Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-03-2011) 01-06-2011, n. 22220 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza emessa in data 26/3/2010 dalla Corte d’Appello di Catania respingeva la richiesta di G.S.A. volta ad ottenere equa riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta dal 26/1/1999 al 16/2/1999 per il delitto di associazione di stampo mafioso di cui all’art. 416 bis c.p., dal quale era stato assolto ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2 con sentenza del Tribunale di Catania del 13.4.2007 (irrev. l’8.1.2008), assumendo che il medesimo aveva dato causa col suo comportamento doloso al comportamento restrittivo.

La Corte rilevava che a carico del G. vi erano le dichiarazioni accusatorie di vari collaboratori di giustizia circa la sua frequentazione di elementi di spicco del clan mafioso Santapaola ed il suo legame con la famiglia Ercolano; inoltre lo stesso G. aveva ammesso dinanzi al GIP di aver conosciuto E. G., E.E., Er.En., I. P., C.S. ed altri soggetti appartenenti al gruppo mafioso in questione, benchè sostenesse che si trattava degli stessi soggetti che lo avevano sottoposto ad estorsione. La sentenza assolutoria, ancora, aveva affermato che le prove raccolte a carico del G. sarebbero state sufficienti a fondare un giudizio di responsabilità dello stesso "se non quale associato alla famiglia Santapaola, quale concorrente esterno alla stessa", sicchè a carico del G. vi erano gravi indizi di colpevolezza, alla cui sussistenza aveva dato causa la sua condotta dolosa, legittimamente posti a base dell’applicata custodia cautelare.

Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione il difensore di fiducia di G.S.A. denunziando il vizio motivazionale;

evidenzia che il G. non era colluso con i malavitosi esponenti del clan Santapaola, bensì vittima degli stessi in quanto oggetto di continue estorsioni, sicchè le frequentazioni si traducevano negli incontri subiti dal G. per pagare il "pizzo".

Si duole, inoltre, del mancato richiamo all’ordinanza del Tribunale del riesame di Catania che aveva annullato il provvedimento cautelare (idonea ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 2 a fondare il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione) e del fatto che la Corte aveva fatto riferimento, circa l’inciso relativo alla possibilità di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, alla motivazione di altra sentenza assolutoria del Tribunale di Catania (Sezione seconda penale, del 7.2.2000) in ordine alla quale la stessa Corte di Appello aveva già riconosciuto il diritto all’equa riparazione per l’ingiusta detenzione patita dal G. in quel diverso procedimento.

Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

E’ stata depositata una memoria di replica nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze ad opera dell’Avvocatura Generale dello Stato, a sostegno dell’Impugnata ordinanza.

Il ricorso è fondato e va accolto.

E’ vero che, come osservato dalla Corte catanese, "per valutare la "colpa grave" che, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, esclude il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione previsto da detta norma, il giudice deve fondare la propria decisione su fatti concreti esaminando la condotta del richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà ed indipendentemente dalla conoscenza che il prevenuto abbia avuto dell’inizio delle indagini al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se la condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (Cass. pen. Sez. 4^, 15.2.2007 n. 10987, Rv. 236508; Sez. 4^, 9.10.2007 n. 1577, Rv.

238663).

Ma nel caso di specie non è possibile richiamare il noto orientamento relativo alle "frequentazioniambigue"(Cass. pen. Sez. 3^, 30.11.2007 n. 363, Rv. 238782) che ben possono portare all’integrazione della condotta gravemente colposa incidente sull’emissione della misura cautelare, in quanto, come si evince dalla stessa ordinanza impugnata, e riferito dal G., i soggetti da lui frequentati erano quelli che lo avevano sottoposto ad estorsione. Nè può ritenersi che si verta in un caso di connivenza nel reato che "può integrare gli estremi della colpa grave, ostativa al riconoscimento del diritto all’Indennizzo, esclusivamente qualora costituisca indice del venir meno degli elementari doveri di solidarietà sociale, ovvero quando non sia risolta in un mero comportamento passivo riguardo alla consumazione del reato, ma si sia sostanziata nel tollerare che tale reato sia consumato, semprechè l’agente fosse in grado di impedirne la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della posizione di garanzia assunta, o, infine, quando la connivenza risulti aver oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’autore del reato, anche quando il connivente non abbia perseguito tale obiettivo con il suo comportamento" (Cass. pen. Sez. 4^, n. 2659 del 3.12.2008, Rv. 242538).

Quindi, nel caso in esame, la frequentazione dei soggetti malavitosi non può assumere una valenza univoca di indizio di una condotta gravemente colposa o, peggio dolosa, dell’istante ostativa ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, trovando una diversa e congrua spiegazione in una ben precisa ragione, pur rappresentata dal medesimo G., in ordine alla quale nessun cenno si rinviene nell’apparato motivazionale del provvedimento impugnato.

Solo laddove il Giudice della riparazione abbia adeguatamente valutato le ragioni delle frequentazioni da parte del G. dei soggetti gravitanti nel sodalizio mafioso e motivatamente escluso che esse possano coincidere con quelle indicate dall’istante, proclamatosi soggetto passivo dell’attività estorsiva dei predetti, potrà ritenersi la valenza indiziaria delle frequentazioni in questione ai fini della ricorrenza degli estremi della condotta gravemente colposa o dolosa del medesimo, preclusiva del diritto all’equa riparazione. L’ordinanza impugnata deve essere, pertanto annullata, con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di Appello di Catania che si atterrà ai principi di diritto sopra illustrati.
P.Q.M.

Annulla, con rinvio alla Corte di Appello di Catania, l’ordinanza impugnata.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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