Cass. pen., sez. V 16-10-2008 (01-10-2008), n. 39042 Associazione di stampo mafioso – Imprenditore colluso – Imprenditore vittima – Ordinanza cautelare basata su intercettazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

RITENUTO IN FATTO
1 – S.C. propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in data 6 marzo 2008 con la quale il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato l’ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione alle incolpazioni provvisorie di partecipazione ad associazione di stampo mafioso nonchè tentata estorsione aggravata D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7 ed altro (capi A) e W).
La vicenda era relativa alla operazione investigativa denominata "(OMISSIS)", la quale, secondo la ipotesi accusatoria, aveva fatto emergere la esistenza, nel comune di (OMISSIS), di una associazione ‘nranghetista volta a realizzare, con attentati e atti a vario titolo intimidatori, il controllo del territorio anche sotto il profilo delle attività economiche in esso svolte.
A capo di detta cosca erano ritenuti G.T. e i fratelli A., individuati essenzialmente attraverso operazioni di intercettazione di conversazioni e dichiarazioni di collaboratori di giustizia. Il carattere mafioso dell’organizzazione era stato affermato anche mediante ordinanze cautelari e sentenze di merito.
Tra le iniziative assunte per penetrare nelle attività imprenditoriali locali era menzionata quella relativa al settore della raccolta dei rifiuti urbani, perseguita grazie alla società Appennino Padana spa che era amministrata dal S. e partecipata da società riconducibili allo stesso personaggio, il quale agiva di conserva e in una posizione di totale cointeressenza, sia pure su un piano di subalternità, ancora secondo l’ipotesi accusatoria, con G.T..
In ordine a quest’ultimo, poi, erano segnalate le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia D.V. e Se.Gi., esponenti di altre cosche locali, i quali avevano riferito circa la assegnazione al G. del compito di riscuotere le tangenti più rilevanti nella zona di influenza.
In ordine, invece, alla specifica posizione del S., venivano ricordate le conversazioni avute col G., ed intercettate il 9 e 10 giugno 2006, dalle quali si evincerebbe che i due collaboravano per la divisione degli utili della attività condivisa che era quella condotta attraverso le società appartenenti al primo, in particolare la società Appennino Padana, della quale si è detto.
Era stato rilevato anche che erano sorti problemi – dei quali parlavano G. e S. – a proposito della conduzione dell’attività della società menzionata e specificamente problemi attinenti iniziative a carattere intimidatorio poste in essere da terzi nel territorio del (OMISSIS), col quale la società Appennino aveva stipulato un accordo per la raccolta dei rifiuti;
erano anche sorti problemi riguardanti la "copertura" documentale di esborsi evidentemente non giustificabili; erano infine state effettuate assunzioni rispondenti alla necessità di stabilire una sorta di "non belligeranza" nel territorio di Paola, dominato dalla cosca dei Serpa.
Dalle stesse conversazioni si era appreso anche che problemi per la Appennino Paolano spa erano nati anche nel Comune di (OMISSIS) ove si era sollecitata e spesa la influenza di M.F., destinatario a sua volta di quote delle estorsioni praticate sul territorio e gestite dalla cosca di Amantea. Ebbene il M. aveva incontrato il S. su iniziativa del G. ed aveva messo a disposizione i propri servigi, tanto che tempo dopo, quando si approssimava la scadenza del contratto tra il Comune e la Appennino Paolano per la raccolta dei rifiuti, il S. aveva potuto porre in essere azioni di pressione e di intimidazione per ottenere il rinnovo del contratto stesso.
Oltre, cioè, ad aver preteso un esoso canone di locazione dei cassonetti che non gli appartenevano più essendo la loro proprietà passata al Comune di (OMISSIS) in virtù di accordi di natura contrattuale, in seguito, quando era pervenuta la disdetta del contratto, aveva dato ordine ai dipendenti della società di ritirare i cassonetti. Il tutto grazie all’appoggio garantitogli dal boss M..
2 – Il ricorrente denuncia: 1.a) violazione di legge con riferimento alla contestazione ex art. 416 bis c.p.. Deduce che tutte le emergenze indicate nella ordinanza impugnata provengono da una unica "captazione ambientale", come tale chiaramente insufficiente a far emergere gli indicatori, invero complessi, di una stabile partecipazione del soggetto ad sodalizio criminoso di stampo mafioso (ad esempio affiliazione, investitura, rapporti di comparaggio, rispetto del vincolo gerarchico etc.).
