T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 31-05-2011, n. 1383 Sentenze della Corte Costituzionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato l’11.07.2008 e depositato il successivo 17.07.2008, la s.p.a. P. (da ora anche solo la società) ha impugnato gli atti in epigrafe specificati, sostenendone la illegittimità sotto più profili.

In particolare, la società asserisce di avere presentato in Comune tre domande di permesso di costruire ai sensi della legge n. 326/2003 (PG. 1234902/2004; 1234870/2004; 1234515/2004), per la sanatoria di opere edilizie della tipologia 1, eseguite a Milano, in V. Manzoni n. 43, e di avere provveduto al contempo al versamento dell’acconto degli oneri autoliquidati.

La ricorrente allega, poi, di avere presentato al medesimo ente, entro la data del 10.10.2007, tutta la documentazione necessaria al completamento delle suindicate pratiche.

Facendo leva sulle surriferite circostanze, l’esponente lamenta:

A) l’illegittimità dell’azione comunale che, nel rilasciare i titoli edilizi in sanatoria, ha ritenuto di dovere rideterminare il contributo in applicazione delle delibere di Giunta nn. 2644/2004 (aumento del 50%) e 2493/2004 (aumento del 10%), adottate ai sensi della legge regionale Lombardia n.31/2004 (art. 4), sulla base delle tariffe vigenti al momento dell’emanazione del titolo in sanatoria, maggiorate ai sensi della delibera C.C. n. 73/2007 cit., anziché in base alle meno onerose tariffe vigenti al momento della entrata in vigore della legge n. 326/2003 cit.

B) In via subordinata, la società lamenta l’illegittimità della stessa delibera C.C. n. 73/2007, in quanto adottata al di fuori del termine perentorio di gg. 30 posto dall’art. 4, co.1° cit. e decorrente dalla data di entrata in vigore della stessa legge reg. 3.11.2004 n. 31, per la determinazione in aumento del contributo concessorio.

C) Sempre col medesimo ricorso si assume, poi:

C.1) la illegittimità dei gravati atti per violazione degli artt. 3, 23 e 97 della Cost.;

C.2) richiedendosi al contempo di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, co. 6° della legge regionale n. 31/2004, per violazione delle predette norme costituzionali, laddove dovesse essere interpretato nel senso di consentire al Comune un incremento degli oneri in misura superiore al limite del 100% fissato dall’art. 32, comma 34° cit.

Si è costituito il Comune di Milano, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie.

Con ordinanza n. 1166 del 23 luglio 2008 è stata accolta – subordinandola alla prestazione di idonea fideiussione – la formulata domanda cautelare.

Con motivi aggiunti depositati il 3 giugno 2010 la ricorrente, prendendo atto della ordinanza della Corte Costituzionale n. 105 del 17 marzo 2010, ha insistito sulle proprie conclusioni, sul presupposto che l’applicazione della d.C.C. n. 73 violi comunque l’art. 4 della legge reg. cit., poiché sarebbe stata adottata una volta decorso il termine perentorio ivi fissato (ripetendo quanto già dedotto sub lett. A) e B).

In via subordinata, la società ha chiesto di sollevare la q.l.c. del combinato disposto dell’art. 4, co. 1° e 6° della legge regionale n.31/2004, rispetto all’art. 117 Cost., laddove, come nel caso di specie, lo stesso fosse interpretato nel senso di permettere l’incremento degli oneri oltre la misura del 100%, in violazione del principio di cui all’art. 32, co. 34° della legge n. 326 cit., che consente tale incremento sino alla misura massima del 100% (riprendendo quanto già dedotto sub lett. C.1).

In via ulteriormente subordinata, la ricorrente deduce l’illegittimità dei provvedimenti impugnati nella parte in cui pretenderebbero di incrementare gli importi di cui alla delibera C.C. n. 73/2007, con le maggiorazioni del 10% e del 50% stabilite, rispettivamente, con le delibere di G.C. nn. 2493/2004 e 2644/2004.

