composto dai Signori:
Aldo Ravalli Presidente
Ettore Manca Primo Referendario
Massimo Santini Referendario, relatore
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso n. 3633/2001 presentato dalla ARETA s.r.l., in persona del legale rappresentante sig. Angelo Cozzi, rappresentata e difesa dagli Avv.ti Luigi Vitali e Nicola Massari, ed elettivamente domiciliata presso la Segreteria di questo TAR;
contro
il Ministero dell’Economia e delle Finanze – Dipartimento per le politiche di sviluppo e di coesione (oggi presso il Ministero dello sviluppo economico), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale di Lecce;
per l’annullamento
del decreto n. 2552 del 28 giugno 2001 del direttore generale del Dipartimento per le politiche di sviluppo e di coesione, con il quale è stato revocato il decreto n. 745 del 6 marzo 1998 di concessione delle agevolazioni in favore della società ricorrente.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;
Visti tutti gli atti di causa;
Designato alla pubblica udienza del 3 dicembre 2008 il relatore Massimo Santini, referendario, presente altresì l’Avv. Massari;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
La ricorrente beneficiava di agevolazioni disposte, con decreto dirigenziale n. 745 del 6 marzo 1998, in relazione al patto territoriale di Brindisi per la realizzazione di alcune iniziative imprenditoriali.
La società opera nel settore dei mobili da giardino. Il finanziamento era dunque diretto ad interventi di ampliamento ed ammodernamento della struttura produttiva, in particolare attraverso l’acquisto di nuovi macchinari (presse) da impiegare per la realizzazione di una nuova linea produttiva (lettini e poltroncine).
A seguito di verifica da parte della Guardia di Finanza, l’amministrazione, pur a seguito delle osservazioni formulate a seguito di comunicazione di avvio del procedimento, disponeva la revoca del finanziamento concesso ed il recupero delle somme sino ad allora erogate in quanto, a causa della non veridicità della domanda di concessione, risultava viziato il relativo procedimento istruttorio.
Nella specie, in sede di verifica erano stati riscontrati un numero di macchinari (pari a sei) superiori rispetto a quelli per cui era stato chiesto il finanziamento (pari a quattro), e specificamente indicati nel relativo business plan. In sostanza, continuavano ad operare due macchinari della gestione ante finanziamento.
L’interessato interponeva dunque ricorso giurisdizionale sollevando le seguenti censure:
1. Violazione della legge n. 241 del 1990 nella parte in cui il diretto interessato non è potuto intervenire tramite audizione personale;
2. Difetto di motivazione circa il pregiudizio istruttorio, e ciò tenuto conto che gli obiettivi di ampliamento ed ammodernamento sono stati nel tempo raggiunti;
3. violazione del decreto ministeriale 31 luglio 2000, n. 320, laddove non sono state commesse dalla ricorrente violazioni tali da comportare la revoca delle agevolazioni ai sensi dell’art. 12 del richiamato DM;
4. Eccesso di potere per travisamento di fatti, atteso che i due macchinari aggiuntivi, poiché obsoleti, non potevano essere impiegati per la realizzazione della nuova linea produttiva;
5. Difetto di istruttoria, in quanto il business plan, per sua natura, si riferisce ai soli fattori della produzione impiegabili nel nuovo processo industriale.
Si costituiva in giudizio l’amministrazione, la quale chiedeva il rigetto del gravame.
Con ordinanza n. 1569 del 19 dicembre 2001, questo Tribunale accoglieva l’istanza cautelare, stante la non manifesta infondatezza del’impugnativa, limitatamente al recupero disposto.
Con memoria in vista dell’udienza pubblica, la ricorrente faceva altresì presente che sul tema della revoca dei contributi la giurisprudenza, da ultimo, si è espressa in favore della giurisdizione dell’AGO.
All’udienza pubblica del 4 giugno 2008, la causa veniva infine trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Si affronta preliminarmente la questione di giurisdizione.
In tema di revoca dei finanziamenti pubblici, il collegio è ben consapevole dell’esistenza di un orientamento in base al quale sussisterebbe, in materia, la giurisdizione dell’AGO.
