Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-05-2011) 01-06-2011, n. 21821

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

n persona del Dott. SPINACI Sante, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

La Corte di appello di Bari, sezione minorile, con sentenza in data 23/4/2010, confermava la condanna per tentata rapina nei confronti di G.G., dichiarando non doversi procedere nei confronti del medesimo, per i reati di furto aggravato continuato, così riqualificata l’originario imputazione, per essere i reati estinti per prescrizione, confermando la pena inflitta minata dal Tribunale.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) erronea applicazione della regola di valutazione probatoria del contesto indiziario e difetto di motivazione per travisamento della prova non avendo la Corte riconosciuta la desistenza volontaria dall’azione;

b) mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

1) La desistenza volontaria dall’azione prevista dall’art. 56 c.p., comma 3, presuppone la costanza della possibilità di consumazione del delitto e il comportamento dell’agente non può ritenersi volontario allorquando la desistenza dalla condotta criminosa sia imposta dall’intervento di fattori estranei che rendono irrealizzabile la prosecuzione dell’opera intrapresa. Occorre, quindi, che la determinazione del soggetto agente sia libera e non coartata e che la prevalenza dei motivi di desistenza su quelli di persistenza nella condotta criminosa si sia verificata al di fuori delle cause che abbiano impedito il proseguimento dell’azione.

Questa Corte ha già avuto modo di osservare che l’impossibilità di portare a termine la condotta delittuosa può consistere, sul terreno oggettivo, nella non realizzabilità fisico – materiale della consumazione e, sul piano soggettivo, anche soltanto nella non realizzabilità erroneamente ritenuta dal soggetto agente (in quest’ultimo caso una desistenza sarebbe di per sè possibile, ma manca la volontarietà).

Ne consegue che, qualora tale possibilità non vi sia più, o per la non realizzabilità fisico-materiale della consumazione stessa oppure, sul piano soggettivo, anche soltanto per una non realizzabilità erroneamente ritenuta dal soggetto agente, ricorre, sussistendone i requisiti, l’ipotesi del delitto tentato. (Sez. 1^, Sentenza n. 9015 del 04/02/2009 Ud. (dep. 27/02/2009) Rv. 242877).

Nella specie è stata esclusa dalla Corte territoriale la configurabilità di una desistenza volontaria, sul rilievo che la determinazione di interrompere l’azione delittuosa non è stata frutto di una volontaria iniziativa del G., ma ha subito l’incidenza di fattori esterni, avendo ricevuto, nell’immediatezza della condotta criminosa, una telefonata da P.M. (che il correo F.A. ha ammesso essere suo conoscente) da una cella telefonica sita nella prossimità della gioielleria, a dimostrazione che l’utente era lì vicino e potevo aver visto l’operazione di appostamento della Polizia.

La valutazione della Corte territoriale che ha ritenuto che la ragione effettiva della decisione di abbandonare l’impresa criminosa fosse dovuta a tale telefonata che ha reso palese l’impossibilità di portare a termine la rapina con successo, appare logica e coerente e lascia fondatamente ritenere che l’imputato non avesse volontariamente abbandonato l’azione, ma vi fosse stato costretto dalla circostanze evidenziate, facendo venir meno la convinzione di poter condurre a termine l’azione delittuosa, ritenendo non verosimile che l’imputato avesse deciso di desistere dal compiere la rapina per la gravità del reato, in quanto era già aduso a delinquere e aveva già commesso reati dello stesso tipo.

Le censure del ricorrente si rivelano, peraltro, afferenti a valutazione riservate al Giudice del merito per quanto attiene alla ricostruzione dei fatti storici e all’interpretazione del materiale probatorio, mentre, sotto il profilo della violazione di legge, risultano infondate, avendo la Corte territoriale fatto corretta applicazione del disposto dell’art. 56 c.p., comma 3. 2) Inoltre, la Corte territoriale – con motivazione logica e non contraddittoria – ha spiegato perchè il ricorrente, gravato da precedenti penali, non è meritevole delle attenuanti generiche.

Giudizio negativo sulla personalità, che porta la Corte a negare la concessione delle attenuanti generiche e a ritenere congrua la pena inflitta in primo grado.

Questa Suprema Corte ha, d’altronde, più volte affermato che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis c.p., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. (Si veda ad esempio Sez. 2^, Sentenza n. 2285 del 11/10/2004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv. 230691).

Va, inoltre, rammentato che, ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 190, art. 52 in caso di diffusione della sentenza vanno omesse le generalità e gli altri dati identificativi di tutti i minorenni.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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