T.A.R. Toscana Firenze Sez. I, Sent., 31-05-2011, n. 950 Espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Comune di Pontedera dopo avere dichiarato la pubblica utilità, l’indifferibilità e l’urgenza della realizzazione di una strada prevista nel piano regolatore, ha disposto l’occupazione d’urgenza del terreno dell’odierno ricorrente antistante la sua abitazione e adibito a giardino privato. Egli ha impugnato i suddetti provvedimenti, e la controversia si è conclusa con la reiezione del ricorso disposta con sentenza del Consiglio di Stato Sez. IV, 1 aprile 1999 n. 493.

Dopo avere realizzato l’opera l’Amministrazione ha però omesso di adottare i provvedimenti ulteriori necessari al corretto sviluppo della procedura, in particolare l’emanazione del decreto di esproprio e la determinazione dell’indennità di espropriazione. Con gravame notificato il 6 dicembre 2002 e depositato il 13 dicembre 2002, rubricato sub R.g. n. 2543/2002, l’odierno ricorrente ha quindi chiesto di accertare l’illegittimità dell’occupazione d’urgenza per la mancata emissione del decreto di esproprio nei termini di legge e conseguentemente di condannare il Comune intimato alla restituzione del terreno ed al risarcimento del danno patrimoniale e morale; in via subordinata, di accertare l’intervenuta occupazione appropriativa da parte dell’intimato Comune con la conseguente condanna al risarcimento dei danni.

Si è costituito il Comune di Pontedera eccependo il difetto di giurisdizione.

Il ricorrente peraltro, con atto di citazione notificato il 12 novembre 2001, nella consapevolezza dell’incertezza giurisprudenziale sui limiti delle giurisdizioni in materia aveva proposto le stesse domande anche innanzi al Tribunale civile di Pisa.

Il ricorso sub R.g. n. 2543/2002 è stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione con sentenza di questo Tribunale 25 gennaio 2005, n. 273. La sentenza è stata appellata dal Comune di Pontedera, e a seguito di rinuncia il giudizio di secondo grado si è concluso con sentenza di improcedibilità n. 790/2010.

2. Nelle more della definizione del giudizio amministrativo di secondo grado e di quello civile il Comune intimato, in applicazione dell’art. 43, d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327, con determinazione dirigenziale 29 maggio 2008 n. 204 ha disposto l’acquisizione sanante del terreno dell’odierno ricorrente, che l’ha impugnata unitamente agli atti presupposti, con ricorso notificato il 19 settembre 2008 e depositato l’8 ottobre 2008, rubricato sub R.g. n. 1595/2008, lamentando incompetenza, difetto di motivazione e sollevando questione di legittimità costituzionale della disposizione normativa applicata.

Si è costituito il Comune di Pontedera chiedendo la reiezione del ricorso.

3. Il Tribunale di Pisa, con sentenza 458/2008, ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sicché l’odierno ricorrente ha proposto ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per regolamento del conflitto negativo di giurisdizione. Il ricorso è stato deciso con sentenza 15327/2010 che ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo. Il giudizio è stato quindi riassunto con ricorso notificato l’8 novembre 2010 e depositato il 24 novembre 2010, rubricato sub R.g. n. 1966/2010, chiedendo l’accertamento dell’illegittimità dell’occupazione temporanea d’urgenza a suo tempo disposta e la condanna dell’intimato Comune alla restituzione del terreno o, in via subordinata, l’accertamento dell’avvenuta occupazione appropriativa e in ogni caso la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni materiali e morali.

Si è costituito il Comune di Pontedera chiedendo, con unica memoria, la reiezione di tutti i ricorsi e sostenendo di avere legittimamente esercitato un potere ablatorio riconosciuto dall’ordinamento nonostante la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 43, d.p.r. 327/2001, pronunciata dalla Corte Costituzionale con sentenza 293/2010. Gli artt. 1, comma 2 e 13, comma 8, dello stesso d.p.r. 327/2001 consentono infatti l’espropriazione di beni immobili la cui sola utilizzazione, senza trasformazione dei medesimi, sia in grado di soddisfare l’interesse pubblico: a maggior ragione quindi sarebbe legittimo espropriare beni immobili trasformati dall’amministrazione e da questa utilizzati. Il trasferimento della proprietà avverrebbe in conseguenza di una nuova valutazione dell’interesse pubblico mediante un formale provvedimento.

Eccepisce poi l’inammissibilità del ricorso sub R.g. n. 1595/2008 per mancata impugnativa della deliberazione consiliare 15 aprile 2008, n. 36, con la quale è stata autorizzata l’acquisizione sanante del terreno dell’odierno ricorrente.

