Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-03-2011) 01-06-2011, n. 22160

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di S.F. F. avverso la sentenza emessa in data 23.2.2010 dalla Corte di Appello di Roma che confermava quella in data 24.9.2009 del GIP del Tribunale di Civitavecchia, all’esito del giudizio abbreviato, con la quale il S. veniva riconosciuto colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, per aver detenuto complessivi gr. 171,1 netti sostanza stupefacente del tipo "cannabis", corrispondenti a g. 8,409 di principio attivo, da cui si sarebbero potute ricavare n. 336 dosi singole medie ( (OMISSIS)) e condannato, con circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni due, mesi otto di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa.

Denunzia l’erronea applicazione della legge penale e la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata assoluzione trattandosi di stupefacente detenuto ai fini di uso personale, come reiteratamente sostenuto dall’imputato; nonchè In relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante speciale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse aspecifiche nonchè manifestamente infondate.

Invero, è palese la sostanziale aspecificità delle censure mosse che si sono limitate a riproporre in questa sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile.

Ed è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109). La Corte territoriale, invero, ha fornito adeguata replica alle censure suddette, laddove ha rilevato che il numero di dosi ricava bili (336) rappresenta un dato ponderale inconciliabile con la prospettata destinazione ad uso personale, anche alla luce della nota degradabilità nel tempo degli effetti stupefacenti di sostanze come la marijuana. Si tratta di valutazione di merito conforme ai principi e fondata su significativi e logici presupposti che non può essere sindacata nella presente sede di legittimità (cfr. Cass. pen. Sez. 4, 25.9.2008 n. 39268, Rv.

241986). Peraltro, la valutazione in ordine alla destinazione della droga (se al fine dell’uso personale o della cessione a terzi), ogni qualvolta la condotta non appaia indicare l’immediatezza del consumo, ed in assenza di peculiari elementi che consentano di avvalorare l’ipotesi della destinazione ad uso personale è effettuata dal giudice di merito secondo parametri di apprezzamento sindacabili nel giudizio di legittimità solo sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione, che nel caso di specie si apprezza come del tutto congrua ed esaustiva (Cass. pen. Sez. 6, 19.4.2000 n. 6282, Rv. 216315).

Del pari è stata correttamente esclusa l’applicabilità dell’impetrata attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, ancora per il predetto ed assorbente dato ponderale:

infatti, è orientamento consolidato di questa Corte in tema di sostanze stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, che il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa): dovendo, conseguentemente, escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti a escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità". E in un tale contesto valutativo, ove la quantità di sostanza stupefacente si riveli considerevole, la circostanza è di per sè sintomo sicuro di una notevole potenzialità offensiva del fatto e di diffusibilità della condotta di spaccio (Cass. pen. Sez. 4, 21.11.2007, n. 47188;

v. anche Sez. 4, 22.4.2007, n. 18357 e Sez. Un. 21.6.2000, n. 17).

Nel caso di specie il dato ponderale (171,1 grammi netti di stupefacente, idonei a confezionare n. 336 dosi medie) è decisamente elevato e già da solo preclusivo del riconoscimento dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.

All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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