Invece era stata pretermessa l’analisi della tesi difensiva del prevenuto secondo cui la sua contiguità col G. era di natura "soggiacente" e quindi estranea al paradigma del reato contestato. Il S., lungi dall’avvalersi dei metodi prevaricatori del sodalizio, aveva dovuto concludere un patto di protezione, come era stato dimostrato con la produzione delle numerose denunzie per danneggiamento di macchinari dallo stesso presentate. La frase che il M. avrebbe pronunciato per rassicurarlo era stata male interpretata. Non vi sarebbe prova della acquisizione illecita del controllo di attività economiche da parte del S. grazie alla sua presunta partecipazione al sodalizio criminoso.
1.b) Immotivata sarebbe anche la presunzione positiva, affermata dal Tribunale, in tema di esigenze cautelari, essendo stata invece fornita dalla difesa la prova documentale delle denunzie di atti intimidatori subiti dal S.. Sarebbero state poi ingiustamente pretermesse le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (in particolare del Se.) sulla estraneità del S. al sodalizio mafioso.
1.c) In ordine al capo W), (tentata estorsione ed altro), sarebbe stato confuso l’istituto giuridico dell’ammortamento con quello dell’affitto. Gli indizi sono stati indicati, poi, con la tecnica del riporto di dichiarazioni di persone informate sui fatti (sindaco A. e geom. An.) senza che sia stato sviluppato alcun ragionamento utile a comprendere quali elementi di colpevolezza sorreggessero le contestazioni di furto, tentata estorsione e interruzione di pubblico servizio.
1.d) Il furto d’altra parte, non sussisterebbe perchè i cassonetti appartenevano alla società del S. e l’inserimento nel contratto di fornitura del servizio, di una quota di ammortamento, non poteva valere come causa di trasferimento della proprietà dei ben all’esito del pagamento delle rate dell’ammortamento stesso. Ciò sarebbe desumibile dalla "semplice lettura del contratto" e dalla previsione dell’obbligo per la ditta di sostituire i cassonetti danneggiati o usurati.
1.e) Il reato di tentata estorsione sarebbe, poi, contestato in ragione della richiesta di esosi canoni di locazione dei cassonetti, sull’erroneo presupposto che questi non appartenessero nemmeno al S.; anche le presunte intimidazioni per ottenere il rinnovo del contratto rescisso non sarebbero state dimostrate.
Nella conversazione intercettata tra il M. e il S. non si fa alcun riferimento al rinnovo del contratto per la raccolta dei rifiuti.
1.f) Priva di adeguato supporto indiziario sarebbe la contestazione di interruzione di pubblico servizio (art. 340 c.p.), oltretutto costruita senza tenere conto che l’interruzione era stata cagionata dallo sciopero dei dipendenti che da tempo non ricevevano la retribuzione del lavoro svolto.
2) la inutilizzabilità della intercettazione ambientale del 9 giugno 2006 perchè non autorizzata in maniera regolare. In particolare, la richiesta di proroga del 29.4.2006 e il conseguente decreto di autorizzazione del g.i.p. datato 3.5.2006 riguardano soltanto le intercettazioni telefoniche e non l’intercettazione ambientale all’interno del casotto sito nell’area portuale di (OMISSIS).
3) la illogicità della presunzione assoluta di pericolosità dell’indagato, ex art. 275 c.p.p., essendo state date dimostrazioni della cessazione dell’ipotizzato vincolo associativo: il G. è infatti detenuto al pari del M.; le società attraverso le quali il S. ha operato sono sottoposte a sequestro; il S. ha perso la qualità di amministratore della Appennino Padano spa.
2.1 – Il 10 luglio 2008 è stata depositata memoria difensiva con la quale il ricorrente sostiene la deducibilità in cassazione – a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e) – del travisamento della prova e richiama le censure già svolte in relazione alle favorevoli dichiarazioni dei collaboratori e alla documentazione depositata, non valutate dal Tribunale.
2.2 – Il 25 settembre 2008 è pervenuta ulteriore memoria difensiva con la quale il ricorrente deduce l’inutilizzabilità della captazione ambientale del 9 giugno 2006 perchè il decreto di proroga dell’autorizzazione delle intercettazioni emesso dal G.i.p. in data 22 maggio 2006 sarebbe privo di congrua e logica motivazione in ordine alla attualità delle "esigenze captative". Inoltre, si ribadisce l’ammissibilità della censura di travisamento della prova con illustrazione del motivo sub p. 2.1 e richiamo di documentazione prodotta dinanzi al Tribunale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3.1 – Osserva preliminarmente la Corte che la peculiarità del giudizio di legittimità consiste proprio in ciò, che oggetto di esso è una proposizione metalinguistica, ossia "il contrasto" tra una sentenza e una disposizione di legge e, nel valutare il dedotto contrasto tra il provvedimento impugnato e l’art. 606 c.p.p., lett. e), la Cassazione deve solo verificare che la decisione del giudice del merito sia stata congruamente e logicamente giustificata sia nel sillogismo deduttivo che abbia condotto all’applicazione di una determinata norma a un fatto accertato sia nelle argomentazioni sostanziali che sorreggono la ricostruzione del fatto medesimo (Sez. 5^, 13 giugno 2007, D’Auria ed altri; Sez. 5^, 8 aprile 2008, Bruno;
Sez. 5^, 6 maggio 2008, Finocchio).