Tale indirizzo si fonda essenzialmente sulla considerazione che, mentre in vista della ammissione al beneficio l’attività della PA è connotata da poteri discrezionali (con conseguente individuazione di posizioni di interesse legittimo che, come tali, non possono che essere conosciute dal GA), all’esito della liquidazione del contributo economico si determina un credito dell’impresa, instaurandosi così un rapporto paritetico tra concedente e concessionario connotato da diritti e obblighi consistenti, per quel che riguarda il concessionario, nel diritto alla corresponsione del contributo e nell’obbligo di realizzare le opere per le quali il contributo è stato erogato; a sua volta il concedente, dopo la deliberazione e liquidazione del contributo, non ha più alcun potere discrezionale, ma solo il potere di controllare l’esatto adempimento degli obblighi del concessionario.
In questa direzione, il procedimento di revoca disciplinato dalla normativa di riferimento rivestirebbe natura eminentemente vincolata, atteso che è la legge a predeterminare integralmente le ipotesi da cui scaturisce l’eventuale provvedimento restrittivo.
Ritiene il collegio che la questione debba essere esaminata sotto una diversa angolazione.
In via preliminare, si osserva come il richiamato indirizzo ricalchi il classico riparto in tema di contratti pubblici, ove si rinviene sia una fase autoritativa, prima dell’aggiudicazione (con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo), sia una fase paritetica, dopo la aggiudicazione stessa e in particolare a seguito della stipulazione del contratto di appalto (le cui controversie sono pacificamente attribuite all’AGO).
Trasponendo siffatte coordinate sostanziali e processuali alla fattispecie de qua, emerge tuttavia che, in tema di contributi pubblici: a) non si stipula un contratto (la concessione rimane infatti regolata dall’atto di concessione, dunque non v’è incontro di volontà ma pur sempre adozione di atti unilaterali ed autoritativi da parte della PA); b) non si ravvisa un rapporto sinallagmatico in senso pieno atteso che il programma realizzato dal privato, anche a volerlo intendere in termini di controprestazione, resta tuttavia nella sua esclusiva disponibilità, senza che la collettività – diversamente da quanto avviene per le opere pubbliche – possa trarne utilizzo alcuno.
In ulteriore e più approfondita analisi, si rileva come le ipotesi di revoca descritte dal bando di concorso non sembrino in effetti condizionate da alcuna valutazione discrezionale né tecnica (si veda in ogni caso la possibilità di accordare proroghe in merito al completamento del programma), dipendendo la stessa dal mero accertamento circa la sussistenza, o meno, di un presupposto normativamente predeterminato.
Di qui la deduzione dell’esistenza, secondo il ricordato orientamento, di un vero e proprio diritto soggettivo in capo all’interessato, atteso che l’atto di revoca assumerebbe natura meramente dichiarativa, in quanto tale sfornito di quell’attitudine degradatoria che, sola, determina la nascita di posizioni di interesse legittimo.
A tale riguardo il collegio evidenzia, tuttavia: in primo luogo, che “le valutazioni espresse dall’Amministrazione nell’espletamento dei suoi poteri pubblicistici, come riconosciuti da una norma, sono sempre sindacabili avanti al giudice amministrativo per i loro profili estrinseci, vale a dire in ordine alla loro logicità, non contraddittorietà o erroneità in fatto, sicché la circostanza per la quale la procedura per il riconoscimento dell’inadempimento del beneficiario di contributi pubblici sia attinente ad aspetti rigidamente predeterminati sul piano normativo, come evidenziato dall’Amministrazione resistente, di per sé non esclude, a priori, la possibilità di tutela avanti al giudice naturale, anche ai sensi del principio generale di cui all’art. 24 Cost., per la verifica dei profili sopra ricordati” (cfr. TAR Piemonte, sez. II, 17 settembre 2007, n. 2959).
In secondo luogo, che l’acclarata natura vincolata dell’attività demandata all’amministrazione non comporta in modo automatico la qualificazione della corrispondente posizione soggettiva del privato in termini di diritto soggettivo, con ogni conseguenza processuale in chiave di riparto di giurisdizione.
