Cass. pen., sez. I 17-10-2008 (08-10-2008), n. 39140 Inammissibilità del ricorso rilevata dal Presidente della Corte

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 5 dicembre 2007 il Tribunale di sorveglianza di Napoli rigettava l’istanza di differimento dell’esecuzione della pena per grave infermità, avanzata da P.A., sottolineando, sulla base delle relazioni sanitarie acquisite, redatte rispettivamente il 26 settembre 2007 e il 20 novembre 2007, la compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime penitenziario, l’adeguatezza delle terapie praticate in carcere, la natura positiva della risposta alle stesse, l’elevata pericolosità sociale del detenuto, condannato alla pena dell’ergastolo per associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso in omicidio volontario aggravato, a allarmante trascorso deviante.
Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, P., il quale, anche mediante una memoria difensiva, lamenta: a) violazione dell’art. 610 c.p.p. per omessa enunciazione nell’avviso di fissazione dell’udienza camerale della causa di inammissibilità rilevata; b) violazione di legge, mancanza e manifesta illogicità della motivazione alla luce delle risultanze documentali, delle argomentazioni difensive e degli atti prodotti dalla difesa all’udienza del 5 dicembre 2007.
OSSERVA IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
1. Relativamente alla prima doglianza, il Collegio osserva che, nell’ambito del giudizio di cassazione, l’omessa enunciazione, nell’avviso effettuato dalla cancelleria ai sensi dell’art. 610 c.p.p., comma 1, della causa di inammissibilità rilevata dal Presidente della Corte di cassazione non è sanzionata dalla legge a pena di nullità, nè è riconducibile nell’ambito delle nullità previste dall’art. 178 c.p.p., lett. c), in quanto tale violazione non incide sulla garanzia di intervento dell’imputato nel procedimento, che è comunque assicurata dall’avviso dell’udienza camerale, volto a tutelare le esigenze difensive che possono esplicarsi mediante l’esame degli atti depositati in cancelleria e la presentazione di motivi nuovi o memorie (Cass., Sez. 6, 9 gennaio 2003, n. 25679, rv. 225862).
2. Relativamente alle altre doglianze il Collegio osserva quanto segue.
Ai fini della concessione del differimento obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 146 c.p., comma 1, n. 3, art. 147 c.p., n. 2 e L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 ter, comma 1, lett. c) e comma 1 ter, occorre avere riguardo a tre principi costituzionali: il principio di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e, infine, quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale dell’individuo.
Ne consegue che: a) le pene legittimamente inflitte devono essere eseguite nei confronti di coloro che le hanno riportate; b) l’esecuzione della pena non è preclusa da eventuali stati morbosi del condannato, suscettibili di un generico miglioramento per effetto del ritorno in libertà; c) uno stato morboso del condannato in tanto legittima il rinvio dell’esecuzione, in quanto la prognosi sia infausta quoad vitam ovvero il soggetto possa giovarsi in libertà di cure e trattamenti indispensabili non praticabili in stato di detenzione, neanche mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura, ovvero ancora, a cagione della gravità delle condizioni, l’espiazione della pena si riveli in contrasto con il senso di umanità.
La malattia da cui è affetto il condannato deve essere grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa facilmente attuare nello stato di detenzione. Ai fini del differimento dell’esecuzione della pena per infermità fisica, il grave stato di salute va inteso come patologia implicante un serio pericolo per la vita o la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose, eliminabili o procrastinabili con cure e trattamenti tali da non potere essere praticati in regime di detenzione intramuraria neppure mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura ai sensi della L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 11.
3. Alla luce di tali principi, a fronte di una richiesta di rinvio dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica, il giudice deve valutare se le condizioni di salute del condannato siano o meno compatibili con le finalità rieducative della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale conseguenti alla rieducazione. Qualora, all’esito di tale valutazione, tenuto conto della natura dell’infermità e di un’eventuale prognosi infausta quoad vitam a breve scadenza, l’espiazione di una pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze da essa derivanti, ovvero appaia priva di significato rieducativo in conseguenza dell’impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, deve trovare applicazione l’istituto del differimento previsto dal codice penale. Se, invece, le condizioni di salute, pur particolarmente gravi, non presentino le suddette caratteristiche di sofferenza o di prognosi infausta, e richiedano i contatti con i presidi sanitari territoriali indicati dall’art. 47 ter, comma 1, lett. c) ord. pen., può essere disposta la detenzione domiciliare ai sensi della citata disposizione (Cass., Sez. 1, 19 ottobre 1999, n. 5715).
4. Alla stregua di questi principi, nel caso in esame la ordinanza impugnata è esente dai vizi denunziati, in quanto con motivazione puntuale, argomentata ed esauriente, fondata su un complesso di elementi di fatto, in quanto tali insindacabili in sede di legittimità, tra loro logicamente correlati e fondati sugli accertamenti clinici e sanitari svolti ha evidenziato, richiamando le relazioni sanitarie del 26 settembre 2007 e del 20 novembre 2007 la compatibilità dello stato detentivo con le condizioni di salute di P., ha illustrato le ragioni per le quali le patologie da cui è affetto il ricorrente possono essere adeguatamente curate in costanza di regime detentivo carcerario, ha, infine, sottolineato la gravità dei reati (associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso in omicidio volontario aggravato) per i quali il ricorrente ha riportato condanne irrevocabili.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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