Il controllo sulla motivazione è, infatti, "volto a verificare se il giudice abbia indicato le ragioni del convincimento che si è formato e se queste ultime siano plausibili in quanto fondate su tutto il materiale probatorio (cd. principio di correttezza) in modo che le conclusioni risultino il frutto di sillogismi logicamente ineccepibili e di massime di esperienza riconosciute come tali da chiunque e generalmente accettate (cd. principio di logicità)" (Sezioni unite, sentenza 17 ottobre 2006 – 9 marzo 2007, n. 10251).
La recente pronuncia – innanzi citata – resa dalle SS.UU. dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e) introdotta dalla L. n. 46 del 2006, ribadisce il "principio che ravvisa nella Corte di Cassazione il giudice che verifica la ritualità del procedimento probatorio e non del suo risultato". Sì che sono inammissibili le censure del ricorrente, volte a ottenere una diversa lettura del materiale probatorio e, in particolare, quelle formulate con le memorie difensive. Nè è censurabile il travisamento della prova, trattandosi di provvedimento confermativo di quello impugnato (del G.i.p.).
3.2 – Tanto premesso, osserva la Corte che il ricorso non merita accoglimento. Invero, deve essere condiviso appieno il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità e ricordato anche dalla difesa del ricorrente, secondo cui in materia di partecipazione ad associazione di stampo mafioso è ragionevole considerare "imprenditore colluso" quello che è entrato in rapporto sinallagmatico con la cosca tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti, consistenti per l’imprenditore nell’imporsi nel territorio in posizione dominante e per il sodalizio criminoso nell’ottenere risorse, servizi o utilità; mentre è ragionevole ritenere "imprenditore vittima" quello che soggiogato dall’intimidazione non tenta di venire a patti col sodalizio, ma cede all’imposizione e subisce il relativo danno ingiusto, limitandosi a perseguire un’intesa volta a limitare tale danno. Ne consegue che il criterio distintivo tra le due figure è nel fatto che l’imprenditore colluso, a differenza di quello vittima, ha consapevolmente rivolto a proprio profitto l’essere venuto in relazione col sodalizio mafioso (rv 232963).
Peraltro, il principio, su cui il ricorrente chiede l’applicazione in senso ad esso favorevole, ha trovato corretto impiego, nel caso in esame, proprio per quanto concerne la ipotesi non favorevole all’indagato stesso.
E’ stata cioè ritenuta la sua piena partecipazione alle attività e al fine del sodalizio criminoso di stampo mafioso sulla scorta di elementi idonei in tale prospettiva.
Al riguardo è anche da considerare che, con orientamento ormai costante, si ritiene che agli effetti dell’indagine in ordine alla sussistenza dei gravi indizi, necessari, ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen., comma 1 per l’emissione della misura cautelare, si richiede che da essi possa trarsi il convincimento della elevata probabilità che il reato sia attribuibile all’indagato, e non già della certezza, necessaria, poi, in sede di giudizio, per l’affermazione di responsabilità. Siffatto principio trova supporto, da un lato, nella norma – l’art. 274 c.p.p., lett. a) – per la quale la misura cautelare può essere, tra l’altro, disposta allorquando sussistono inderogabili esigenze afferenti situazioni di concreto pericolo per l’acquisizione della prova (dal che si desume che questa non è ancora costituita, ma solo costituenda), e, dall’altro, nella manifesta non estensibilità alle misure cautelari della norma – l’art. 530 c.p.p., comma 2 – per la quale anche la insufficienza o contraddittorietà della prova importa l’assoluzione dell’imputato (rv 197001).
Ne consegue che la disamina della motivazione esibita dai giudici del riesame, essendo rispettosa dei detti criteri, va esente dall’ulteriore vaglio di questa Corte.
