Cass. pen., sez. II 14-10-2008 (01-10-2008), n. 38806 Azione davanti al giudice civile – Successiva costituzione nel processo – Diversità della causa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza in data 18 gennaio 2007, la Corte d’Appello di Venezia, 4A sezione penale, confermava la sentenza del Tribunale in sede appellata da S.L., con la quale quest’ultima era stata dichiarata colpevole di truffa (art. 640 c.p.) in danno di V. G. e T.V. e condannata, riconosciute le attenuanti generiche e con la diminuente di cui all’art. 442 c.p., alla pena, sospesa alle condizioni di legge e all’ulteriore condizione di risarcire le parti civili, di tre mesi dieci giorni di reclusione ed Euro 140,00 di multa nonchè alla rifusione delle spese processuali.
La Corte territoriale, rigettata l’eccezione di carenza di legittimazione dei coniugi V. a costituirsi parti civili, nel merito riteneva fondata la prova della responsabilità sulla scorta di quanto denunciato in querela e di quanto risultante dalla documentazione acquisita, in particolare dalla constatazione che nell’atto di procura a vendere in favore dell’agenzia immobiliare l’imputata si era qualificata falsamente proprietaria dell’immobile per l’acquisto del quale il V. aveva sottoscritto atto di impegno con contestuale versamento della caparra a mezzo di due assegni. A nulla rilevava che i coniugi V., accertato successivamente che la S. non era proprietaria, avevano seguitato a trattare con lei, perchè la truffa era ormai stata consumata. La pena era stata quantificata in misura prossima al minimo con riduzione rilevante per le riconosciute attenuanti generiche.
Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputata, a mezzo dei difensori, che ne hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi; – mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione, inosservanza dell’art. 125 c.p.p., travisamento del fatto e inosservanza di norme stabilite a pena di inammissibilità ex. artt. 75, 80, 568, 586 e 597 c.p.p. per aver ritenuto la legittimazione di T. e V. a costituirsi parti civili nonostante avessero proposto azione civile per ottenere il ristoro dei danni, sul presupposto (non unanimemente condiviso dalla giurisprudenza di legittimità), che l’azione per i danni morali in ambito penale costituisce petitum diverso rispetto a quello azionato in sede civile per ottenere il doppio della caparra. La T. inoltre non aveva diritto a costituirsi parte civile perchè non figurava come promissoria acquirente; – mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ed inosservanza o erronea applicazione della legge penale e violazione degli artt. 538, 539 e 540 c.p.p. nonchè del D.M. 8 aprile 2004, n. 127 per mancata indicazione dei criteri di liquidazione della provvisionale nonchè di liquidazione degli onorari e spese sostenute dalle partibili per il grado di appello; – mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ed inosservanza o erronea applicazione della legge penale e inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche ex art. 125 c.p.p. e travisamento del fatto perchè in realtà la fattispecie delittuosa non si è concretizzata in quanto nel caso concreto vi è stata solo mancanza di diligenza da parte delle persone offese perchè difetta il dolo nessun inganno essendo stato operato, stante la consapevolezza degli acquirenti della mancanza di titolarità del bene da parte della S.. Quanto alla pena, il pensiero della difesa è stato male interpretato perchè la doglianza mossa con l’appello atteneva alla mancanza di giustificazione in ordine quantificazione della pena base, superiore al minimo edittale; – si invocava l’assegnazione alle Sezioni Unite stante il contrasto giurisprudenziale sulla nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, perchè non sussiste il denunciato contrasto giurisprudenziale.
L’invocato principio stabilito da questa Corte (Cass. Sez. 2, 16.2.2000 n. 7126) riguarda la diversa ipotesi nella quale la costituzione di parte civile Intervenga dopo che vi sia stata già pronuncia di sentenzia di merito (ancorchè non definitiva) in sede civile. In motivazione la citata sentenza ha invero richiamato principi, consolidati nell’ambito del giudizio civile, secondo i quali, ottenuta – una sentenza risarcitoria passata in giudicato, non è possibile, salvo eccezioni ben precise (quali l’espressa riserva di chiedere in altro giudizio voci ulteriori di danno derivanti dalla stessa causa ovvero lo stesso giudicato riservi ad altro processo la liquidazione di una parte del danno), proporre nuova domanda in relazioni a voci di risarcimento diverse da quelle fatte valere nel precedente giudizio, in quanto il giudicato copre, di regola, anche le voci non formanti oggetto specifico della domanda.
