T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, Sent., 01-06-2011, n. 1049 Decisione amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso notificato il 19 novembre 2010 e depositato il 13 dicembre seguente, la ricorrente ha impugnato – chiedendone l’annullamento, vinte le spese – il provvedimento in epigrafe avente ad oggetto il mancato accoglimento dell’istanza di autorizzazione all’esercizio dell’attività di ottico. Espone che quest’ultima sarebbe ubicata all’interno del centro commerciale "Forum" di Palermo.

2. Il ricorso si articola in tre motivi di censura con cui si deducono i seguenti vizi:

1) Violazione dell’art. 1, comma 2 della l.r. 9 luglio 2004, n. 12, erroneità dei presupposti, eccesso di potere e difetto di motivazione;

2) Violazione dell’art. 1, comma 2, della l.r. 9 luglio 2004, n. 12 e dell’art. 3 della l. n. 241 del 1990, eccesso di potere ed illogicità manifesta, carenza di motivazione;

3) Eccesso di potere sotto il profilo della violazione di legge e della illogicità manifesta.

3. Si è costituito in giudizio il Comune di Palermo il quale, tuttavia, non ha spiegato difese scritte.

4. In data 6 maggio 2011 la ricorrente ha depositato ulteriore memoria: questa risulta tardivamente prodotta rispetto al termine di cui all’art. 73, comma 1, cod. proc. amm.

5. All’udienza pubblica del 17 maggio 2011, presente il procuratore di parte ricorrente, che si è riportato alle già rassegnate domande e conclusioni, il ricorso, su richiesta dello stesso, è stato trattenuto in decisione.

6. Come s’è detto il deposito della memoria conclusiva della ricorrente è avvenuto tardivamente. Conseguentemente, gli scritti difensivi e i documenti prodotti dalla Soc. A.R. s.r.l., rilevanti agli effetti del presente giudizio, sono soltanto quelli del fascicolo depositato unitamente al ricorso, in data 13 dicembre 2010.

7. Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.

8. L’elemento centrale della controversia si incentra sul rigetto dell’istanza della ricorrente finalizzata ad ottenere l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di ottico, fondato sul mancato rispetto del rapporto tra residenti ed esercizi di ottica operanti nel territorio comunale, secondo quanto previsto dalla legislazione regionale di settore (l.r. n. 12 del 2004).

La sussistenza di tali parametri, per i quali non vi sarebbe più possibilità di rilascio di ulteriori autorizzazioni, renderebbe la richiesta di parte ricorrente infondata proprio per il mancato rispetto del disposto di cui all’art. 1 della l.r. n. 12 del 2004 che disciplina il contingentamento dell’esercizio dell’attività di ottico.

Tale disposizione stabilisce che:

"1. Ai fini del rilascio dell’autorizzazione per l’esercizio dell’attività di ottico da parte della competente autorità comunale, oltre al possesso dell’iscrizione nell’apposito Registro speciale di cui all’articolo 71 della legge regionale 1° settembre 1993, n. 25, si tiene conto del rapporto tra residenti e esercizi di ottica, per assicurare una razionale distribuzione dell’offerta nel territorio. Tale rapporto è stabilito in un esercizio di ottica per ogni fascia di popolazione di ottomila residenti. La distanza tra un esercizio e l’altro non deve essere inferiore a 300 metri. I limiti suddetti non si applicano agli esercizi che si trasferiscono da una sede in locazione ad una sede di proprietà o che sono costretti a trasferimento per sfratto o per altri motivi di forza maggiore. Sono fatte salve le autorizzazioni rilasciate alla data di entrata in vigore della presente legge.

2. Qualora sussistano comprovate esigenze territoriali, l’autorità comunale competente provvede al rilascio della relativa autorizzazione o al trasferimento di una autorizzazione esistente, in deroga alle disposizioni di cui al comma 1, dopo avere acquisito il parere obbligatorio della commissione provinciale presso la camera di commercio di cui all’articolo 8 del regolamento di esecuzione dell’articolo 71 della legge regionale 1° settembre 1993, n. 25, emanato con decreto presidenziale 1° giugno 1995, n. 64.

3. Nei comuni in cui la popolazione residente non supera gli ottomila abitanti l’autorità comunale competente può comunque rilasciare, senza il parere della commissione di cui al comma 2, fino ad un massimo di due autorizzazioni. Sono fatte salve le istanze istruite anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge".

Ciò precisato, con la censura articolata con il primo motivo di ricorso, la ricorrente afferma che l’Amministrazione avrebbe dovuto tener conto della circostanza che la particolare ubicazione dell’esercizio, sito all’interno di un centro commerciale, costituisce, in tesi, "comprovate esigenze" per accedere al rilascio dell’autorizzazione "in deroga" ai prescritti parametri numerici – ai sensi del comma 2 sopracitato.