Con un secondo atto di motivi aggiunti depositati il 7.01.2011 l’esponente, prendendo atto di talune decisioni di questo T.A.R. depositate successivamente all’udienza pubblica del 6 ottobre 2010 (con cui è stata riconosciuta la illegittimità dell’applicazione della maggiorazione del 10% disposta in applicazione della deliberazione n. 2493/2004 cit.), ha nuovamente dedotto (come già fatto, in via ulteriormente gradata, nei primi motivi aggiunti) la censura della violazione dell’art. 32, co. 40° della L. n. 326/2003.

Con memoria depositata il 4.02.2011 la ricorrente ha insistito sulle proprie conclusioni, alle quali ha resistito il Comune con memoria depositata il 7.02.2011.
Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso introduttivo (sub A), l’esponente deduce la violazione dell’art. 32, co. 34° del D.L. n. 269/2003, la violazione dell’art. 4 della legge regionale Lombardia n. 31 del 3.11. 2004 e l’eccesso di potere sotto più profili.

Il motivo è infondato.

Il D.L. 3092003 n. 269 (recante "Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici"), all’art. 32 (rubricato "Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l’incentivazione dell’attività di repressione dell’abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali"), comma 34°, prevede, per quanto qui d’interesse, che:

"…Con legge regionale gli oneri di concessione relativi alle opere abusive oggetto di sanatoria possono essere incrementati fino al massimo del 100 per cento…".

In Lombardia, la legge regionale n. 31/2004, all’art. 4, comma 1°, ha attribuito ai Comuni il potere di aumentare gli oneri di urbanizzazione relativi alle opere abusive riconducibili alle tipologie di illecito numeri 1, 2 e 3, di cui all’allegato 1 al D.L. n. 269/2003, rispettivamente, fino al massimo del 50, 30 e 20 per cento, mediante apposita deliberazione da adottarsi entro il termine perentorio di trenta giorni dall’entrata in vigore della legge regionale n. 31/2004 (ovvero, entro il 6 novembre 2004).

Il Comune di Milano si è avvalso della facoltà di cui al citato art. 4, comma 1°, mediante deliberazione della Giunta comunale n. 2644 del 16.11.2004.

Rispetto a tale delibera la ricorrente pone il problema della corretta applicazione della stessa, vale a dire della determinazione degli oneri di urbanizzazione ai quali applicare l’aumento massimo del 50 per cento previsto dalla delibera in questione.

Sul punto, occorre premettere che la legge regionale n. 31/2004, all’art. 4 comma 6°, prevede che gli oneri di urbanizzazione e il contributo sul costo di costruzione dovuti ai fini della sanatoria, sono determinati applicando le tariffe vigenti "all’atto del perfezionamento del procedimento di sanatoria".

Il Comune di Milano ha interpretato la norma, come si desume dall’esame delle memorie difensive, nel senso che l’incremento di cui alla delibera n. 2644/2004 debba calcolarsi sulle tariffe effettivamente vigenti al momento del rilascio del titolo in sanatoria (nella presente fattispecie, i titoli sono stati rilasciati il 9.5.2008, come risulta dai doc. 1, 2 e 3 di parte ricorrente), sicché la tariffabase sulla quale calcolare gli aumenti per le opere abusive deve necessariamente tenere conto degli adeguamenti periodici degli oneri di urbanizzazione, decisi dai Comuni in virtù delle generali previsioni dell’art. 16, comma 6° del d.P.R. 662001 n. 380, secondo cui: "Ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale…", e della legge regionale Lombardia n.12/2005.

Il Comune di Milano ha disposto tali adeguamenti periodici mediante deliberazione consiliare n. 73 del 21.12.2007, per cui l’Amministrazione ha tenuto conto degli oneri di urbanizzazione introdotti da quest’ultima, al fine del calcolo degli aumenti di cui alla pregressa delibera di Giunta n. 2644/2004.

Diversa, invece, la posizione della parte ricorrente, per cui gli oneri per la sanatoria dovevano determinarsi tenendo conto delle tariffe vigenti al momento di presentazione della domanda di condono (dicembre 2004), quindi in base alle tariffe anteriori a quelle – maggiorate – di cui alla delibera n. 73/2007.

