Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-03-2011) 01-06-2011, n. 22089 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 27 agosto 2010 il gip del Tribunale di Catanzaro convalidava, ritenendo la sussistenza dei relativi presupposti, l’arresto di J.S.N.B. per i delitti previsti dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12 e art. 575 c.p., avvenuto in data (OMISSIS) nel corso di un servizio di perlustrazione delle coste che consentiva, senza soluzione di continuità, l’avvistamento, la localizzazione e il controllo in acque territoriali dell’imbarcazione "(OMISSIS)", condotta dall’indagato e da un altro complice, adibita al trasporto e all’ingresso illegale nel territorio dello Stato di circa cinquanta cittadini extracomunitari, i quali, prima di partire, avevano versato rilevanti somme di denaro per essere condotti in Italia. In prossimità della costa italiana, alcuni dei passeggeri venivano costretti, al fine di eludere i controlli delle forze dell’ordine, a buttarsi in mare, nonostante non sapessero nuotare; in tal modo perdeva la vita Q.A., i cui effetti personali venivano rivenuti in mare dal cugino che denunciava il fatto alle competenti Autorità italiane.

2. Avverso il citato provvedimento di convalida dell’arresto ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, l’indagato, il quale formule le seguenti doglianze: a) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982, ratificata dall’Italia con L. 2 dicembre 1994, n. 689, per essere l’inseguimento e il conseguente arresto avvenuti fuori dal mare italiano – che si estende sino a 12 miglia nautiche dalla linea di base della costa italiana – secondo quanto risulta dallo stesso verbale redatto dalla Guardia di Finanza; b) contraddittorietà della motivazione in ordine allo stato di flagranza, atteso che tra l’inseguimento e l’arresto sono trascorse alcune ore.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

L’esame del ricorso impone due premesse metodologiche.

1. L’accertamento che il giudice è chiamato ad effettuare in sede di convalida dell’arresto non è limitato ad un mero riscontro in ordine alla sussistenza dei presupposti formali della misura, dovendosi necessariamente estendere alla verifica circa le relative condizioni di legittimità. A tal fine, precipuo rilievo assumono i presupposti dell’arresto, la configurabilità (non solo astratta) del reato per cui si è proceduto alla loro adozione e la sua attribuibilità alla persona arrestata, nonchè i termini cui risulta condizionata l’efficacia della misura ex art. 386 c.p.p., comma 7, art. 390 c.p.p., comma 1, art. 391 c.p.p., comma 7 (Cass., Sez. 4, 10 novembre 2004, PM in proc. B, rv. 230866; Cass., Sez. 6, 11 dicembre 2002, PM in proc. Fiorenza; Cass., Sez. 4, 7 ottobre 2003, rv. 226731).

Secondo un consolidato orientamento di legittimità il controllo del giudice della convalida in ordine ai presupposti richiesti dalla legge per la privazione dello status libertatis non può esorbitare da una verifica di ragionevolezza rispetto all’operato della polizia giudiziaria, alla quale è istituzionalmente attribuita una sfera discrezionale nell’apprezzamento dei presupposti stessi (Cass., Sez. Sez. 1, 28 giugno 2000, PM in proc. Mao; Cass., Sez. 6, 11 dicembre 2002, Fiorenza, cit; Cass., Sez. 4, 29 settembre 2000, Mateas Ion).

2. E’ ormai consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, il principio della cd. "autosufficienza del ricorso", elaborato in primo luogo dalle Sezioni civili. Queste ultime, sulla base della formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, osservano che il ricorso per Cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, quando da esso, pur mancando l’esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza – senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso – della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte (cfr. da ultimo, Cass. Civ., Sez, 2, 2 dicembre 2005, n. 26234, Tringali e/ Fernandez, rv. 585217).

Il Collegio, alla luce dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al giudizio di legittimità, ritiene che la teoria dell’autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificamente indicati (ovviamente nei limiti di quanto era stato già dedotto in precedenza), posto che anche in sede penale – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato – deve ritenersi precluso a questa Corte l’esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso. In applicazione di questi principi il Collegio ritiene che, nel caso in esame, la censura sia stata genericamente formulata e, in quanto tale, non meriti accoglimento.

3. Esaminata in quest’ottica l’ordinanza impugnata è, all’evidenza, esente dai vizi denunciati, avendo correttamente messo in luce le modalità dei controlli effettuati dal G.A.N. della Guardia di Finanza di Taranto che, in costante contatto con Maridipart Taranto della Marina Militare, si occupò, dopo la segnalazione del rinvenimento in zona (OMISSIS) di nove cittadini extracomunitari e l’acquisizione delle loro dichiarazioni circa le modalità illegali di ingresso nel territorio dello Stato grazie all’opera, remunerata, di J.S.N.B. e di un altro complice, di eseguire il monitoraggio costante della rotta tenuta dall’imbarcazione "(OMISSIS)" dai medesimi condotta, sì da verificarne l’ingresso in acque nazionali italiane, la temporanea sosta in prossimità della costa, la successiva uscita dalla zona sottocosta sino all’avvistamento e al successivo aggancio radar da parte dell’unità del Corpo (Guardia costiera Cappelletti).

La prospettata violazione delle norme poste dalle Convenzioni internazionali è insussistente, in quanto, da un lato, fondata su non consentita ricostruzione congetturale del ricorrente che non trova alcun elemento di conforto nelle acquisizioni investigative e su una altrettanto non consentita prospettazione alternativa dei fatti e, dall’altro, non corredata da elementi obiettivi e autosufficienti in merito alla presenza dell’imbarcazione al di fuori delle acque territoriali.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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