T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 01-06-2011, n. 460

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La C.P. di M.S. e G. Snc con istanza del 9 settembre 2009 chiedeva al sindaco del comune di Alatri la proroga del termine dell’autorizzazione n. 2836 del 28 febbraio 1991 per un periodo di 2014 giorni, ovvero per 5 anni e 189 giorni, corrispondente al periodo di illegittima chiusura, spostando l’ultimazione dei lavori dal 15 dicembre 2009 al 22 maggio 2015. Infatti, dopo una lunga vicenda giudiziaria che vedeva coinvolta la cava in provvedimenti di sospensione adottati dal comune e poi annullati in sede giurisdizionale amministrativa, la ricorrente domandava il ripristino della situazione quo ante attraverso la proroga dei lavori di coltivazione della cava e dell’attività estrattiva. In particolare a causa della illegittima revoca dell’autorizzazione poi annullata dal Consiglio di Stato, l’attività estrattiva era rimasta sospesa dal 2 dicembre 1991 al 10 giugno 1997, appunto per 2014 giorni.

L’amministrazione, tuttavia, adottava i provvedimenti qui impugnati con cui si disponeva la sospensione dell’attività estrattiva con intimazione alla ditta ricorrente, titolare dell’autorizzazione, di adempiere agli obblighi previsti nelle relative autorizzazione e convenzione entro 180 giorni dalla notifica, salvo, in difetto, la revoca dell’autorizzazione. Con ordinanza collegiale R.O. 370/2010 veniva respinta l’istanza cautelare di sospensiva poiché l’attività di escavazione ha illegittimamente superato il perimetro autorizzato. Con ordinanza R.O. 5385/2010 il Consiglio di Stato ha annullato l’ordinanza cautelare di questo tribunale accogliendo l’istanza cautelare di primo grado. Nella pubblica udienza odierna la causa è trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso deduce la ricorrente incompetenza del geometra che ha sottoscritto gli atti impugnati in qualità di responsabile del servizio urbanistica del comune, per presunta scadenza dell’incarico e carenza di potere dell’ufficio nella materia delle cave. La censura va respinta. Infatti il geometra Bruno Tagliaferri, secondo quanto risulta agli atti di causa, all’epoca dell’adozione del provvedimento principale qui impugnato, ossia del provvedimento prot. n. 22198 del 14 giugno 2010, risultava essere l’effettivo responsabile del servizio urbanistica, edilizia pubblica, controllo edilizio, in virtù del decreto sindacale 25/2009 che gli attribuiva tale potere per la durata di un anno a decorrere dal 5 agosto 2009. Peraltro detto incarico gli è stato rinnovato con decreto del sindaco 20/2010 del 30 agosto del 2010, con durata fino al 31 dicembre 2010. Con riguardo poi alla presunta incompetenza del responsabile comunale del servizio urbanistica a trattare la materia delle cave, deve rilevarsi che nessuna incongruenza né illogicità né violazione di legge può rinvenirsi nell’attribuzione, peraltro largamente discrezionale, della materia cave alla gestione dell’ufficio urbanistica.

Deduce il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, eccesso di potere per sviamento e falsità della causa; violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 118 Cost.; art. 45 R.D. 1443/1927; artt. 826, 820 e 987 c.c.; artt.1, 2 e 6 L.R. Lazio 17/2004. In disparte le pregresse vicende giudiziarie, che in questa sede non possono rivestire alcun rilievo, ed in disparte la circostanza che la ricorrente fosse autorizzata all’attività estrattiva ex L.R. 1/1980, elemento non messo in discussione nemmeno nel provvedimento impugnato, risultano del tutto inconsistenti le censure mosse con il secondo motivo di ricorso in quanto il comune di Alatri, con il provvedimento impugnato, non mira a colpire l’ampliamento dell’attività estrattiva ovvero lo sviluppo dell’occupazione e gli altri interessi pubblicistici di rilievo costituzionale. Mira in via principale a reprimere l’attività di escavazione oltre il perimetro autorizzato di cui all’ autorizzazione protocollo 2836 del 28 febbraio 1991 e convenzione repertorio 22 del 15 dicembre 1989.