La sussistenza dei parametri in argomento non costituisce oggetto di specifica censura.

Ad avviso della ricorrente, poiché il Comune di Palermo non si è espresso sulla ricorrenza dei presupposti per far luogo alla predetta deroga che, secondo la prospettazione di parte, avrebbe condotto al rilascio dell’autorizzazione, il provvedimento impugnato sarebbe, altresì, viziato poiché recante una motivazione difettosa.

Orbene, la giurisprudenza di questo Tribunale, ed in particolare di questa Sezione, dalla quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, si è consolidata nel senso di ritenere la disciplina regionale che regola l’attività di ottico incompatibile con l’ordinamento comunitario e, precipuamente, con i principi richiamati dall’art. 1 del d.l. n. 223 del 2006, ed espressi nel Trattato istitutivo della Comunità europea agli articoli 43 (art. 49 TFUE), 49 (art. 56 TFUE), 81 (art. 101 TFUE), 82 (art. 102 TFUE) e 86 (art. 106 TFUE) (tra le diverse, v. T.a.r. Sicilia, Palermo, III, 31 marzo 2011, n. 608). Sulla base di tale incompatibilità ed in relazione ai meccanismi propri dell’efficacia diretta delle norme del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea è stata disapplicata, in favore delle stesse, la disciplina interna contenuta nella l.r. n. 12/2004 nella parte in cui prevede restrizioni e limitazioni del libero esercizio dell’attività imprenditoriale di che trattasi (Corte di giustizia CE, 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal; Corte di giustizia CE, 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo).

Sulla base del principio della "non applicabilità" della normativa interna (sia essa precedente che successiva) contrastante con quella comunitaria – "che non implica fenomeni né di caducazione, né di abrogazione della norma statale confliggente con quella comunitaria" (v. Cass. s.u. 17 aprile 2009, n. 9147) – il trattamento giuridico del caso di specie è attratto (quanto all’evidente contrarietà ai principi comunitari) nell’ambito di applicazione del diritto comunitario, in modo che "al giudice è demandato il controllo dell’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello comunitario, adeguamento che diviene così automatico, dovendo la normativa interna cedere il passo a quella comunitaria ove risulti essere con quest’ultima contrastante" (Cass., s.u., n. 9147/2009, cit.).

E’ stata altresì affermata la sostanziale assenza di giuridico fondamento delle argomentazioni sul punto svolte nella circolare n. 4 del 6 ottobre 2010 dell’Assessorato regionale delle attività produttive, laddove, questa, nell’impartire direttive in ordine alla prima applicazione in ambito regionale del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59 ("Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno"), al punto 18.3 propende per la persistente applicabilità, almeno temporanea, della normativa regionale (testualmente: "…si ritiene, nelle more di una nuova produzione legislativa in materia, che i comuni possano, per analogia, dotarsi di apposita programmazione secondo le disposizioni contenute nell’art. 64, comma 3 del decreto legislativo").

Tale interpretazione, infatti, non è supportata da alcuna motivazione, atta a superare la richiamata incompatibilità comunitaria della disciplina regionale (in tal senso, Tar Sicilia, Palermo, III, 608/2011, cit.).

Questo lo stato dell’interpretazione giurisprudenziale, anche successiva al recepimento statale della "direttiva servizi" (2006/123/CE), avvenuto con il richiamato d. lgs. n. 59 del 2010; tuttavia un’ulteriore indagine, che prescinde dal pur conclamato obbligo di disapplicazione della disciplina regionale di che trattasi, va svolta in relazione agli effetti prodotti dalla legislazione statale medio tempore intervenuta sul tema della tutela della concorrenza, quantunque a detta legislazione nessun riferimento parte ricorrente abbia fatto con il ricorso introduttivo.

Tale verifica va operata in conformità alla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, secondo cui il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., implica unicamente il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché, ciò che qui in parte rileva, in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante (cfr. Cass. 20 giugno 2008, n. 16809; 19 ottobre 2006, n. 22479; Cass., s.u., 21 febbraio 2000, n. 27; con riguardo specifico ai poteri del giudice di appello: Cass. 19 luglio 2002, n. 10542; Cass. s.u. 17 aprile 2009, n. 9147). Si tratta, in sostanza, solo di fare applicazione del principio iura novit curia.

Ritiene pertanto il Collegio che, nel caso di specie, l’esame delle censure della ricorrente non possa prescindere dalla verifica della effettiva vigenza della norma di cui all’art. 12, comma 1, della l.r. n. 12 del 2004, disposizione, questa, di cui il seguente comma 2 prevede la possibilità di deroga, dati i necessari presupposti.