Contesta nel merito le ulteriori deduzioni avversarie chiedendone il rigetto.

In subordine chiede che sia riconosciuto l’acquisto a suo favore del diritto di proprietà in via di occupazione appropriativa, e in ulteriore subordine che, in base all’art. 2058, comma 2, c.c. sia esclusa la restituzione del terreno al ricorrente riconoscendogli solo il risarcimento del danno per equivalente, poiché l’interesse pubblico al corretto svolgimento della viabilità ne risulterebbe eccessivamente sacrificato come da dichiarazione del Comandante della Polizia Municipale in data 23 febbraio 2011. In merito alla quantificazione del valore del terreno rileva che esso è stato adibito in via di mero fatto a pertinenza dell’abitazione del ricorrente, poiché gli strumenti urbanistici vigenti quando gli fu rilasciata la licenza edilizia prevedevano la costruzione della strada.

L’Amministrazione ha inoltre proposto domanda riconvenzionale con ricorso notificato il 31 dicembre 2010 e depositato il 3 gennaio 2011, chiedendo che la decisione sui giudizi sub R.g. nn. 2543/2002 e 1966/2010 venga sospesa in attesa della definizione di quello sub R.g. 1595/2008, e che venga accertata l’acquisizione della proprietà del terreno a proprio favore e comunque esclusa la restituzione del medesimo al ricorrente riconoscendogli solo il risarcimento del danno.

Il ricorrente chiede che venga rigettata la domanda di sospensione ed eccepisce tardività della domanda riconvenzionale proposta dell’Amministrazione; inoltre replica di avere chiesto non la restituzione della strada intera ma di una sua porzione di estensione limitata, sicché l’interesse pubblico all’ordinato svolgimento della viabilità nella zona non subirebbe alcuna lesione.

All’udienza del 6 aprile 2011 le cause sono state trattenute in decisione.

4. I ricorsi devono essere riuniti per ragioni di connessione.

Il Collegio ritiene che debba essere rigettata la domanda di sospensione avanzata dall’intimata Amministrazione perché non si ravvisa alcuna ragione di pregiudizialità. Anche il ricorso sub R.g. n. 1595/2008 fa parte della vicenda in esame poiché inerisce al rapporto instauratosi tra l’odierno ricorrente e l’Amministrazione stessa, e ragioni di effettività della tutela giurisdizionale militano per una definizione unitaria del medesimo.

5. Il ricorso sub R.g. n. 2543/2002 deve essere dichiarato improcedibile poiché è interamente ricompreso e assorbito nell’ambito della causa sub R.g. n. 1966/2010, che ne rappresenta la riassunzione a seguito della pronuncia sulla giurisdizione da parte della Corte di Cassazione.

6. Deve essere accolto il ricorso sub R.g. n. 1595/2008 proposto avverso l’atto di acquisizione sanante del terreno del ricorrente, emesso ai sensi dell’art. 43, d.p.r. 327/2001.

L’eccezione di inammissibilità formulata dal Comune intimato deve essere respinta poiché la delibera consiliare n. 36/2008 è atto interno e non suscettibile di produrre effetti lesivi esterni. Essa infatti autorizza l’acquisizione sanante del terreno di che trattasi e conferisce mandato al dirigente competente per compiere gli atti necessari: attiene quindi al rapporto tra quest’ultimo è l’organo politico e non dispiega efficacia esterna all’Amministrazione.

Nel merito, il ricorso merita accoglimento.

Il ricorrente, con il terzo motivo, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale per eccesso di delega della normativa applicata dal Comune di Pontedera, e la correttezza di tale assunto è stata confermata dalla Corte Costituzionale che, con sentenza n. 293/2010, ha espunto proprio per tale motivo la norma dall’ordinamento; la sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma disciplinante il potere di adozione di un provvedimento impugnato in sede giurisdizionale comporta, quindi, l’illegittimità derivata dell’atto stesso, ove l’interessato abbia censurato la norma di che trattasi (C.d.S. IV, 3 dicembre 2010 n. 8507). Il provvedimento di acquisizione sanante deve quindi essere annullato, in uno con gli altri provvedimenti gravati; vengono assorbite le ulteriori doglianze.