Il Tribunale ha, infatti, ricostruito il quadro delle emergenze acquisite sostenendo come esse dimostrino, sia pure col grado di approssimazione al vero richiesto nella procedura cautelare, che il S. ha dato prova di collusione con la consorteria mafiosa capeggiata dal G., condividendo con esso – e agevolandolo attivamente nel relativo perseguimento – i propositi di infiltrazione nella attività economico-imprenditorale della raccolta dei rifiuti in taluni comuni calabresi, controllo che, come è noto, è uno dei possibili scopi della consorteria tipizzata dall’art. 416 bis c.p..
La elaborazione del materiale indiziario proposta dai giudici del merito è infatti nel senso di un preciso tornaconto della condotta del ricorrente il quale metteva il G. a parte di tutta la contabilità, dei risultati dei contenziosi giudiziari e dell’incasso comune dei ricavi. D’altra parte, sulla individuazione del "partecipe" alla associazione non occorre certo che la dimostrazione del giudice debba cadere su tutti e su ciascuno dei criteri identificativi citati dal ricorrente.
Le Sezioni unite, nel più recente intervento, hanno sottolineato che la condotta di partecipazione è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, tale da implicare, più che uno "status" di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato "prende parte" al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi.
E in motivazione la Corte ha anche osservato che la partecipazione può essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi l’appartenenza nel senso indicato, purchè si tratti di indizi gravi e precisi – tra i quali, esemplificando, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di "osservazione" e "prova", l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di "uomo d’onore", la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici, e però significativi "facta concludentia" -, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo (rv 231670).
In altre parole, gli indicatori fattuali citati costituiscono un elenco certamente non esaustivo e nel caso di specie i facta concludentia bene sono stati indicati dal Tribunale con riferimento al vincolo di assoggettamento del S. alle direttive del soggetto di evidenza del sodalizio (il G.) nonchè al tipo di contributo, stabile, dallo stesso dato al perseguimento del fine anzidetto.
E’ anche da rilevare che tale la permanenza del vincolo nella forma della messa a disposizione della propria persona e della propria attività per il perseguimento dei fini criminosi dell’ente, è stata argomentata in modo più che esaustivo dai giudici del riesame in base all’analisi delle conversazioni intercettate: conversazioni che, pur essendo tratte da una serie limitata di colloqui, sono state però ritenute sintomatiche ed esemplificative di un tipo di rapporto patrimoniale e di colleganza in affari del tutto collaudato e stabile, tanto da consentire al Tribunale di qualificare G. T. "socio occulto delle ditte riconducibili a S.C." (ord. pag. 6). Pertanto, stante la natura di tale valutazione come attinente al fatto, si tratta di giudizio di merito che questa Corte di legittimità non può sindacare ulteriormente.
La ricostruzione operata, come detto, in modo completo e logico dal Tribunale non è censurabile neppure sotto il profilo della mancata considerazione di elementi a difesa dedotti dal ricorrente.
A prescindere, invero, dal rilievo che non è dedotto in quali termini e attraverso quale attività procedimentale gli elementi a discarico sono stati sottoposti al vaglio del Tribunale, tanto da determinare il correlativo onere motivazionale, è anche da osservare che la motivazione fornita dal giudice della impugnazione non è comunque affetta da vizio rilevante ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) quando dal complesso della ricostruzione e della analisi dallo stesso offerte emerga, anche solo in termini impliciti, che egli abbia preso in considerazione i rilievi della difesa e li abbia ritenuti non incisivi e/o non decisivi perchè sostanzialmente incompatibili con la valenza indiziaria del materiale accreditato.
Nella specie, è evidente che, quantomeno allo stato delle indagini, la condivisione del risultato economico della cooperazione del S. col sodalizio capeggiato dal G. – ricavato da materiale estremamente eloquente quale l’intercettazione ambientale – è stato ritenuto fattore decisivo a qualificare gli eventi, anche in presenza di una divergente dichiarazione di persona coindagata o di possibili atti di intimidazione subiti dallo stesso S..
Di più, vi è da osservare che tra le frasi riportate per lumeggiare le modalità violente dell’agire del G., nella qualità rivestita, il Tribunale ha riportato quelle indicative di attentati che proprio il G. comunicava al S. di aspettarsi e di dovere fronteggiare (v. pag. 9). Con la conseguenza che il dato degli attentati ai macchinari del S. non può dirsi pretermesso o ignorato dal Tribunale nella propria motivazione.
Per quanto concerne poi la gravità indiziaria riguardante le ipotesi di reato formulate al capo W, si rileva che la ricostruzione operata dai giudici del riesame poggia su un ragionamento completo e plausibile sicchè ogni ulteriore critica da parte dell’interessato va ritenuta inammissibile nella parte in cui si sostanzia in una richiesta di diversa valutazione dello stesso materiale indiziario, in senso evidentemente favorevole al richiedente. Tanto non è consentito, infatti, al giudice della legittimità, deputato al controllo della correttezza, logicità e completezza della motivazione.