Sulla questione, il Collegio non può fare a meno di richiamare, per confutare la tesi ricorrente, l’ormai costante orientamento assunto dalla Sezione in ordine all’interpretazione delle norme disciplinanti il cd. terzo condono.

Soccorre, in tal senso, fra le tante, la sentenza n. 6955 del 14.10.2010, di cui è opportuno riportare i passaggi più significativi, ivi inclusi quelli attinenti alla vexata quaestio di cui è stata investita (con ordinanza T.A.R. Lombardia, Sez. II^, 20 marzo 2009 n. 539), la Corte Costituzionale che, con ordinanza del 17.03.2010 n. 105, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione della legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 6°, della legge regionale n. 31/2004.

Di tale ordinanza, ai fini che qui rilevano, i passaggi salienti sono proprio quelli riassunti da questo Tribunale nella cit. sentenza n. 6955, ove si rammenta come la Corte abbia statuito che:

"… relativamente alle normative sul condono edilizio succedutesi nel tempo (art. 32 decretolegge n. 269 del 2003, art. 39 legge n. 724 del 1994, art. 37 legge n. 47 del 1985) non è ravvisabile un orientamento interpretativo consolidato da cui possa ricavarsi un principio fondamentale della legislazione statale secondo cui gli oneri di concessione debbano essere determinati con riferimento alle tariffe vigenti alla data di entrata in vigore della legge di sanatoria;

– il criterio delle tariffe vigenti al momento dell’entrata in vigore delle leggi di sanatoria di volta in volta promulgate dal legislatore statale ai fini della determinazione della misura del contributo è ben lungi dell’essere l’unica regolamentazione conforme alla Costituzione, ma rappresenta solo una delle diverse soluzioni astrattamente possibili;

– gli oneri di concessione potrebbero, in teoria, essere ancorati alle tariffe vigenti, alternativamente, al momento in cui l’abuso è iniziato, al momento in cui l’immobile abusivo è completato, al momento dell’entrata in vigore della normativa statale sul condono, al momento dell’entrata in vigore della normativa regionale sul condono, al momento in cui è stata effettuata la richiesta di condono o, infine, al momento del perfezionamento del procedimento di sanatoria;

– la materia è necessariamente riservata, per la pluralità delle soluzioni possibili, alla discrezionalità del legislatore;

– in tale contesto di pluralità di soluzioni, la scelta del legislatore regionale di privilegiare l’interesse pubblico all’adeguatezza della contribuzione ai costi reali da sostenere rispetto a quello, ad esso antitetico, del cittadino alla sua piena previsione dei costi al momento della formazione del consenso – ugualmente meritevole di protezione – sembra il frutto di una scelta discrezionale implicante un bilanciamento di interessi che può solo essere effettuato dal legislatore".

Tale essendo l’orientamento espresso dalla Consulta, il Collegio ritiene che lo stesso sia idoneo ad esaurire tutti i profili sostanziali di censura dedotti dall’esponente nel motivo di ricorso sub lett. C.2 e nei primi motivi aggiunti, a sostegno della eccezione di incostituzionalità della norma regionale.

Il rilievo della Corte circa l’omessa indicazione, da parte del giudice remittente, dell’ambito materiale di competenza legislativa statale concorrente asseritamente inciso dalla normativa regionale, appare, in tale contesto, del tutto marginale, e pertanto non idoneo a giustificare un ulteriore rinvio alla Corte al fine di precisare che l’ambito inciso è – com’è ovvio – quello del "governo del territorio".

Sul punto preme ancora rilevare, per doverosa completezza espositiva, che le pronunce della Corte Costituzionale, anche se interpretative di rigetto o di inammissibilità – come nel caso di specie – pur non dando formalmente luogo ad un vincolo erga omnes (previsto dall’art. 136 della Costituzione per le sole sentenze di accoglimento), costituiscono però un autorevole precedente, soprattutto per il giudice che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, come messo più volte in evidenza dalla stessa Corte di Cassazione.

