Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-03-2011) 01-06-2011, n. 22092 Provvedimento abnorme

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 3 agosto 2010 il Procuratore della Repubblica di Roma formulava, nei confronti, tra gli altri, di C.A., richiesta di giudizio immediato in ordine al delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie di delitti in materia di evasione fiscale e ai reati di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti ( D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2).

2. Il 10 agosto 2010 il gip del Tribunale di Roma, preso dell’avvenuta rimessione in libertà (in data 1 agosto 2010) dell’indagato in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 per scadenza dei termini di fase, rilevava, per converso, la sussistenza delle condizioni legittimanti la richiesta di giudizio immediato ( art. 453 c.p.p.) relativamente al delitto di associazione per delinquere (capo 1 delle imputazioni) per il quale i termini di custodia non erano ancora decorsi.

3. L’11 agosto 2010 il Procuratore della Repubblica di Roma, rilevato che nei confronti di C. erano prossimi a scadere i termini di fase per il reato previsto dall’art. 416 c.p. e che non appariva necessaria la trattazione contestuale del procedimento anche per i reati fine dell’associazione, del tutto autonomi concettualmente e probatoriamente rispetto a quest’ultima, in applicazione dell’art. 453 c.p.p., comma 2, disponeva la separazione processuale del reato di cui all’art. 416 c.p., ascritto a C. e ad altri trentasei indagati, tutti detenuti a tale titolo, per il quale, a suo avviso, sussistevano i presupposti legittimanti il rito immediato e formulava al gip richiesta di emissione del decreto di giudizio immediato nei confronti di C. per il delitto di associazione per delinquere.

4. L’11 agosto 2010 il gip del Tribunale di Roma emetteva decreto di giudizio immediato nei confronti di C.A. ed altre trentuno persone, imputate del delitto di associazione per delinquere.

5. Ricorre per cassazione, tramite il difensore di fiducia, C., il quale, anche mediante una memoria difensiva, denuncia l’abnormità del decreto di giudizio immediato emesso l’11 agosto 2011. In proposito osserva che tale decreto faceva seguito ad un precedente provvedimento in data 10 agosto 2010 con il quale il gip aveva respinto la richiesta di giudizio immediato avanzata dal Procuratore della Repubblica di Roma e aveva disposto la separazione della posizione di C., scarcerato per decorrenza dei termini di fase per i reati di cui ai capi 6) e 9) della rubrica. Di conseguenza, relativamente ai predetti reati non sussistevano i presupposti di cui all’art. 453 c.p.p., comma 1 bis. Non ricorrendo alcuna delle ipotesi di separazione previste dall’art. 18, si sarebbe dovuto procedere con rito ordinario nei confronti di C..

Di conseguenza, in assenza di nuovi elementi, la seconda richiesta di giudizio immediato costituiva una non consentita reiterazione della prima e rappresentava la surrettizia espressione di un abnorme potere di impugnazione avverso il primo provvedimento reiettivo dell’emissione di decreto di giudizio immediato che aveva comportato una duplice decisione difforme del gip in ordine alla medesima domanda.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

1. Occorre premettere che la categoria del provvedimento abnorme è stata elaborata dalla giurisprudenza con l’intento dichiarato di introdurre un correttivo al principio della tassatività dei mezzi di impugnazione e di apprestare il rimedio del ricorso per cessazione contro determinati provvedimenti che, pur non essendo oggettivamente impugnabili, risultino, tuttavia, affetti da anomalie genetiche o funzionali così radicali da non poter essere inquadrati in nessuno schema legale. Il ricorso per cassazione rappresenta, pertanto, lo strumento processuale utilizzabile per rimuovere gli effetti di un provvedimento che, per la singolarità e la stranezza del suo contenuto, deve essere considerato avulso dall’intero ordinamento giuridico (cfr. Sez. Un., 9 maggio 1989, Goria).

In mancanza di una definizione legislativa, la giurisprudenza di questa Corte ha argomentato che il provvedimento abnorme si discosta e diverge non solo dalla previsione contenuta in specifiche norme, ma anche dall’intero sistema organico della legge processuale, tanto da costituire un atto insuscettibile di ogni inquadramento normativo e da risultare imprevisto e imprevedibile rispetto alla tipizzazione degli atti processuali compiuta dal legislatore (Sez. 3, 9 luglio 1996, n. 3010, P.M. in proc. Cammarata, riv. 206058; Sez. 1, 19 maggio 1993, n. 2383, riv. 195510; La Ruffa ed altri; Sez., 6, 19 novembre 1992, n. 4121, Bosca, riv. 192943; Cass., 22 giugno 1992, n. 1338, P.M. in proc. Zinno, riv. 191559).

Ha, inoltre, osservato che è abnorme non solo il provvedimento che, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell’ambito dell’ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite (Sez. Un, 9 luglio 1997, n. 11, riv. 208221; Sez. 3, 21 febbraio 1997, Cazzaniga ed altro; Sez. 1, 11 giugno 1996, n. 4023, P.M. in proc. Settegrana, riv.205358; Sez. 5, 13 gennaio 1994, n. 182, P.M. in proc. Marino ed altri, riv. 197091).

Peraltro, l’abnormità inerisce soltanto a quei provvedimenti che si presentano avulsi dagli schemi normativi e non anche a quelli che, pur essendo emessi in violazione di specifiche norme processuali, rientrano tra gli atti tipici dell’ufficio che li adotta (Sez. 2, 10 aprile 1995, n. 2035, P.M. in proc. Saraceno, riv. 201657). Essa può riguardare il profilo strutturale, allorchè, per la sua singolarità, il provvedimento adottato si pone al di fuori del sistema organico della legge processuale, oppure quello funzionale, quando il provvedimento, pur non estraneo al sistema normativo, determina la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo (Sez. Un, 9 luglio 1997, n. 11, riv. 208221; Sez. 3, 14 luglio 1995, n. 2853, P.M. in proc. Beggiato ed altri, riv. 205406; Sez. 5, 11 marzo 1994, n. 1465, P.M. in proc. Luchino ed altro, riv. 197999).

2. Alla luce di questi principi le censure difensive sono manifestamente prive di pregio.

Infatti, il pubblico ministero, nel rispetto del disposto di cui all’art. 453 c.p.p., ha proceduto alla separazione dei reati nell’ambito di un corretto ed insindacabile esercizio dei suoi poteri al riguardo, atteso che la mancata previsione legislativa di qualsiasi forma di impugnazione per le ipotesi di inosservanza degli artt. 17, 18 e 19 c.p.p. rappresenta la manifestazione della improponibilità obiettiva di mezzi di gravame avverso la relativa ordinanza (Sez. 6, 22 dicembre 1997, n. 5193; Sez. 5. 18 gennaio 1999, n. 225; Sez. 6, 22 marzo 2000, n. 5548).

A sua volta il gip, ritualmente investito di una richiesta di esercizio dell’azione penale conseguente all’adozione di un provvedimento di separazione, costituente la legittima espressione di un potere attribuito al pubblico ministero e non suscettibile di gravame, ha legittimamente provveduto in merito alla domanda di giudizio immediato avanzata nei confronti, tra gli altri, di C.A., non sussistendo alcuna forma di preclusione, tenuto conto della diversità della nuova domanda formulata dal pubblico ministero.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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