Gli aspetti della censura riguardanti presunte violazioni di legge, risultano, invece, infondate.
Il reato di tentata estorsione è configurato dai giudici come condotta consistita nell’avere il S., il quale aveva conseguito l’appoggio esplicito della cosca dominante in (OMISSIS), posto in essere atti di indebita pressione sul sindaco del Comune, dapprima omettendo volutamente di svolgere il servizio di raccolta dei rifiuti per il quale lucrava il correlativo compenso, con la conseguenza di creare una situazione di emergenza igienica che avrebbe favorito il rinnovo contrattuale fra le stesse parti; poi e contestualmente pretendendo un canone di locazione ingiustificatamente esoso; infine, cercando di far asportare, tramite i propri dipendenti, i detti cassonetti: il tutto finalizzato ad ottenere il rinnovo del contratto, nelle more invece affidato ad altre imprese.
Rispetto a tale configurazione, comprensiva come è evidente anche dell’elemento del tentativo di costrizione dell’altrui volontà al fine di ottenere un ingiusto profitto con altrui danno, il dato dell’appartenenza dei cassonetti al Comune o alla società del S. risulta marginale e niente affatto capace, ove fosse provata la tesi della difesa, di sovvertire il costrutto accusatorio.
Il dato è del resto non decisivo anche per la configurazione del reato di furto.
Ha, infatti, osservato questa Corte che il requisito dell’altruità di cui all’art. 624 cod. pen. è ravvisabile ogni volta che vi sia almeno un soggetto, diverso dall’agente, il quale, al momento del fatto, sia legato alla cosa stessa da un’effettiva relazione di interesse (rv 201247). Nella specie, la relazione del Comune coi beni in virtù di un rapporto contrattuale è allegata e dimostrata dal Tribunale e, salvo ulteriori e diversi sviluppi delle indagini sulla effettiva natura, evoluzione ed effettività delle relazioni che in materia intercorrevano tra i due soggetti giuridici, è da escludere, allo stato, che la semplice relazione dominicale rivendicata dal ricorrente sia sufficiente a far cadere l’accusa formulata.
La censura, in ogni caso, è inammissibile nella parte in cui presuppone una "rilettura" del contenuto del contratto, trattandosi di attività inibita in sede di legittimità. La censura sub 2), poi, è manifestamente infondata perchè dagli atti acquisiti dalla Corte risulta che l’autorizzazione dell’intercettazione ambientale, inizialmente concessa fino alla data del 27.5.2006, è stata prorogata con decreto del g.i.p. in data 22.5.2006 e, successivamente, con decreto in data 12.6.2006.
Invero, dagli atti (e nulla deduce al riguardo il ricorrente) si evince che il termine di 40 giorni, decorrente dall’inizio (cfr. Sez. un., 23.2.2000, Samuri) delle operazioni di intercettazione ambientale, è scaduto soltanto il 27.5.2006 ed è questa, dunque, la ragione per la quale la richiesta di proroga del 29.4.2006 e il conseguente decreto di autorizzazione del g.i.p. datato 3.5.2006 riguardano soltanto le intercettazioni telefoniche. La censura relativa alle intercettazioni, poi, è inammissibile anche sotto altro profilo. Invero, "in caso di provvedimento applicativo di misura cautelare personale basato sul risultato di intercettazioni telefoniche o ambientali, avverso il quale sia stata esperita la procedura di riesame conclusasi con la conferma di detto provvedimento, non è deducibile per la prima volta, in sede di ricorso per cassazione proposto avverso la decisione del Tribunale del riesame, l’inutilizzabilità delle suddette intercettazioni, quando si voglia farla derivare da un asserito difetto di motivazione del decreto di autorizzazione, precedentemente mai denunciato" (Sez. 5^, sent. n. 795 del 2000). L’inammissibilità della censura formulata con il ricorso, inoltre, travolge, ai sensi dell’art. 585 c.p.p., anche quella formulata per la prima volta con la memoria difensiva pervenuta il 25 settembre 2008.
Quanto alla censura sub 3) è appena il caso di evidenziare che l’ordinanza impugnata non solo è adeguatamente motivata in ordine alla mancanza di elementi dai quali desumere la rescissione del vincolo associativo ma contiene, altresì, una valutazione di non adeguatezza della misura coercitiva applicata, fondata sul ruolo non marginale rivestito dal ricorrente nella compagine criminale e sul pericolo di recidiva. Talchè il motivo è manifestamente infondato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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