Orbene, lo Statuto della Regione Siciliana individua, all’art. 14, comma 1, lett. d) nell’"industria e commercio" una delle materie oggetto di potestà legislativa esclusiva, e detta funzione legislativa è stata riconosciuta con le medesime caratteristiche, in via residuale, anche alle Regioni a statuto ordinario dopo la modifica del titolo V della Costituzione.

Ciò è stato in più occasioni sottolineato dalla Corte costituzionale (v. sent. 13 gennaio 2004, n. 1; ord. 11 maggio 2006, n. 199, sent. 9 marzo 2007, n. 64) la quale, nel contempo, ha elaborato la nozione di materie statali "trasversali".

Proprio perché trasversali, esse, esprimono un valore e sono in grado di viaggiare orizzontalmente nell’ordinamento, abbracciando i più vari interessi e toccando oggetti molto diversi tra loro, quantunque riconducibili alla sfera di potestà legislativa regionale anche esclusiva.

Tale "trasversalità", secondo la Corte, è un carattere che appartiene, tra gli altri, anche alla materia della "tutela della concorrenza", la quale nel settore del commercio incontra uno degli ambiti di più estesa ed incisiva applicazione.

Ne deriva che il sopravvenire di norme a tutela della concorrenza da parte del legislatore statale che intercetti ambiti di disciplina regionale, quantunque oggetto di potestà legislativa esclusiva, comporta la tacita abrogazione di queste ultime nella parte in cui esse risultino con le prime incompatibili, quantunque in difetto di uno specifico richiamo legislativo regionale espresso (v. Corte cost. 6 novembre 2009, n. 283, che recita testualmente: "L’uniformità rappresenta un valore in sé perché differenti normative (…) sono suscettibili di creare dislivelli di regolazione, produttivi di barriere territoriali. La tutela della concorrenza non può essere fatta per zone: essa, "per sua natura, non può tollerare differenziazioni territoriali, che finirebbero per limitare, o addirittura neutralizzare, gli effetti delle norme di garanzia" (sentenza n. 443 del 2007) ").

Nell’ambito della disciplina regionale sull’attività di ottico (art. 1 l.r. n. 12 del 2004), è evidente il contrasto della stessa con la disposizione statale dell’art. 3, comma 1, del d.l. n. 223 del 2006, recante "Misure urgenti per lo sviluppo, la crescita e la promozione della concorrenza e della competitività, per la tutela dei consumatori e per la liberalizzazione di settori produttivi", convertito dalla l. n. 248 del 2006, la quale ha fatto venir meno tutta una serie di limitazioni e prescrizioni in tema di attività commerciali, fra le quali proprio i parametri numerici per il rilascio delle autorizzazioni di che trattasi (cfr. T.a.r. Sicilia, Palermo, n. 608/2011, cit.).

Peraltro, la circostanza che la disciplina legislativa regionale tendesse ad incidere proprio in senso limitativo della concorrenza la si evince anche dalla relazione allegata al disegno di legge A.R.S. n. 287/2001 che poi dette luogo alla l.r. n. 12 del 2004, in cui si legge che "solo il legislatore, ancorché regionale, può stabilire il contingentamento di un’attività commerciale al fine di impedire che un eccesso di offerta produca eccessiva concorrenzialità e possa pregiudicare lo sviluppo del settore".

Ne deriva, come detto, la tacita abrogazione delle norme regionali regolanti l’attività di ottico con quelle statali sopravvenute, e con le prime incompatibili, in tema di tutela della concorrenza (art. 117, comma secondo, lett. e Cost.), le quali vanno, ormai, ritenute tamquam non essent.

Applicando le suesposte coordinate ricostruttive al caso di specie, non può che affermarsi l’abrogazione tacita della legge regionale nella parte in cui prevede i parametri numerici, costituenti presupposto della deroga per cui è causa; la venuta meno della norma da derogare è ovvio che rende inapplicabile quella che la deroga stessa disciplina.

In tal senso, dunque, la doglianza di parte ricorrente contenuta nel primo motivo di gravame è fondata.

Ed infatti, una volta ricevuta l’istanza di autorizzazione, l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare ogni presupposto per il suo rilascio, e ciò prescindendo dal contingentamento fondato sul rapporto popolazione/esercizi, siccome voluto dalla l.r. n. 12 del 2004.

9. Alla luce delle superiori considerazioni, assorbita ogni altra questione od eccezione poiché ininfluente ed irrilevante ai fini del presente giudizio, il ricorso, in ragione della fondatezza del primo motivo nei sensi sopraesposti, va accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

10. La parziale novità delle questioni trattate consente, in via d’eccezione, l’integrale compensazione delle spese e degli onorari del giudizio tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato nella stessa epigrafe indicato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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