Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-05-2011) 01-06-2011, n. 21814 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1- Con sentenza 14.5/12.7.2010 la corte di appello di Palermo, in parziale riforma della pregressa decisione del tribunale della stessa città – sezione distaccata di Bagheria – nei confronti di T. R. – qualificava il fatto di reato, in difformità dell’originaria contestazione ex art. 640 c.p., come insolvenza fraudolenta mentre confermava la pena irrogata dal primo giudice di mesi sei di reclusione, nonchè le statuizioni a favore della parte civile costituita.

In breve il fatto come ricostruito dai giudici di secondo grado:

l’imputato, T.R., in compagnia di un parentesi recava presso la società (OMISSIS) s.r.l. e ed acquistava in due soluzioni varie attrezzature, pagando con assegni, il primo dei quali da mettere all’incasso dopo una settimana e giustificando l’acquisto per la necessità di arredare una panineria, rivelatasi successivamente inesistenti.

Gli assegni furono protestati: da qui l’ingiusto vantaggio, l’altrui danno, la dazione patrimoniale in seguito al ricevimento della merce.

2- Avverso la decisione ricorre l’imputato prospettando ben sette motivi di ricorso in relazione ai vizi come previsti dall’art. 606 c.p.p., lett. b) c) ed e):

1) violazione dell’art. 522 c.p.p. per avere il primo giudice innovato il fatto, qualificandolo da truffa ad insolvenza fraudolenta, giusta la contestazione oggetto del rinvio a giudizio, con la conseguente lesione del diritto di difesa per non essersi potuto difendere l’imputato da circostanze costitutive del fatto del tutto nuove, vista la nuova prospettazione qualificatoria, quali la dissimulazione del proprio stato di insolvenza, al momento della assunzione della obbligazione;

2) violazione degli artt. 178 e 179 codice di rito per essere stato notificato l’estratto contumaciale della sentenza di primo grado a mani della suocera ed in un domicilio eletto nel contesto di un procedimento penale altro da quello de qua, con la conseguente nullità assoluta,insanabile, della sentenza di primo grado;

3) violazione della norma penale della truffa per non potersi profilare alcun danno e conseguente profitto rimanendo attuale l’obbligazione del debitore ad adempiere e, comunque per doversi inquadrare la condotta nel diverso archetipo normativo di cui alla L. n. 386 del 1990, art. 2 – mera emissione di assegno a vuoto;

4) violazione della norma penale dell’insolvenza fraudolenta, come ritenuta dal primo giudice, per non aver motivato la sentenza sull’elemento della dissimulazione dello stato di insolvenza sul doppio versante oggettivo e soggettivo;

5) violazione dell’art. 192 c.p.p. nella misura in cui le dichiarazioni della persona offesa, G.C., non sarebbero state sottoposte ad un rigoroso vaglio critico;

6) violazione ancora dell’art. 192 codice di rito per omessa motivazione sul punto relativo alla non concessione delle attenuanti generiche ed alla entità della pena;

7) erronea applicazione infine dell’art. 185 c.p. nella misura in cui la sentenza avrebbe confermato le statuizioni civili contenute nella sentenza di primo grado, malgrado che la parte civile in sede di giudizio di appello non avesse provveduto alla presentazione delle conclusioni.

3- Non sono fondati i motivi di ricorso.

Non il primo, perchè in tanto è possibile ravvisare la difformità tra contestazione dell’imputazione e decisione in quanto il fatto, nella sua realtà fenomenica e nella sua irripetibilità individualizzante, sia stato alterato tra il suo passaggio postulativi a quello decisionale in modo tale da ledere il diritto di difesa condizionato dalla conoscenza o conoscibilità dell’accusa da cui difendersi.

E nella specie, al di là dell’archetipo normativo entro il quale incapsulare la realtà fenomenica, questa è descritta attraverso le stesse note discorsive e nel contesto di contestazione e nel contesto di decisione.

Non il secondo, in ordine al quale è sufficiente richiamare il pacifico indirizzo giurisprudenziale alla cui stregua la nullità della notifica dell’estratto della sentenza contumaciale determina una nullità generale a regime intermedio dell’atto, da ritenersi sanata laddove l’imputato abbia, impugnando la sentenza di merito, censurato il contenuto della stessa (v., per tutte, Sez. 3^, 15.11.2007/7.1.2008, Hu, Rv. 238606; Sez. 1^, 30.5/14.6.2006, Hrustic, Rv 234286: Sez. 5^, 10.2/7.3.2005, Bozzetti, Rv. 231588;

Sez. 3^, 10.6./2.7.1994, Franchi, Rv 198389).

Non il terzo, non potendosi certo contestare la sussistenza dell’ingiusto profitto e del danno, che esulano dalla fattispecie di cui alla L. n. 386 del 1990, art. 2 a fronte della traditio della cosa e di un mero obbligo già in origine vocato ad essere inadempiuto.

Nemmeno il quarto, per arbitrariamente amputare il discorso giustificativo difensivo l’indicazione e la valutazione giudiziale di circostanze proprio quelle costitutive degli artifizi e raggiri, quali la prospettazione di dover acquistare la merce per arredare una panineria esistente solo nella mente truffaldina dell’indagato.

Non ancora, il quinto ed il sesto per tradursi la critica difensiva nel tentativo di indurre il giudice di legittimità a superare il divieto rigoroso di interpretare in modo diverso rispetto a quanto compiuto dal giudice di merito i falli storici posti alla base del dato processuale se non nei limiti della mancanza o manifesta illogicità della motivazione.

Il giudice di merito, nella specie, aveva indicato gli artifizi ed i raggiri posti in essere dall’imputato attraverso la prospettazione della ragione giustificativa della acquisto della merce, come attraverso l’emissione del primo assegno con l’indicazione di metterlo all’incasso in una data successiva all’emissione, prima della quale aveva provveduto ad acquistare, sempre con assegni privi di provvista, altra merce, sfuggendo così alla verifica della persona offesa sulla solvibilità dell’imputato.

Ed ancora il giudice di merito aveva negato la concessione delle attenuanti generiche, come di una pena inferiore a quella inflitta, considerando la personalità ed i precedenti del T..

Infondato, infine, il settimo motivo di ricorso per il fatto che la mancata partecipazione al giudizio di appello della parte civile, per il principio dell’immanenza della costituzione, non può essere interpretata come revoca tacita o presunta di questa.

La disposizione di cui all’art. 82 c.p.p., comma 2 vale, infatti, solo per il processo di primo grado ove, in mancanza delle conclusioni non si forma il "petitum" sul quale il giudice possa pronunziarsi, mentre invece le conclusioni rassegnate in primo grado restano valide in ogni stato e grado del processo (Sez. 2^, 20.5/12.6.2008, Quintile e a. Rv 240616).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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