalità del soggetto verso modelli di vita socialmente adeguati.

Qualora, però, il trattamento individuale sia mancato e non risulti il rifiuto del detenuto di sottoporvisi o di sottrarsi, comunque, ad altre iniziative di recupero, è del tutto logico utilizzare altri elementi di giudizio, tra i quali va attribuita primaria rilevanza al comportamento all’interno dell’istituto penitenziario, nel quale ordinariamente si riflettono le tendenze positive o negative del recluso, che può e deve, pertanto, costituire una prima base di valutazione (Cass., Sez. 1,19 luglio 1993, n. 02567, Scozzare, rv.

195663; Cass., Sez. 1, 19 luglio 2001, n. 29352, Carbonaro, rv.

219478).

Peraltro, la valutazione del trattamento individuale e della condotta intramuraria non possono prescindere dalla valutazione di ulteriori elementi riconducibili a manifestazioni criminose espressione di pericolosità sociale, la cui consumazione sia iniziata durante lo stato di libertà del soggetto e si sia protratta anche in epoca successiva, durante la detenzione, qualora risulti dalle contestazioni formulate in altri provvedimenti che la privazione della libertà personale del soggetto non ha inciso sulla attualità dei legami delinquenziali, protrattisi nei semestri oggetto di valutazione ai fini della concessione del beneficio.

La prova in ordine alle predette condotte delittuose, nel procedimento di sorveglianza, è rimessa alla attività officiosa del giudice e non deve avere la consistenza richiesta per la prova nel giudizio penale di cognizione, potendo invece atteggiarsi anche in modo diverso. In particolare è pacifico che la magistratura di sorveglianza possa avvalersi degli accertamenti compiuti dalla autorità di pubblica sicurezza o dalla polizia penitenziaria e basarsi anche su elementi, come le informazioni di organismi giudiziari, da cui si possono trarre elementi utili al fine di valutare la partecipazione del condannato all’opera di rieducazione e la persistenza o meno di collegamenti con la criminalità organizzata nonostante la detenzione (Cass. Sez. 1, 8 novembre 2007, n. 7117, rv.

239303; Cass., Sez. 1, 5 aprile 2006, n. 16748, rv. 234674; Cass., Sez. 1, 27 febbraio 2008, n. 11661 del 27/02/2008, rv. 239719).

2. Il provvedimento impugnato è esente dai vizi denunciati, in quanto, ai fini del diniego del beneficio invocato con riferimento al periodo 6 dicembre 2002-6 dicembre 2006, ha correttamente valorizzato, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, la qualità, la natura dei reati commessi nel lasso di tempo di riferimento (associazione per delinquere di stampo mafioso, trasferimento fraudolento di valori e tentata estorsione, entrambi aggravati ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7), le loro modalità di consumazione, il contesto di criminalità organizzata in cui si collocano gli illeciti, secondo quanto desumibile dalle sentenze di condanna, l’assenza di qualsiasi rivisitazione critica del proprio passato e la mancata effettiva adesione al programma volto alla rieducazione del condannato e al suo reinserimento sociale.

Valutate in tale ottica le censure difensive sono prive di pregio, in quanto volte ad estrapolare dal tessuto argomentativo singoli profili (ad esempio quello concernente la natura del delitto L. n. 356 del 1992, ex art. 12 quinquies pacificamente reato istantaneo con effetti permanenti: cfr. ex plurimis Sez. 1, 28 maggio 2010, n. 23266) che il Tribunale ha correlato ad un più ampio complesso di obiettivi elementi, tutti univocamente indicativi della persistente adesione del ricorrente alle regole espresse dalla sub-cultura mafiosa e del perseguimento di forme illecite di arricchimento.

Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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