Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-05-2011) 01-06-2011, n. 21833 Sentenza di non luogo a procedere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

dell’imputato, avv. Cipollone Giovanni, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1- Con sentenza in data 25.5/3.6.2010 il gip del tribunale di Roma, in camera di consiglio, dichiarava non doversi procedere nei confronti di F.C. in ordine al reato di appropriazione indebita, così qualificato il fatto di reato sottoposto a suo giudizio ed inquadrato dal P.M. nell’archetipo normativo corrispondente al delitto di estorsione, perchè il fatto non sussiste. In breve il fatto come ritenuto nella decisione:

l’imputato, incaricato dei lavori di ristrutturazione di un edificio dalla Energy Productis s.r.l., alla fine dei lavori, contestati dalla controparte, tratteneva beni di proprietà dell’ente ponendo come condizione per la loro restituzione due adempimenti della società appaltante i lavori: l’erogazione di somme ancora,in tesi, dovute e il rilascio di una liberatoria con rinuncia ad ogni azione per danni.

Il gip escludeva la possibilità di configurare nella condotta posta in essere dall’indagato il delitto di tentata estorsione, come contestato dal P.M., per difetto di una illecita intimidazione sotto il profilo oggettivo e soggettivo, per pretendere il F. il corrispettivo del suo lavoro e per voler solo definire il suo controverso rapporto di lavoro. Ma nemmeno il giudice monocratico ravvisava il possibile reato di appropriazione nei fatti di causa, per mancare l’interversione del possesso per la disponibilità dell’imputato di restituire le cose trattenute – porte vetrate, porte in legno ed altri infissi – ove fossero soddisfatte le proprie pretese economiche.

2- Ricorre avverso la sentenza il P.M. denunciando erronea applicazione degli arti, nell’ordine, artt. 425 e 521 c.p.p., nonchè manifesta illogicità e omessa motivazione. Violazione dell’art. 425 c.p.p. per l’incompatibilità del discorso giustificativo giudiziale, del tutto impegnato funditus nel merito, con la natura del contesto processuale vocato a verificare,e solo, l’utilità o l’inutilità del dibattimento nella cui sede si sarebbe dovuto affrontare il merito dell’imputazione. Violazione dell’art. 521 c.p.p. perchè comunque il giudice avrebbe potuto e dovuto qualificare il fatto, ai sensi dell’art. 392 c.p., come esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Omessa motivazione e/o manifesta sua illogicità, per avere ingiustificatamente escluso la consapevole valenza intimidatrice della condotta dell’imputato, da un lato, per aver ingiustificatamente tratto da una premessa – la mancanza della specie di una interversio possessionis – non solo l’esclusione del delitto di appropriazione indebitala anche la possibile attualità del delitto di tentata estorsione.

3- Il ricorso non è fondato.

Nessun dubbio può profilarsi sul fatto che la sentenza ex art. 425 c.p.p., sia una decisione, come rileva il P.M., ricorrente, che ha natura processuale e non di merito. Il che si traduce nell’affermazione, propria del giudice costituzionale (C.cost. sent. n. 71/1996), secondo cui compito del giudice è quello di delibare se risulti o no necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento, senza compiere apprezzamenti di merito che si sviluppino, secondo un canone, sia pure prognostico, di colpevolezza o di innocenza. Ne consegue che il controllo di legittimità della sentenza di non luogo a procedere, per il parametro del vizio di motivazione e dell’omessa assunzione di una prova decisiva, non può comunque avere ad oggetto gli elementi acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini e non può risolversi nella verifica del puntuale rispetto dei criteri di valutazione della prova di cui all’art. 192 c.p.p., perchè la sentenza di non luogo a procedere esprime una valutazione prognostica negativa circa l’eventuale condanna in giudizio (Sez. 2, 14.5/22.7.2010, Orsini e a., Rv247860; Sez. 5, 18.3/21.4.2010, Caradonna e a., Rv 216874).

Ora, nella specie, i fatti di causa sono ben delineati ed in ordine ad essi non si vede, nè il P.M., al di là di deduzione estremamente generiche, è stato in grado individuarle, quali possano essere le circostanze ulteriori, aggiuntive che possono infirmare la potenzialità di una decisione processuale funzionale a evidenziare l’inutilità del dibattimento: in un contestato rapporto contrattuale di dare ed avere, l’appaltatore pretende il dovuto e trattiene cose dell’appaltante da utilizzare nei lavori commissionati già in suo pregresso possesso, condizionando la loro restituzione al pagamento delle sue spettanze.

La predetta fattispecie, per nulla contestata nei suoi elementi caratterizzanti, sfugge al tentativo di inquadrarla nei due archetipi normativi prospettati: del delitto di tentata estorsione c/o del delitto di appropriazione indebita per l’assorbente rilievo che l’ipotetico oggetto materiale della azione era già in possesso,e legittimamente, dell’imputato che se ne doveva servire per i suoi lavori di ristrutturazione. La condotta contestata si colloca quindi in una dimensione cronologica successiva all’acquisizione del lecito possesso e si traduce nel trattenimento delle cose malgrado la richiesta di restituzione del proprietario. Ne consegue che non è configurarle alcuna costrizione a l’are od omettere ai danni del proprietario e nessuna azione di appropriazione del già possessore legittimo, in origine, delle cose.

Peraltro l’imputato, come correttamente rileva il P.M., non ha alcun diritto di ritenzione sulle cose dell’appaltante, per essere quel diritto consentito sì, ma soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge in vista di speciali ragioni che giustificano la tutela del creditore. Ma tutto ciò posto non è possibile condividere l’ulteriore prospettazione del P.M. ricorrente nella parte in cui ravvisa la possibilità di configurare nel caso di specie il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, perchè non è dato ravvisare nè la violenza sulle persone nè tanto meno la violenza sulle cose. In proposito deve in questa sede ribadirsi che il delitto di ragion fattasi mediante violenza sulle cose non è configurabile se non in relazione a cose possedute da altri e non anche su quelle nel possesso dell’autore della condotta (Sez. 6, 10.11.2010/13.1.2011,Raspanti, Rv 249194).
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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