Quest’ultima, infatti, oltre ad avere escluso un proprio monopolio nell’attività di formazione del c.d. diritto vivente e nell’enunciazione di interpretazioni adeguatrici, ha espressamente riconosciuto alle pronunce della Corte Costituzionali, anche di non accoglimento, il valore di "precedente", teso ad orientare, in maniera rafforzata, l’attività interpretativa delle corti di merito (cfr., sul punto, Cassazione civile, Sezioni Unite, 2.12.2004, n. 22601 e Cassazione penale, Sezioni Unite, 31.3.2004, n. 23106).

Né si può, poi, condividere l’assunto dell’esponente (sub lett. C.1), secondo cui le stesse determinazioni comunali impugnate si porrebbero direttamente in contrasto con gli artt. 3, 23, 97 Cost., arrecando un vulnus al principio di uguaglianza e di buon andamento, nonché alla tutela del legittimo affidamento per l’imprevedibilità dei costi dell’intervento (rimessi alla mera scelta comunale sui tempi di definizione della domanda di condono), trattandosi di affermazioni puntualmente smentite dalla normativa in esame.

L’art. 32 del D.L. n. 269 del 30.09.2003, infatti, nel prevedere e disciplinare (ai commi 25 e ss.) la sanatoria di che trattasi, ha introdotto anche un meccanismo di formazione tacita del titolo abilitativo, che si perfeziona in presenza di determinati presupposti da realizzare entro la data del 31.10.2005, e con l’ulteriore decorso del termine di 24 mesi dalla predetta data senza l’adozione di un provvedimento negativo da parte del Comune.

La possibilità di avvalersi del suddetto meccanismo tacito di perfezionamento della procedura di sanatoria è rimessa ad una libera scelta della parte interessata che – avvalendosi della predetta facoltà – potrà fare affidamento sulla conclusione in tempi certi della procedura di sanatoria, naturalmente ove dimostri l’esistenza di tutti i presupposti legittimanti la formazione dell’accoglimento tacito (cfr., in tal senso, il comma 37° della cit. norma, che elenca, accanto alla "denuncia in catasto", alla "presentazione della documentazione di cui al comma 35", alla "denuncia ai fini dell’imposta comunale degli immobili" e, ove dovute, alle "denunce ai fini della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e per l’occupazione del suolo pubblico", anche "il pagamento degli oneri di concessione"; sulla necessità poi, che tale pagamento sia da riferire all’intera somma dovuta a titolo di oneri di urbanizzazione, salvo il conguaglio eventualmente esigibile dal Comune, cfr. TAR Lombardia, Milano, II^, 2 febbraio 2011 n. 335, secondo cui: "Solo assolvendo a tale onere, infatti, il richiedente potrà cristallizzare gli effetti della domanda di sanatoria alla data del perfezionamento della fattispecie tacita,… rendendo, quindi, insensibile l’importo degli oneri de quibus alle modifiche tariffarie che siano successivamente decise dalla competente autorità").

Ebbene, in relazione alle esaminande censure di parte ricorrente, è agevole osservare come, ove la società avesse voluto definire in tempi certi la procedura di condono, ben avrebbe potuto avvalersi della procedura di silenzio – assenso poc’anzi descritta.

Sennonché, ad escludere un tale interesse della ricorrente induce la incontestata circostanza, allegata dalla ricorrente medesima, della presentazione della documentazione mancante (fra cui le denunce ICI e TARSU) soltanto in data 10 ottobre 2007, donde la inutilizzabilità della procedura tacita di definizione del procedimento de quo, a cui è stata preferita la conclusione attizia, mediante i provvedimenti del 9.05.2008, in epigrafe specificati.

La lamentata dilatazione dei tempi di definizione del procedimento in questione non può essere, pertanto, imputata all’amministrazione, quanto piuttosto all’incompletezza delle cit. domande di condono (cfr. in tal senso di recente T.A.R. Lombardia, Milano, II^, 12 maggio 2011, n. 1232).