7. Deve ora essere esaminato il ricorso sub R.g. n. 1966/2010.

7.1 I fatti di causa non sono contestati.

Nella presente fattispecie l’Amministrazione intimata, dopo avere emesso la dichiarazione di pubblica utilità in ordine alla realizzazione dell’opera pubblica di cui è causa, ha occupato in via d’urgenza il terreno del ricorrente e l’ha trasformato da giardino privato in sede stradale senza concludere il procedimento espropriativo, omettendo in particolare di emanare sia l’atto di determinazione dell’indennità provvisoria che il decreto di esproprio. La causa in esame pone dunque la delicata questione circa la sorte del terreno appreso in via d’urgenza dal soggetto espropriante e trasformato con la realizzazione dell’opera pubblica, senza che sia avvenuta, a favore del medesimo, la traslazione del diritto di proprietà.

La giurisprudenza, a tale proposito (Cass. SS.UU. 26 febbraio 1983, n. 1464), aveva elaborato la figura dell’accessione invertita, in base alla quale laddove un fondo oggetto di procedura espropriativa venisse irreversibilmente trasformato mediante la costruzione dell’opera pubblica o comunque della maggior parte di essa, la sua proprietà, per il solo fatto della trasformazione fisica, si trasferiva automaticamente nelle mani del soggetto espropriante anche in assenza di un valido provvedimento di esproprio, mentre al proprietario residuava il solo diritto al risarcimento del danno corrispondente al valore venale del bene, con esclusione della retrocessione. Il fondamento di questo istituto era rinvenibile nel conflitto di interessi, o per meglio dire nel bilanciamento di interessi contrapposti: si riteneva cioè, a fronte di una procedura non legittima, che l’interesse pubblico alla fruizione dell’opera da parte della collettività fosse superiore rispetto a quello del privato alla restituzione di un bene che, essendo ormai irreversibilmente trasformato, egli non avrebbe potuto utilizzare nel modo originario.

La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha però stabilito, in numerose sentenze, che tale meccanismo viola il diritto dell’espropriato al rispetto dei propri beni, di cui all’art. 1 del Protocollo Addizionale, perché non é fondato su una regolamentazione stabile, completa e prevedibile e inoltre permette all’amministrazione di trarre beneficio da un comportamento illegale (ex multis, C.E.D.U. 30 marzo 2006).

Il legislatore ha allora emanato la disposizione di cui all’art. 43, d.p.r. 327/2001, che ha istituito lo strumento dell’acquisizione sanante mediante il quale l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un provvedimento espropriativo o dichiarativo della pubblica utilità, con apposito provvedimento poteva disporne l’acquisizione al suo patrimonio indisponibile residuando al proprietario il diritto al risarcimento dei danni. Anche tale disposto normativo è però stato espunto dall’ordinamento a seguito della sopracitata sentenza della Corte Costituzionale n. 293/2010. Ne segue che allo stato non esiste all’interno dell’ordinamento uno strumento in grado di disporre l’acquisizione a favore del soggetto espropriante di un bene che sia stato irreversibilmente trasformato in assenza di un valido provvedimento traslativo della proprietà.

Una pronuncia giurisprudenziale (T.A.R. PugliaLecce I, 24 novembre 2010 n. 2683) ha ipotizzato l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 940 c.c. in tema di specificazione, secondo il quale "se taluno ha adoperato una materia che non gli appartiene per formare una nuova cosa……….. ne acquista la proprietà pagando al proprietario il prezzo della materia, salvo che il valore della materia sorpassi notevolmente quello della mano d’opera. In quest’ultimo caso la cosa spetta al proprietario della materia, il quale deve pagare il prezzo della manodopera". In tal modo viene attribuita la proprietà del nuovo bene allo specificatore sicché, per effetto della trasformazione del fondo, anche la proprietà dell’opera pubblica verrebbe acquistata a titolo originario dall’ente espropriante nel momento in cui la trasformazione è stata completata. Il Collegio ritiene però che la disposizione non possa applicarsi alla fattispecie in esame, poiché è tradizionalmente concepita relativamente alle cose mobili e non a quelle immobili.

Non appaiono convincenti nemmeno le deduzioni della difesa comunale, a prescindere dall’eccezione di tardività della sua domanda riconvenzionale formulata dalla difesa del ricorrente. Essa pretenderebbe di evincere l’esistenza di un potere espropriativo nella fattispecie in esame dalle norme di cui agli artt. 1, comma 2, e 13, comma 8, d.p.r. 327/2001 che attribuiscono ai soggetti esproprianti il potere di apprendere e destinare ad uso pubblico anche immobili che non debbano, a tal scopo, essere trasformati fisicamente. La fattispecie in esame è però diversa da quella ipotizzata dalla difesa comunale poiché riguarda un immobile, il terreno del ricorrente, che è stato sottoposto a radicale trasformazione.