Infatti, il Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di Alatri ha adottato il provvedimento prot. 22198 del 14/6/2010 di sospensione dell’attività estrattiva "sia perché codesta Società esercente non ha mai provveduto a comunicare lo stato di avanzamento dei lavori di coltivazione…e sia perché è stato accertato…lo sconfinamento (zona Nord) del perimetro di escavazione…", come testualmente scritto dal medesimo. Questo consente di introdurre il quarto motivo di ricorso, che viene qui anticipatamente in rilievo e con cui la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 16 e 24 L.R. Lazio 17/2004. In buona sostanza, secondo la ricorrente, le citate disposizioni di legge, poste a fondamento del provvedimento impugnato, non sarebbero applicabili alla cava di calcare in esame in quanto presupporrebbero una cava munita di autorizzazione rilasciata a regime che non ricorre nella fattispecie in discussione, non essendo detta attività autorizzata ai sensi della L.R. L. 17/2004, bensì ai sensi della L.R. L. 1/1980. Ritiene il collegio di non poter accogliere le censure sollevate. Le norme trovano senz’altro applicazione alla cava in esame, ancorché autorizzata ai sensi della legge regionale precedente. Non sarebbe infatti minimamente ipotizzabile la sottrazione delle cave – autorizzate secondo il regime precedente – alle disposizioni di legge in vigore al momento dell’effettuazione dei dovuti e necessari controlli ad opera della pubblica amministrazione, posto che, altrimenti, ciò determinerebbe la ultrattività di una legge oramai non più in vigore. Senz’altro le disposizioni di legge vanno interpretate e adattate alla fattispecie in esame, ancorché, non vi siano grossi margini applicativi nell’ipotesi che qui è venuta in rilievo, ossia lo sconfinamento del perimetro di escavazione. Che questo sconfinamento sia poi particolarmente rilevante risulta dai rilievi tecnici effettuati dall’amministrazione e prodotti in atti. Trovano pertanto diretta applicazione sia l’articolo 16 comma 4 lett. B) L.R. Lazio ove è stabilito che "b) ove risulti la mancata esecuzione o la difformità rilevante delle opere realizzate rispetto a quelle previste in convenzione, dispone la sospensione dell’attività estrattiva ai sensi dell’articolo 24 ed intima al titolare dell’autorizzazione di adempiere ai relativi obblighi entro un congruo termine, decorso il quale provvede d’ufficio facendo fronte alle spese con la quota parte della somma oggetto della garanzia fideiussoria corrispondente alle opere eseguite"; sia l’articolo 24 L.R.Lazio ove è stabilito che "1. Il comune, nel caso di inosservanza delle norme della presente legge, delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione di cui all’articolo 13, comma 2 e degli obblighi oggetto della convenzione di cui all’articolo 14, comma 1, ivi compresa l’ipotesi prevista all’articolo 16, comma 4, lettera b), dispone la sospensione dell’attività estrattiva, dandone immediata comunicazione al titolare dell’autorizzazione, alla struttura regionale competente in materia di attività estrattive ed all’autorità giudiziaria".

Con il terzo motivo di ricorso deduce la ricorrente eccesso di potere per incongruenza e perplessità e per difetto di motivazione e disparità di trattamento, con violazione dell’art. 3 L. 241/1990. Anche questa censura va respinta in quanto il provvedimento adottato non è stato emesso in risposta alla richiesta di proroga dell’autorizzazione in corso bensì "sia perché codesta Società esercente non ha mai provveduto a comunicare lo stato di avanzamento dei lavori di coltivazione…e sia perché è stato accertato…lo sconfinamento (zona Nord) del perimetro di escavazione…". La motivazione appare più che congrua ed argomentata. Nè ha alcun rilievo la disparità di trattamento rispetto a situazioni diverse e comunque in questa sede irrilevanti in quanto non oggetto di approfondita trattazione nemmeno in sede di ricorso.

Con il quinto motivo di ricorso deduce la ricorrente eccesso di potere per il illogicità, difetto o irrilevanza dei presupposti, incongruenza, perplessità, contraddittorietà, carenza o insufficienza di motivazione, violazione dell’articolo 3 L. 241/1990; violazione e falsa applicazione degli articoli 15 comma quarto e 16 comma quarto legge regionale Lazio 17/2004. In buona sostanza lamenta la ricorrente che l’esame personale da parte del funzionario comunale delle c.d. ortofoto degli anni precedenti, come di quella del 2010, sarebbe inutile ed irrilevante, poiché la c.d "verifica" delle cave, come espressamente previsto dall’art. 16 L.R. n. 17/2004, va effettuata collegialmente e nel rispetto del contraddittorio con il titolare della autorizzazione, ciò che qui non è avvenuto, con irrimediabile violazione di detta norma. Rileva inoltre che mai, in precedenza, il Comune di Alatri, aveva contestato le perizie giurate che la C.M. e che la C.P. di M.S. & G. Snc ha annualmente inviato alla Regione ed al Comune di Alatri con l’indicazione anche del materiale estratto.