Consegue da ciò la legittimità della pretesa dell’Amministrazione di determinare gli oneri di urbanizzazione relativi al titolo in sanatoria tenendo conto delle tariffe di cui alla delibera n. 73/2007, vigenti all’atto del rilascio del permesso, sulle quali calcolare l’aumento di cui alla delibera n. 2644/2004 (cfr., sulla specifica questione, quali precedenti specifici, le sentenze di questo T.A.R., II^, 30.03.2010 n. 833, 9.11.2010 n. 7218; 6955, 6956, 6957 e 6958 tutte del 14.10.2010).

Quanto al motivo indicato sub lett. B), giova precisare come nessun profilo di illegittimità può porsi in relazione alla delibera n. 73/2007, adottata dal Comune, non già, come mostra di credere la ricorrente (cfr. in particolare nei motivi aggiunti depositati il 3.06.2010), ai sensi dell’art. 4 della legge regionale n. 31/2004, ma in forza delle previsioni contenute nella legge nazionale (cfr. d.P.R. n. 380/2001 cit.), che conferiscono carattere oneroso al rilascio del permesso di costruire, imponendo la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione.

In particolare, come già accennato, la predetta deliberazione n. 73/2007 è stata adottata ai sensi dell’art. 16, commi 4 e 6, d.P.R. cit., per cui la stessa non era affatto soggetta, né al cit. termine di cui alla legge regionale n. 31/2004 e, neppure, al tetto massimo del 100% disposto dall’art. 32 comma 34° cit.

Su quest’ultimo aspetto, giova ulteriormente chiarire come la scelta del legislatore, statale e regionale, di incrementare gli oneri per le opere abusive sia ispirata ad un scopo lato sensu "sanzionatorio", onde evitare che l’autore dell’illecito edilizio beneficiario della sanatoria sia chiamato a corrispondere – a titolo di oneri – la stessa somma che dovrebbe corrispondere chi avesse richiesto un regolare titolo edilizio, senza avere commesso nessun abuso.

L’ordinamento non può, infatti, consentire il medesimo trattamento di soggetti che si trovano in posizione differente, avendo uno di questi, di fatto, commesso un abuso edilizio, scegliendo di porsi, così, in una condizione di illegalità.

L’aumento degli oneri, quindi, oltre a contribuire ad un trattamento "sanzionatorio" dell’autore dell’abuso, ha anche una finalità in qualche modo di prevenzione, a fronte di eventuali futuri illeciti edilizi (così, sul tale precipuo aspetto, T.A.R. Lombardia, Milano, II^, 9.11.2010 n. 7221).

Con specifico riguardo, poi, alle censure, introdotte nei motivi aggiunti del 3.6.2010, con cui si lamenta la illegittima maggiorazione apportata agli oneri determinati ai sensi della delibera n. 73/2007, con l’applicazione degli incrementi del 10% e del 50% stabiliti, rispettivamente, dalle delibere di Giunta Comunale nn. 2493/2004 e 2644/2004, per presunta violazione dell’art. 4, co. 1°, della legge reg. Lombardia n. 31/2004 e dell’art. 32, co. 40° del D.L. n. 269/2003, si osserva quanto segue.

Quanto all’incremento del 50% (di cui alla delibera n. 2644/2004), si può senz’altro richiamare quanto già in precedenza affermato, a proposito della legittimità della scelta di ancorare al momento del perfezionamento della procedura di sanatoria la determinazione degli oneri applicabili. In tal senso, è sufficiente rinviare alla copiosa giurisprudenza di questo stesso Tribunale, che si è già espressa al riguardo, optando per la legittimità della pretesa dell’Amministrazione volta a determinare gli oneri di urbanizzazione relativi al titolo in sanatoria tenendo conto delle tariffe di cui alla delibera 73/2007 cit., vigenti all’atto del rilascio del permesso, sulle quali calcolare l’aumento di cui alla delibera 2644/2004 (cfr., sulla specifica questione, da ultimo, TAR Lombardia, Milano, II^, 28.03.2011 n. 818, nonché le sentenze di questo TAR, sez. II^, nn. 833, 7216, 7217, 7218, 7219, 7221, 7222, 7223, 7224, 7238 e 7589, tutte del 2010 e n. 76 del 17.1.2011).