Il Collegio ritiene che la cessazione del potere pubblicistico ablativo conseguente alla scadenza dei termini per la realizzazione delle procedure di esproprio, senza che sia stato emanato il relativo decreto o comunque posto in essere un valido atto traslativo della proprietà, determini la piena reviviscenza del diritto dominicale in capo al titolare del fondo. Una volta infatti che l’Amministrazione abbia consumato inutilmente il potere ablatorio, essa si pone nei confronti del privato non più quale soggetto pubblico, ma alla stregua di un privato cittadino. L’occupazione del terreno del ricorrente da parte dell’Amministrazione deve quindi essere qualificata come illecito ed il primo ha diritto a riottenerne il possesso.

Non appare invocabile a questo proposito, come pretenderebbe la difesa dell’Amministrazione, la norma di cui all’art. 2058, comma 2, c.c. poiché trattasi di disposizione dettata per il risarcimento in forma specifica. Tale istituto si identifica nell’obbligo del debitore, che non ha reso la prestazione alla quale era obbligato, di fornire al creditore una prestazione diversa e succedanea, e non è utilmente invocabile per la regolamentazione del caso in esame nel quale insorge un obbligo restitutorio e non risarcitorio a carico dell’Amministrazione intimata. La sua applicazione, per di più, non sarebbe idonea a regolamentare la sorte della proprietà del terreno in questione poiché non costituirebbe un valido titolo per la traslazione del diritto dominicale a favore dell’espropriante. Infine in tal modo sarebbero riprodotti gli inconvenienti già denunciati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in materia di occupazione appropriativa poiché verrebbe introdotta nell’ordinamento una nuova regolamentazione della materia espropriativa priva delle caratteristiche di prevedibilità e chiarezza, che legittimerebbe anche un’azione illegittima da parte dell’amministrazione espropriante. Non è superfluo ricordare che la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, seppure non abbia introdotto un sistema di produzione normativa che si innesta direttamente nel nostro ordinamento al pari del Trattato comunitario e del diritto derivato, costituisce tuttavia parametro per il controllo di legittimità costituzionale delle leggi interne (Corte Cost. 26 novembre 2009, n. 311), e a fronte di possibili diverse interpretazioni di queste deve essere data preferenza a quella che appare costituzionalmente legittima.

7.2 Il ricorrente rivendica anche il diritto al ripristino del terreno nella condizione in cui si trovava prima della trasformazione operata dall’Amministrazione.

Il Collegio rileva che il caso di specie si presenta diverso da quello affrontato dalla Sezione nella controversia decisa con sentenza 11 gennaio 2011, n. 29. In quest’ultima fattispecie la restituzione del fondo è stata disposta all’esito dell’annullamento degli atti di una procedura espropriativa quale effetto ripristinatorio della pronuncia, in applicazione del generale principio in base al quale l’annullamento dei provvedimenti che incidono su interessi oppositivi comporta l’obbligo, per l’amministrazione soccombente, di ripristinare lo status quo ante e reimmettere il ricorrente vittorioso nel godimento del bene della vita illegittimamente inciso. Nel caso di specie non è chiesto l’annullamento di un provvedimento, ma si contesta che la procedura non sia stata conclusa con l’emanazione del decreto di esproprio.

La perdita del potere ablatorio da parte dell’Amministrazione comporta, come sopradescritto, che la stessa si ponga nei confronti dell'(ex) espropriando alla stregua di un privato cittadino. I loro rapporti dovranno perciò essere giudicati e conformati giudiziariamente secondo le regole di diritto comune. Ne segue l’applicabilità alla fattispecie delle norme dettate in materia di accessione per i rapporti civilistici (T.A.R.Campania Napoli V, 18 gennaio 2011 n. 262). Norme di riferimento sono quindi gli artt. 934, in base al quale qualunque costruzione edificata sopra o sotto il suolo appartiene al suo proprietario fatto salvo quanto disposto (tra gli altri) dall’art. 936 c.c., e appunto quest’ultima norma secondo la quale, nel caso in cui la costruzione sia stata fatta (come nel caso di specie) da un terzo con materiali propri, il proprietario del fondo può scegliere se ritenere le opere costruite pagando il valore dei materiali e il prezzo della manodopera o l’aumento di valore del fondo, oppure obbligare il terzo, ossia nel caso in esame l’Amministrazione intimata, a toglierle. La richiesta del ricorrente è in quest’ultimo senso.

Limiti a tale potere di scelta del proprietario del fondo, esclusa la sua mancanza di opposizione che non rileva nel caso di specie, sono la buona fede del terzo costruttore ( art. 936, comma quarto, c.c.) e il decorso di sei mesi dalla notizia dell’incorporazione ( art. 936, comma quinto, c.c.): il proprietario non può infatti obbligare il terzo a rimuovere la costruzione se questi era in buona fede o se sono trascorsi sei mesi da quando ha avuto notizia dell’incorporazione.

