Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-04-2011) 01-06-2011, n. 22236 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

del Foro di Torino che ha concluso per l’annullamento senza rinvio.
Svolgimento del processo

O.G. e V.R., indagate e già sottoposte alla misura cautelare della custodia in carcere, in relazione a due episodi di furto aggravato commessi a Torino il 4 gennaio 2010, ricorrono avverso l’ordinanza del tribunale della libertà di Torino di cui in epigrafe, che, accogliendo l’appello del pubblico ministero, ha annullato l’ordinanza emessa dal Gip dello stesso Tribunale (con la quale era stata dichiarata la perdita di efficacia della misura della custodia cautelare in carcere già applicata da quel giudice alle indagate), (ri) disponendo detta misura.

Il Gip, con il provvedimento annullato dall’ordinanza de qua, aveva disposto la perdita di efficacia della misura custodiale ritenendo che ricorresse il vincolo della continuazione tra i fatti sub iudice e altri fatti oggetto di procedimento penale davanti alla AG genovese, la quale, proprio sulla base della ritenuta continuazione, aveva ritenuto che dovesse farsi applicazione del disposto dell’art. 297 c.p.p., comma 3, con retrodatazione dell’inizio della custodia cautelare a far data dalla adozione della misura cautelare disposta dalla AG di Torino.

Conseguentemente, il Gip di Torino, ritenendo si fosse già formato il giudicato cautelare sulla questione della continuazione, provvedeva nei termini suddetti.

Il Tribunale della libertà, accogliendo l’appello del pubblico ministero, ha annullato detto provvedimento.

In primo luogo, ritenendo non pertinente il richiamo al giudicato cautelare, sul rilievo che si discuteva solo dei fatti commessi a Torino, mentre l’AG di Genova si era pronunciata solo limitatamente ai fatti lì giudicati.

In secondo luogo, sostenendo che non fosse stato assolto l’onere di allegazione da parte delle indagate in ordine alla pretesa sussistenza del vincolo della continuazione: onere non assolto perchè le indagate, con scelta difensiva legittima, nel presente procedimento si erano limitate a negare la commissione dei fatti incriminati.

In ogni caso, la sussistenza della continuazione non poteva ravvisarsi, come sostenuto dal Gip di Torino, solo nelle identiche modalità di commissione dei fatti, nella stessa tipologia di persone offese, nella parziale coincidenza degli indagati, nell’utilizzo dei medesimi telefoni cellulari e nel contesto temporale assai ristretto.

Per poter dedurre il medesimo disegno criminoso era necessaria, invece, una "indagine psicologica" resa impossibile "in ragione dell’atteggiamento negatorio di qualsivoglia responsabilità assunto dalle due indagate".

Da ciò il Tribunale concludeva nel senso che i fatti oggetto rispettivamente dei procedimenti di Torino e di Genova non potevano ritenersi legati dal vincolo della continuazione, onde nel computo dei termini di fase non doveva tenersi conto del periodo di carcerazione patito per i fatti di Genova, ma soltanto del periodo presofferto per i fatti di Torino: per questi ultimi, in definitiva, il termine semestrale di fase, diversamente da quanto argomentato dal Gip, non risultava ancora decorso.

Con il ricorso si deducono l’erronea applicazione della legge penale e la carenza e/o illogicità della motivazione.

Si deduce che erroneamente il tribunale avrebbe posto a fondamento della dimostrazione della continuazione la "confessione" dell’imputato.

Si sostiene che i fatti emersi e sottoposti all’attenzione del giudice rendevano palese la sussistenza del medesimo disegno criminoso, che doveva desumersi non solo dalla omogeneità dei reati e dalla contiguità degli episodi incriminati, ma anche dalla "sovrapponibilità" degli episodi.

Si conclude per l’annullamento della decisione gravata.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Vale in proposito non tanto la questione del giudicato cautelare, improponibile rispetto a decisioni cautelari adottate da giudici diversi per fatti diversi, quanto la questione della corretta applicazione della disciplina dettata dall’art. 297 c.p.p., comma 3.

