Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-05-2011) 01-06-2011, n. 21819 Contestazione dell’accusa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Bari, sezione distaccata di Bitonto, con sentenza in data 22/4/2005, dichiarava T.M. colpevole del reato di appropriazione indebita in danno dell’agenzia di Bitonto della Reale Mutua Assicurazioni, avendo omesso di versare a G.M. T., titolare dell’agenzia, una parte dei premi versati dagli assicurati, e lo condannava, concesse le attenuanti generiche, alla pena di mesi quattro di reclusione e Euro 400,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile liquidati della misura di Euro 35.000,00.

La Corte di appello di Bari, con sentenza in data 24 maggio 2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, impugnata dell’imputato, concedeva la sospensione condizionale della pena e rideterminava il danno liquidato in favore della parte civile in Euro 24.000,00.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) erronea applicazione della legge penale per difetto di correlazione tra accusa e sentenza, avendo il Tribunale illegittimamente contestato l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11, ritenendo il reato perseguibile d’ufficio, senza neanche specificare a quale delle diverse fattispecie di condotta si riferisca l’aggravante contestata, ritenendo anche sussistente la violazione dell’art. 429 c.p.p., lett. c);

b) violazione del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio, erronea applicazione della legge penale per mancata osservanza delle disposizioni processuali caratterizzanti l’assunzione della prova, in particolare violazione di legge per la formulazione di domande suggestive da parte del giudice che hanno di fatto aiutato la parte offesa a formulare risposte più vicine alla ipotesi accusatoria;

c) erronea applicazione dell’art. 646 c.p. in riferimento all’esistenza dell’elemento soggettivo della appropriazione indebita, illogicità della motivazione sul punto e mancanza di motivazione in ordine all’appropriazione indebita di stampati, rilevando come in ogni caso la somma richiesta dalla parte offesa non poteva considerarsi esigibile e liquida;

d) erronea applicazione della legge penale, illogicità della motivazione per il mancato riconoscimento dell’assenza dell’elemento psicologico del reato di appropriazione indebita, avendo l’imputato richiesto ripetutamente alla G. di effettuare i conteggi relativi al dare-avere tra le parti, mancando la volontà di appropriarsi di somme altrui. Chiedeva anche la sospensione dell’esecuzione della sentenza con riferimento alla condanna civile per grave e irreparabile danno del ricorrente.

Il difensore dell’imputato con memoria difensiva e motivi nuovi ribadiva la mancata correlazione tra accusa e sentenza e la mancata contestazione nel capo di imputazione dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11, ribadendo l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato di appropriazione indebita, chiedendo l’annullamento della sentenza di condanna quanto agli effetti civili per la sussistenza di un credito maggiore da parte dell’imputato nei confronti della parte civile costituita.

Il difensore della parte civile G.M.T., depositava due memorie difensive contestando, con la prima, i motivi di appello e con la seconda tutte le ulteriori argomentazioni e motivi nuovi dedotti.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

1) Con riferimento al primo motivo di ricorso, in tema di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, le Sezioni unite di questa Corte hanno osservato che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (SS.UU. rv 205619).

Il principio, risalente ad oltre un decennio fa, non risulta, nella sua portata complessiva, posto in discussione dalla giurisprudenza susseguente essendosi sottolineato, piuttosto, che l’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato: la nozione strutturale di "fatto" contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del Pubblico Ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (rv 236099; conf. Rv 229756; rv 232423).

Ne consegue che quando nel capo di imputazione originario siano – come nel caso di specie – contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizione di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza, non sussiste violazione del principio di doverosa correlazione tra accusa e sentenza.

Nella fattispecie in esame non si ravvisa, infatti, alcuna violazione del diritto di difesa, riguardo alla ritenuta sussistenza d’una circostanza aggravante, in quanto nella contestazione, considerata nella sua interezza, erano contenuti gli elementi di fatto della circostanza stessa, essendo stato contestato all’imputato la qualità di sub-agente della Reale Mutua Assicurazioni, e avendo avuto, comunque, l’imputato precisa conoscenza degli elementi di fatto integranti la circostanza aggravante, così da essere posto nella condizione di esercitare al riguardo il suo diritto di difesa, (cfr.

Sez. 6^, Sentenza n. 1860 del 13/10/1989 Ud. (dep. 10/02/1990) Rv.