Non può ritenersi nel caso di specie che sussista la buona fede dell’Amministrazione espropriante. Tale stato soggettivo si identifica infatti nella convinzione del terzo di essere proprietario del suolo su cui vene effettuata la costruzione (Cass. civ. II, 7 maggio 1997 n. 3971), ed evidentemente il soggetto espropriante che effettua la costruzione in un suolo occupato grazie ad un apposito provvedimento di occupazione temporanea ben sa che tale fondo non gli appartiene.

Non appare poi applicabile alla fattispecie in esame l’ultimo comma dell’art. 936 c.c., in base al quale la rimozione non può essere domandata decorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario del fondo ha avuto notizia dell’incorporazione, poiché la procedura era iniziata con l’esplicazione del potere pubblicistico ablativo da parte dell’Amministrazione, perdurando il quale il ricorrente non avrebbe potuto utilmente domandare la rimozione delle opere.

Ne segue che la domanda di rimozione delle opere costruite sul terreno del ricorrente deve essere accolta. Il Comune intimato dovrà quindi restituire il terreno de quo al ricorrente provvedendo previamente alla sua remissione in pristino.

7.3 Occorre ora trattare del risarcimento dei danni chiesto dal ricorrente.

Deve essere respinta la domanda di ristoro del danno morale poiché il risarcimento del danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 2059 c.c., consegue alla lesione di interessi inerenti la persona che non siano connotati da rilevanza economica (Cass. SS.UU. 11 novembre 2008, n. 26972). Nella fattispecie si discute invece della privazione del godimento di un terreno, e non della lesione a diritti fondamentali della persona, non potendo così qualificarsi la fruizione di un fondo.

Il ricorrente ha invece diritto al risarcimento dei danni per il mancato godimento del fondo. In assenza di una quantificazione di tale richiesta ritiene il Collegio, ai sensi dell’art. 34, comma 4, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, di stabilire che l’Amministrazione, entro novanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa o, se anteriore, notificazione della presente sentenza, gli proponga il pagamento di una somma per lo spossessamento del fondo a decorrere dal momento di scadenza del periodo di occupazione legittima, secondo il criterio di cui all’art. 50 del d.p.r. 327/2001. I singoli ratei dovranno essere via via rivalutati fino alla data di pubblicazione della presente sentenza ma senza essere incrementati anche degli interessi legali, poiché il ricorrente non ha fornito prova di un lucro cessante specifico. La rivalutazione ha la funzione di reintegrare il soggetto danneggiato nel valore del bene e in assenza di prova circa uno specifico lucro cessante, la liquidazione degli interessi legali in aggiunta alla rivalutazione produrrebbe l’effetto di fare conseguire al creditore più di quanto avrebbe ottenuto in assenza dell’illecita occupazione effettuata dall’Amministrazione intimata (C.d.S. VI, 14 giugno 2010 n. 3736 in diversa fattispecie ma con principio applicabile al caso di specie). Al raggiungimento dell’accordo tra le parti l’obbligazione dell’Amministrazione si convertirà in debito di valuta e pertanto, da tale momento e fino al saldo, sull’intera somma dovuta decorreranno gli interessi legali

8. In conclusione, il ricorso sub R.g. n. 2543/2002 deve essere dichiarato inammissibile e deve essere accolto integralmente il ricorso sub R.g. n. 1595/2008 e parzialmente, nei sensi di cui in motivazione, quello sub R.g. n. 1966/2010.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate a carico del Comune di Pontedera nella misura di Euro 5.000,00 (cinquemila/00), cui devono essere aggiunte le sole somme per IVA e CPA.

Il Collegio dispone la trasmissione degli atti alla Procura Regionale della Corte dei Conti al fine di accertare eventuali responsabilità per danno erariale.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Prima), riuniti i ricorsi in epigrafe, dichiara improcedibile il ricorso sub R.g. n: 2543/2002; accoglie il ricorso sub R.g. n. 1595/2008 e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati; accoglie parzialmente, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso sub R.g. n. 1966/2010 e per l’effetto ordina al Comune di Pontedera la restituzione del terreno al ricorrente, previa remissione in pristino, e lo condanna a formulare al ricorrente medesimo una proposta risarcitoria, nei termini e con le modalità di cui in motivazione.

Condanna il Comune di Pontedera al pagamento delle spese processuali nella misura di Euro 5.000,00 (cinquemila/00) oltre IVA e CPA.

Manda alla Segreteria per la trasmissione degli atti alla Procura Regionale della Corte dei Conti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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