Cass. pen., sez. II 31-10-2008 (09-10-2008), n. 40822 Alloggio IACP – Occupazione con acquiescenza dell’ente – Rilevanza penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

OSSERVA
1.1. Con sentenza in data 28-10-2003 la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza del Giudice del Tribunale di Napoli, appellata dal P.M., dichiarava I.M. responsabile del reato di invasione abusiva ex artt. 630 e 639 bis c.p. e la condannava alla pena di Euro 100,00 di multa nonchè al pagamento delle spese del doppio grado.
In motivazione la Corte territoriale osservava che era certa l’occupazione dell’appartamento di proprietà pubblica da parte dell’imputata, occupazione che si protraeva da un rilevante periodo di tempo, per cui sussisteva l’elemento materiale della condotta del reato contestato; per altro verso l’istanza di regolarizzazione presentata dalla I. non rilevava ai fini di escludere la responsabilità, confermando, piuttosto, la piena consapevolezza da parte dell’imputata dell’arbitrarietà dell’occupazione; analogamente la circostanza dell’avvenuto pagamento dei canoni all’ente pubblico non faceva venire meno gli estremi dell’illecito penale, trattandosi comunque di occupazione senza titolo; infatti la natura privatistica del rapporto che si instaurava tra l’ente e l’assegnatario non mutava la destinazione pubblica dell’immobile, donde la perseguibilità d’ufficio.
1.2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la I., personalmente, deducendo inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 633 c.p. ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b).
Secondo la ricorrente nel caso di specie non sussisterebbe l’arbitrarietà del comportamento, dal momento che lo I.A.C.P., proprietario dell’immobile, era a conoscenza della situazione sin dal primo momento, così come risulterebbe dal bollettino di pagamento dei canoni.
2. Il ricorso è infondato.
Invero i Giudici del merito – ricostruendo il fatto storico in termini qui indiscutibili (e neppure posti in discussione dalla ricorrente) – hanno posto in evidenza come l’imputata occupasse l’immobile in via permanente da un rilevante periodo di tempo (abitando nello stesso), senza essere fornita del necessario titolo abilitativo. Si tratta di una condotta che presuppone, in via induttiva, l’ingresso arbitrario e che è idonea a concretare quella "usurpazione", che è l’essenza del reato di cui all’art. 633 c.p..
Invero la consolidata giurisprudenza di questa Corte – svalutando il dato letterale, evocante nella sua portata semantica il concetto di violenza fisica o di forza soperchiante per numero di persone – è costante nell’intendere la locuzione "invasione" di cui all’art. 633 c.p. cit. nella sua accezione generica, non comprensiva di modi ostili, rimarcando nel contempo che la qualificazione della condotta in termini così pregnanti evoca un quid pluris rispetto al semplice ingresso arbitrario e denota una turbativa riconducibile ad una sorta di "spoglio funzionale". La norma, infatti, intende reprimere il comportamento anche non violento, ma comunque, arbitrario tipico di chi si introduce nell’altrui immobile contra ius in quanto privo del diritto d’accesso (v. Cass. Sez. 2, sent. 2003/49169 rv 227692). In particolare questa stessa sezione ha affermato il principio – che il Collegio intende qui confermare – secondo cui l’occupazione sine titulo di un alloggio costruito dall’Istituto Autonomo Case Popolari integra gli estremi del reato di cui all’art. 633 cod. pen. anche nel caso in cui l’occupante si sia autodenunciato onde ottenere la regolarizzazione della propria posizione ed abbia corrisposto regolarmente il canone di locazione (Cass. pen., Sez. 2, 25/09/2007, n. 37139).
Ciò in quanto i predetti alloggi sono destinati al perseguimento di finalità di interesse pubblico e devono essere assegnati per legge solo agli aventi diritto, che vanno individuati secondo i criteri prefissati dagli organismi pubblici e da questi verificati attraverso idonee procedure, non derogabili neanche per provvedere a situazioni di estremo bisogno di terzi non aventi diritto. Ne consegue che anche l’acquiescenza di fatto dell’ente proprietario non elide la situazione di arbitrarietà, non potendo gli organi dell’ente sottrarsi al dovere di assegnazione secondo i criteri suindicati;
anche perchè il legislatore penale ha rafforzato la cogenza dell’art. 633 c.p., prevedendo la procedibilità di ufficio se si tratta di immobili pubblici o destinati ad uso pubblico (art. 639 bis c.p.).
In definitiva il ricorso va rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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