In proposito, come anche di recente precisato (cfr. Sezione 2^, 25 novembre 2010, Noci; Sezione 1^, 27 maggio 2008, Caniello), non è applicabile la retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, ai sensi del richiamato art. 297 c.p.p., comma 3, el caso di pluralità di ordinanze applicative di misure cautelari disposte in procedimenti diversi, pendenti dinanzi alla stessa autorità giudiziaria, per fatti diversi tra i quali non vi è connessione qualificata ex art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), laddove si tratti di procedimenti originati da distinte ed autonome notizie di reato, la cui separazione, pertanto, non consegua ad una scelta strategica del pubblico ministero e non siano (però) configurabili il vincolo della continuazione e quello della connessione teleologia. Con la precisazione, ai fini che interessano, che la configurabilità del vincolo della continuazione nonchè quello della connessione teleologia sono questioni di fatto rimesse all’apprezzamento esclusivo del giudice di merito, incensurabili in sede di legittimità, ove congruamente motivate.

Or bene, a fronte degli argomenti diffusamente sviluppati dal Gip di Torino, pur con l’improprio richiamo al giudicato cautelare, circa la sussistenza del vincolo della continuazione, erroneamente il Tribunale della libertà si è determinato ad annullare l’ordinanza del Gip facendo inesatto, e assorbente, richiamo al fatto che la "negatoria" delle indagate avrebbe impedito l’apprezzamento sulla sussistenza del medesimo disegno criminoso. In tal modo, si è finito con l’attribuire ad una scelta difensiva legittima (come tale riconosciuta dallo stesso Tribunale) un ruolo decisivo per fondare o escludere il giudizio sulla continuazione.

In proposito, è pur vero che, in tema di applicazione della disciplina del reato continuato, anche ai fini cautelari, l’unicità del disegno criminoso, che costituisce l’indispensabile condizione per la configurabilità della continuazione, non può identificarsi con la generale inclinazione a commettere reati sotto la spinta di fatti e di circostanze occasionali, più o meno collegati tra loro, ovvero di bisogni e di necessità di ordine contingente, e neanche con la tendenza a porre in essere reati della stessa specie o indole, dovendo, invece, le singole violazioni costituire parte integrante di un unico programma, deliberato sin dall’inizio nelle linee essenziali, per conseguire un determinato fine, a cui, di volta in volta, si aggiungerà l’elemento volitivo necessario per l’attuazione del programma stesso.

Ed è pur vero che l’interessato, anche se non gravato dall’onere della prova, è tuttavia soggetto ad un "onere di allegazione" degli elementi di fatto e delle ragioni sulle cui basi possa poggiare la tesi della riconducibilità dei vari reati ad un’identica deliberazione preventiva.

Ma è anche vero che tra tali elementi rivelatori dell’identità del disegno criminoso non possono non essere apprezzati (e in tale prospettiva si è sostanzialmente mosso il Gip di Torino) la distanza cronologica tra i fatti, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, la tipologia dei reati, il bene protetto, l’omogeneità delle violazioni, la causale, le condizioni di tempo e di luogo ed è proprio attraverso questi indici od alcuni soltanto di questi indici – purchè siano preganti ed idonei ad essere privilegiati in direzione del riconoscimento o del diniego del vincolo della continuazione – che il giudice deve apprezzare la sussistenza o no della deliberazione unitaria di fondo idonea a "cementare" le singole violazioni.

Senza che, a tal fine, invece, possa attribuirsi rilevanza decisiva, per escludere il vincolo, al comportamento processuale, quando questo si sostanzi nell’esercizio di una facoltà legittima quale quella di non rispondere ovvero di negare i fatti (come ha fatto il Tribunale).

Ciò perchè trattasi di comportamento che ex se non può essere utilizzato per neutralizzare la valenza dimostrativa delle emergenze fattuali delle vicende di interesse.

L’ordinanza va quindi annullata con rinvio, per nuovo giudizio che si conformi ai suddetti principi.
P.Q.M.

Annulla con rinvio al Tribunale del riesame di Torino il provvedimento impugnato, per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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