Come più volte evidenziato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr. sentenze n. 18 del 1999 e n. 8 del 2007), sembra infatti doversi distinguere, “anche in seno alle attività di tipo vincolato, tra quelle ascritte all’amministrazione per la tutela in via primaria dell’interesse del privato e quelle, viceversa, che la stessa amministrazione è tenuta ad esercitare per la salvaguardia dell’interesse pubblico. Anche a fronte di attività connotate dall’assenza in capo all’amministrazione di margini di discrezionalità valutativa o tecnica, quindi, occorre avere riguardo, in sede di verifica della natura della corrispondente posizione soggettiva del privato, alla finalità perseguita dalla norma primaria, per cui quando l’attività amministrativa, ancorché a carattere vincolato, tuteli in via diretta l’interesse pubblico, la situazione vantata dal privato non può che essere protetta in via mediata, così assumendo consistenza di interesse legittimo”.
In un’altra decisione della Adunanza Plenaria (sentenza n. 12 del 2007), è stato inoltre ritenuto che, per affermare la giurisdizione del giudice amministrativo, rileva non solo l’accertamento della qualifica di autorità del soggetto agente, ma anche “la strumentalità del suo agire ai fini della realizzazione degli scopi di interesse pubblico la cui cura è ad essa commessa”.
Applicando alla fattispecie le esposte coordinate ricostruttive, ritiene questo collegio che la controversia debba essere correttamente ritenuta di competenza del giudice amministrativo.
E ciò in quanto non pare revocabile in dubbio che l’attività amministrativa relativa alla concessione di contributi pubblici sia effettuata – anche e soprattutto nella fase di verifica circa l’effettivo utilizzo delle somme erogate – in funzione di “tutela dell’interesse pubblico alla miglior gestione ed allocazione delle risorse della collettività e non a quella privata ad acquisire un mero vantaggio” (cfr. TAR Piemonte, cit.).
Più in particolare, l’interesse pubblico perseguito in via diretta dalla norma primaria, che si realizza anche mediante l’attività di accertamento successiva alla erogazione delle sovvenzioni, riguarda il corretto utilizzo di risorse pubbliche destinate ad un proficuo e virtuoso sviluppo dell’economia locale.
È noto infatti come l’Unione Europea, per il tramite degli Stati membri, intervenga ai sensi del trattato istitutivo attraverso misure di sostegno alle attività imprenditoriali (c.d. fondi strutturali) in chiave di riequilibrio territoriale e, dunque, di coesione economica e sociale.
L’obiettivo è in particolare quello di promuovere lo sviluppo e l’adeguamento strutturale delle aree in ritardo di sviluppo, nonché di sostenere la riconversione socioeconomica delle zone con difficoltà strutturali.
Occorre soprattutto rimarcare come siffatti interventi, in funzione correttiva del mercato, non si limitino a risollevare unicamente le sorti dei singoli soggetti operanti sul mercato, ma siano altresì diretti a creare esternalità positive (o “economie esterne”): fenomeno, questo, con cui si intendono gli effetti che certe attività poste in essere da uno o più soggetti provocano su altri soggetti non direttamente coinvolti nell’esercizio di quelle attività.
Lo sviluppo di una impresa che riceve contributi pubblici si riflette positivamente, infatti, su altre imprese (es. fornitori, artigiani) che si trovino ad operare con essa e attraverso la quale sono in grado di acquisire maggiori occasioni di lavoro (ordini, commesse, etc.).
Di qui l’innescarsi, attraverso meccanismi di interdipendenza funzionale tra soggetti operanti anche su diversi segmenti di mercato, di uno sviluppo in senso virtuoso dell’economia locale (che in taluni casi può anche dare luogo alla nascita di un vero e proprio distretto industriale) che costituisce fondamentale obiettivo di politica economica e, dunque, interesse pubblico di primaria importanza.
Le considerazioni appena svolte inducono a ritenere che la sovvenzione erogata in favore del singolo imprenditore non possa essere valutata e considerata isolatamente, ossia con esclusivo riferimento al diretto ed immediato beneficio da questo ottenuto, ma con riguardo altresì a quell’insieme di vantaggi che, attraverso un meccanismo di relazioni economiche interdipendenti, è in grado di acquisire l’intero sistema economico che ruota intorno ad esso.