Proseguendo nella disamina del predetto motivo (ripreso e puntualizzato da parte ricorrente anche nel secondo atto di motivi aggiunti, a supporto della domanda proposta "in via ulteriormente subordinata"), va osservato come lo stesso meriti un parziale accoglimento, laddove denuncia la violazione, da parte degli uffici comunali, dell’art. 32, comma 40°, del decreto legge n. 269/2003 e della connessa delibera di Giunta n. 2493/2004, attuativa della previsione di legge.

Attraverso la suddetta delibera, per l’esattezza, il Comune ha incrementato del 10% i diritti e gli oneri applicabili al rilascio dei titoli edilizi in sanatoria, facendo leva sul citato art. 32, comma 40°, il quale così dispone: "Alla istruttoria della domanda di sanatoria si applicano i medesimi diritti e oneri previsti per il rilascio dei titoli abilitativi edilizi, come disciplinati dalle Amministrazioni comunali per le medesime fattispecie di opere edilizie. Ai fini della istruttoria delle domande di sanatoria edilizia può essere determinato dall’Amministrazione comunale un incremento dei predetti diritti e oneri fino ad un massimo del 10 per cento da utilizzare con le modalità di cui all’articolo 2, comma 46, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. Per l’attività istruttoria connessa al rilascio delle concessioni in sanatoria i comuni possono utilizzare i diritti e oneri di cui al precedente periodo, per progetti finalizzati da svolgere oltre l’orario di lavoro ordinario".

Come emerge dal tenore letterale della norma, l’incremento percentuale in questione è applicabile non agli oneri concessori relativi all’intervento edilizio, ma ai diritti ed oneri correlati alla istruttoria delle domande finalizzate al rilascio del titolo abilitativo; diritti ed oneri che il Comune ha facoltà di incrementare in relazione al maggior impiego di risorse (personale e mezzi) che qualsiasi sanatoria – implicante un afflusso eccezionale di istanze da istruire ed evadere in aggiunta all’attività ordinaria – notoriamente richiede.

Ora, poiché la delibera in questione (n. 2493/04) si limita a disporre l’incremento percentuale con esplicito riferimento al disposto legislativo, essa va letta in conformità alla norma di legge nell’interpretazione che sopra si è data; con la conseguenza che deve ritenersi illegittima non la deliberazione, ma l’applicazione che ne hanno fatto gli uffici comunali, secondo i quali essa autorizzerebbe un (ulteriore) incremento (non dei diritti ed oneri di istruttoria ma) degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria.

Sotto tale profilo, il gravame deve accogliersi, con conseguente obbligo per il Comune di rideterminare gli oneri concessori senza l’illegittimo – per le ragioni sopra esposte – incremento del 10%.

In conclusione, gli oneri dovuti nel caso in esame sono quelli calcolati applicando, alle tariffe vigenti alla data del perfezionamento del titolo edilizio, determinate in forza della delibera C.C. n. 73/2007, gli incrementi legittimamente apportati in forza della delibera G.C. n.2644/2004. Non è dovuto, per le ragioni già viste, l’ulteriore incremento del 10% dei suddetti oneri (di urbanizzazione) disposto dagli uffici comunali in sede di applicazione della d.G.C. n. 2493/2004.

Per le considerazioni che precedono, il ricorso e i motivi aggiunti in epigrafe specificati devono essere accolti limitatamente alla censura che fa leva sulle modalità applicative della maggiorazione del 10%, di cui alla d.G.C. n. 2493/2004, mentre debbono essere respinti per il resto.

Sulle spese il Collegio, in considerazione della reciproca soccombenza, ritiene sussistere valide ragioni per disporne l’integrale compensazione fra le parti costituite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie nei limiti di cui in motivazione, respingendoli per il resto.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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