Ritiene il collegio di non poter accogliere le predette censure. Infatti, il Comune ha contestato tali perizie giurate in quanto non riferivano – come previsto dall’art. 16/2 L.R. Lazio 17/2004 – sul c.d. "stato di avanzamento". L’art. 16, 2° comma, L.R. 6/12/2004 n. 17 stabilisce che, "ai fini di cui al comma 1, – ossia ai fini della verifica parziale e finale – il titolare dell’autorizzazione comunica al comune ed alla struttura regionale competente in materia di attività estrattiva lo stato di avanzamento…dei lavori di coltivazione.", circostanza che non risulta avvenuta nella fattispecie in esame in quanto le perizie giurate presentate dalla ricorrente si riferiscono unicamente al volume ed alla tipologia del materiale estratto, ai fini del computo del contributo ambientale e non, evidentemente, allo stato di avanzamento dei lavori di coltivazione.

Nella motivazione del provvedimento qui impugnato viene in rilievo l’insufficienza delle perizie giurate presentate per la C.P. di M.S. & G. Snc in relazione all’obbligo previsto dalla legge in capo ai titolari delle cave di comunicare periodicamente lo stato di avanzamento. La ricorrente, sollevando censure in ordine al mancato rispetto della procedura di verifica, così come procedimentalizzata, non coglie nel segno, in quanto l’amministrazione, ancor prima di procedere alla verifica parziale o finale, ha rilevato – come ben evidenziato nel provvedimento impugnato – la mancata o insufficiente presentazione dello stato di avanzamento da parte della ricorrente che ha poi sanzionato con la sospensione dell’attività. Ciò ha impedito al comune la verifica parziale triennale di cui all’art. 16 co. 1. Del resto la ricorrente non riesce a confutare né il rilievo relativo alla insufficienza delle perizie presentate né i rilievi relativi allo sconfinamento verificato attraverso le orto foto, entrambi oggetto di motivazione nell’impugnato provvedimento. In altre parole, non prova il contrario. Del tutto inconferente è poi la censura in ordine alla incongruità della sanzione della sospensione dell’attività estrattiva sull’intera cava anziché di quella parte di attività che inerisce il lato nord della cava, ove è avvenuto lo sconfinamento. Infatti, guardando le orto foto depositate agli atti, risulta di tutta evidenza che lo sconfinamento dell’attività estrattiva è di dimensioni elevate e progressive, così rilevanti da giustificare la misura.

Da ultimo la ricorrente censura il provvedimento impugnato per asserita genericità e incomprensibilità dell’oggetto dell’intimazione. Anche quest’ultima censura è infondata, posto che risultano chiare le mancanze e le violazioni della autorizzazione e della convenzione, nonché di legge che, di conseguenza, l’intimazione non può che riguardare l’esatto adempimento di tutte le violazione enunciate, ossia la comunicazione dello stato di avanzamento dei lavori di coltivazione e il ripristino dello sconfinamento (zona Nord) del perimetro di escavazione.

Non possono essere qui esaminate le ulteriori censure, irritualmente sollevate dalla ricorrente con memorie non notificate alla controparte e non idonee ad introdurre ulteriori motivi di ricorso, anche per la loro intempestività. Si riferisce, in particolare, il collegio alle censure relative al difetto di istruttoria e di motivazione sulla rilevanza dell’infrazione contestata.

Assorbite le altre censure, ex art. 21 octies l. 241/90, non idonee a inficiare il provvedimento impugnato, il collegio ritiene di dover respingere il ricorso in quanto infondato. Va conseguentemente respinta la domanda risarcitoria. Le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico della ricorrente e a favore del comune di Alatri e liquidate in Euro 1500.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge in quanto infondato. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’amministrazione resistente che liquida in Euro 1500.

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