183286).

Pur non avendo espressamente indicato il Tribunale a quale delle situazioni menzionate nell’art. 61 c.p. si riferisca la contestazione dell’aggravante, con riferimento alla contestazione e alla qualità dell’imputato la stessa deve ritenersi riferita all’abuso di relazioni d’ufficio, senza che tale omissione possa, comunque, ritenere violato il diritto di difesa dell’imputato.

2) Anche il secondo motivo va disatteso.

Non determina la inutilizzabilità o la nullità della testimonianza l’irrituale intervento del giudice nella fase dell’esame testimoniale prima del controesame ad opera delle parti.

Una tale sanzione non è prevista dall’art. 506 c.p.p. nè da altra norma di legge e potrebbe essere prevista immanente nell’ordinamento soltanto ove incida sui diritti delle parti o sulla genuinità delle risposte, circostanze escluse nella specie avendo la Corte di merito rilevato come la inosservanza delle regole previste nell’assunzione di testimoni abbia determinato solo una maggiore vivacità del confronto dibattimentale e si sia sostanziata solo nella interferenza del giudice nella sequenza stabilita dall’art. 498 c.p.p..

3) Gli ulteriori motivi di ricorso, esaminati congiuntamente essendo connessi tra loro logicamente, sono inammissibili perchè propongono censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4^ sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

La Corte di Appello di Bari, invero, con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria, evidenzia, in base alle dichiarazioni della parte offesa, documentalmente riscontrata dal giornale di cassa della sub – agenzia (la cui autenticità è stata riconosciuta dal teste B.), come, a causa delle irregolarità riscontrate e del mancato versamento dei saldi, l’imputato aveva maturato un debito, fino all’agosto del 2003, di Euro 23.000,00 per premi riscossi e non interamente versati, circostanza peraltro, confermata nell’atto di citazione in data 11/4/2005, con il quale il prevenuto conveniva in giudizio la G. e in cui si dava atto di un credito dell’agenzia di Euro 23.000,00 relativamente ai premi non versati, credito che la Corte territoriale coerentemente ha ritenuto liquido ed esigibile, essendo stato anche documentatamente accertato, oltre che riconosciuto dal debitore a favore della parte civile.

L’avere trattenuto per alcuni anni i premi pagati degli assicurati, in violazione dell’obbligo di versarli all’agenzia con cadenza quindicinale configura il dolo del reato contestato, avendo la Corte territoriale disatteso l’asserita buona fede dell’imputato che sarebbe stato indotto a non versare i premi nell’attesa di conteggi richiesti, avendo trattenuto il denaro per oltre tre anni senza avanzare alcuna lamentela in ordine ai rapporti con l’agente, salvo poi richiedere i conteggi al momento della risoluzione del rapporto.

Gli argomenti proposti dal ricorrente costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.

Con riferimento alla richiesta di annullamento della sentenza di condanna quanto agli effetti civili per l’asserita sussistenza di un credito maggiore da parte dell’imputato nei confronti della parte civile costituita, l’imputato da atto di avere citato in sede civile la persona offesa per ottenere il pagamento della somma di Euro 53.633,69, senza, tuttavia, che sussista, allo stato, prova alcuna della effettiva esistenza del preteso credito che dovrà essere oggetto di accertamento giudiziale.

Anche l’eccezione di prescrizione va disattesa.

Il delitto di appropriazione indebita si prescrive, trattandosi di pena inferiore ai cinque anni, sia con la vecchia che nuova normativa, in complessivi anni 7, mesi sei di reclusioni.

Anche a voler considerare, in base alla prospettazione difensiva, il dies a quo del 1.8.2003, il reato non era prescritto quando è stata pronunziata la sentenza impugnata (24 maggio 2010), data alla quale bisogna fare riferimento essendo stato dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Inammissibilità che non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. maturate, nel caso di specie, successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso. (Si veda fra le tante: Sez. 4^, Sentenza n. 18641 del 20/01/2004 Ud. – dep. 22/04/2004 – Rv. 228349).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Alla declaratoria di inammissibilità dell’appello consegue la rifusione delle spese a favore della parte civile costituita liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende, nonchè alla rifusione in favore della parte civile G.M.T. delle spese del grado che liquida in complessive Euro 3.500,00, oltre spese generali, Iva e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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