Nel caso in esame tale evenienza non risulta essersi verificata.
Vale quindi la regola interpretativa, secondo la quale:
"Nel caso in cui il danneggiato da reato agisca dinanzi al giudice civile per il risarcimento del danno morale e di quello biologico e, successivamente, si costituisca parte civile nel processo penale chiedendo il risarcimento dei soli danni patrimoniali, il giudizio civile non va sospeso, in quanto il principio di autonomia e di separazione del giudizio civile da quello penale, posto dall’art. 75 c.p.p., comporta che, qualora un medesimo fatto illecito produca diversi tipi di danno, il danneggiato possa pretendere il risarcimento di ciascuno di essi separatamente dagli altri, agendo in sede civile per un tipo e poi costituendosi parte civile per l’altro (Cass. Civ. Sez. 3 n. 05224 del 2006; si veda anche Cass. Civ. Sez. 1, n. 01812 del 2005 Rv 579292; Cass. Civ. Sez. Lav. N. 14975 del 2004 Rv 575196; Cass. Civ. Sez. L, n. 03753 del 2002).
L’assunto secondo il quale T.V. sarebbe priva della legittimazione a costituirsi parte civile muove dal presupposto che ella non compare come promissoria acquirente. Vale a dire riconduce la legittimazione alla sola posizione della persona offesa, senza tener conto che l’art. 74 c.p.p. l’estende a qualsiasi soggetto "al quale il reato ha recato danno". La sentenza impugnata ha individuato tale posizione di danneggiata dal reato nella constatazione che ella provvide ai versamento di insorto parti a metà della caparra tramite assegno bancario a sua firma.
2. Il secondo motivo di ricorso:
2.1. E’ inammissibile per la parte in cui critica la sentenza impugnata ha relazionato sul contenuto della pronuncia del Tribunale in ordine all’assegnazione, a titolo di provvisionale, di somme in favore della parti civili: la Corte di appello non era tenuta ad indicare i criteri di liquidazione della provvisionale, perchè tale punto della decisione del primo giudice non era stato oggetto di impugnazione;
2.2. è inammissibile per genericità per la parte in cui denuncia mancanza di motivazione per non esser stati indicati i criteri seguiti nella determinazione delle spese in relazione ai minimi e ai massimi previsti dalla tariffa forense con riguardo alla specifica attività svolta dal difensore, per non avere il ricorso spiegato quali criteri di liquidazione sarebbero stati violati, stante l’importo, estremamente contenuto, liquidato.
3. Il terzo motivo di ricorso che denuncia mancanza di motivazione e violazione dell’art. 123 c.p.p., comma 3 è inammissibile, perchè al fine di criticare la sentenza impugnata in relazione alla motivazione adottata per giustificare il convincimento di responsabilità della ricorrente, sollecita una diversa valutazione del materiale probatorio già esaminato dalla Corte territoriale (attraverso considerazioni attinenti all’affermata mancanza di diligenza delle persone offese e alla asserita mancanza di dolo per avere l’imputata fatto affidamento sul rilascio della procura da parte dell’avente diritto) e quindi un ulteriore non consentito giudizio di merito.
L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostenere il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.
Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello della "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30.4/2.7.97 n. 6402, ric. Dessimone e altri; Cass. S.U. 24.9-10.12.2003 n. 47289, ric. Petrella).
Manifestamente infondato è il ricorso nella parte in cui, infine, critica la sentenza impugnata relativamente alla motivazione adottata per giustificare il convincimento di adeguatezza della pena quantificata dal primo giudice, perchè le ragioni per le quali il giudice si è discostato dal minimo edittale sono state congruamente esplicitate mediante il riferimento alla gravità del fatto e all’intensità del dolo.
Non sussistono infine ragioni per rimettere il ricorso alle Sezioni Unite, non sussistendo nel caso il contrasto giurisprudenziale invocato.
4. Il ricorso è inammissibile e la ricorrente deve in conseguenza essere condannata al pagamento delle spese processuali e di somma in favore della Cassa delle Ammende di somma che, in ragione dei profili di cola rinvenibili nelle rilevate cause di inammissibilità, si stima di liquidare in mille/00 Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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