Da quanto sopra affermato ne deriva la giurisdizione del GA sulla revoca disposta in tema di sovvenzioni pubbliche, atteso che la finalità perseguita in via diretta dalla normativa di settore è quella di garantire il più corretto utilizzo di risorse pubbliche preordinate ad un proficuo e virtuoso sviluppo dell’economia, in questo caso di livello locale.
02. Nel merito il ricorso è peraltro fondato.
2. Va preliminarmente disattesa la censura riguardante la mancata audizione personale del ricorrente, dato che tale forma di partecipazione non è in alcun modo prescritta dalla legge generale sul procedimento, risultando più che sufficienti, al riguardo, gli apporti che il privato ritiene di produrre per iscritto.
In questa stessa direzione si è altresì espressa la giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 19 maggio 2000, n. 2901).
3. Sono invece fondati i restanti motivi che, per la loro stretta connessione sul piano logico, possono essere congiuntamente esaminati.
In primo luogo, è fondato il motivo riguardante l’omessa motivazione del provvedimento, nella parte in cui non emerge il ragionamento logico e giuridico che avrebbe indotto l’amministrazione a ritenere viziato il procedimento istruttorio a causa della presenza di un numero di macchinari superiore rispetto a quelli previsti dal business plan.
Al di là della “oggettiva rilevanza” di detta omissione – peraltro giustificata da elementi da ritenere in concreto validi, come si vedrà – non è dato infatti comprendere in che modo il mantenimento di due vecchi macchinari avrebbe potuto influire sul giudizio di meritevolezza della domanda di agevolazione. Domanda che riguardava, come detto, l’ammodernamento e dunque la realizzazione di una nuova linea produttiva che, in ogni caso, poteva essere condotta esclusivamente attraverso macchinari nuovi, ossia quelli puntualmente indicati nel business plan, non anche con quelli vecchi.
Si consideri poi che gli obiettivi di ampliamento (intesa come aumento dell’occupazione) e di ammodernamento (intesa come aumento della capacità produttiva e dunque del fatturato) risultano essere stati nel tempo conseguiti, secondo quanto si evince dagli atti versati in giudizio.
Del resto, il business plan annovera i quattro (nuovi) macchinari tra quelli da utilizzare in via principale, senza per questo affermare che si tratti dei soli macchinari disponibili per l’azienda.
Lo stesso documento di programmazione, in quanto rivolto alle scelte che l’impresa intende intraprendere de futuro, non poteva certamente contemplare i due macchinari obsoleti, inidonei come già detto alla realizzazione della nuova linea di produzione. Questi ultimi, pur se operativi, potevano essere utilizzati unicamente per la produzione già esistente, non anche per quella nuova, che costituisce oggetto della agevolazione in parola.
Per di più, considerare anche i due vecchi macchinari nel business plan non avrebbe influito su una diversa modulazione del dichiarato obiettivo di incremento patrimoniale, i cui parametri sarebbero rimasti sostanzialmente immutati in quanto ancorati alla realizzazione della nuova linea produttiva, appannaggio come detto dei soli nuovi macchinari.
Senza trascurare, poi, la circostanza per cui i vecchi macchinari risultavano in ogni caso dai documenti contabili che sono stati messi a disposizione dell’amministrazione in sede di istruttoria.
In conclusione, non ricorre la fattispecie prevista dai regolamenti di settore per la revoca del finanziamento, attesa la indimostrata sussistenza di un vizio del procedimento istruttorio.
4. Il ricorso è pertanto fondato e merita di essere accolto. Per l’effetto, deve essere annullato l’atto dirigenziale n. 2552 del 28 giugno 2001 del direttore generale del Dipartimento per le politiche di sviluppo e di coesione.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 3633/2001, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto dirigenziale n. 2552 del 28 giugno 2001 del direttore generale del Dipartimento per le politiche di sviluppo.
Liquida le spese del presente giudizio in euro 2.500 (duemilacinquecento), da porre a carico dell’amministrazione soccombente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Lecce, nella Camera di Consiglio del 3 dicembre 2008.
Aldo Ravalli – Presidente
Massimo Santini – Estensore
Pubblicata mediante deposito
in Segreteria il 15 gennaio 2009
Fonte: www.giustizia-amministrativa.it