Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-04-2011) 01-06-2011, n. 22234

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

el PG che ha chiesto l’annullamento con rinvio.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il P.M. del Tribunale di Roma avviava indagini nei confronti di G.C. e M.N. in ordine all’ipotizzato reato di cui all’art. 449 cod. pen. per avere, con condotta colposa, cagionato un disastro, secondo la contestazione così formulata: la prima, nella sua qualità di Dirigente dell’Ufficio AIC dell’AIFA (Agenzia Italiana del farmaco) ed il secondo nella qualità di Direttore Generale della indicata Agenzia, in violazione delle norme relative all’organizzazione di tale Ente, per avere omesso di organizzare l’area "registrazione e farmaco-vigilanza" in modo tale da consentire di provvedere tempestivamente sulle richieste di variazione delle AIC di tipo 1^ e di tipo 2^ relative a profili di sicurezza del prodotto, di tal che più farmaci imperfetti, quali quelli indicati nell’elenco in calce al capo d’imputazione, venivano e/o vengono immessi sul mercato pur essendo altamente pericolosi per la salute e la vita dei pazienti, creando una situazione di rischio, anche grave e talora mortale, per la popolazione esposta, in quanto difettavano di indicazioni terapeutiche originariamente presenti ovvero presentavano problemi di stabilità, nuovi effetti collaterali anche gravi, interazioni con altri farmaci; inoltre, la sola G. per avere omesso di effettuare i necessari controlli e verifiche sulle attività dei funzionari dell’Ufficio AIC da lei diretto, ed il solo M. per avere: a) omesso di provvedere, per quanto di propria competenza e nonostante l’evidente aumento di fabbisogno anche a seguito dell’implementazione del sistema farmaceutico europeo, a richiedere e ad effettuare i necessari miglioramenti delle strutture dell’AIFA soprattutto incrementando il numero di persone effettivamente qualificate a seguire le procedure secondo gli standard europei; b) trascurato i problemi collegati ai ritardi, con ciò impedendo all’AIFA di adempiere ai propri compiti istituzionali; c) omesso di adempiere a disposizioni anche urgenti e gravi assunte dall’EMEA, pur in casi riconosciuti come "problemi gravi" di salute pubblica nel resto del mondo.

All’esito delle indagini preliminari, il P.M. esercitava l’azione penale nei confronti degli imputati predetti, chiamandoli a rispondere dei reati quali formalmente contestati con l’articolato capo di imputazione sinteticamente sopra riportato.

Il Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Roma, dopo aver vagliato le conclusioni cui era pervenuto il consulente (dott.ssa C.) del P.M., e le risultanze delle indagini di polizia giudiziaria, disattendeva la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal P.M. e pronunciava, in data 8.07.2010, sentenza di non luogo a procedere nei confronti degli imputati con la formula "perchè il fatto non costituisce reato", ai sensi dell’art. 425 c.p.p., comma 3.

Il giudicante ricordava, innanzitutto, le fasi salienti della vicenda, con particolare riferimento alla contestata omessa organizzazione dell’area di registrazione e farmaco vigilanza con le conseguenze indicate nella contestazione, evidenziando che le dichiarazioni rese a discolpa dall’imputato M. risultano riscontrate dagli accertamenti effettuati dall’indagine del Ministero della Salute, soprattutto con riferimento alla ipotizzata "pericolosità" dei farmaci per la salute e per la vita dei pazienti", ipotesi per la quale in ogni caso, ad iniziativa dell’azienda farmaceutica produttrice o dell’Agenzia, era prevista l’attivazione di una veloce e diversa procedura, la "safety urgent restriction", mediante la quale, in tempi ristretti, si provvedeva ad eliminare completamente dal mercato, le confezioni del farmaco non fornite delle indicazioni terapeutiche aggiornate, comprensive di quelle avvertenze inerenti nuovi e diversi effetti collaterali o nuove e diverse forme di interazione con altri farmaci. Procedura non attivata, nel caso di specie, non per incuria o mala gestione ma perchè i farmaci in elenco nel capo d’imputazione non erano stati ritenuti pericolosi dall’Agenzia con valutazione che contrasta con gli esiti della CT del P.M. ma non con i risultati degli accertamenti sopra indicati (quelli del Ministero).

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma.

Il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio motivazionale sotto plurimi profili e con argomentazioni che possono così sintetizzarsi: il G.U.P. non ha in alcun modo spiegato – se non in modo apodittico – i motivi per cui il dibattimento nel caso di specie sarebbe inutile, pronunciandosi invece sulla innocenza degli imputati laddove precisa che gli elementi probatori raccolti nel corso delle indagini preliminari "non sono sufficienti a supportare un giudizio di responsabilità". La sentenza, continua il ricorrente, non enuncia l’esistenza di prove positive di innocenza in quanto quest’ultima si ricaverebbe dalle sole dichiarazioni degli stessi imputati e ciò non è proprio quello che questa Corte di legittimità intende per prova "positiva"; nè tale può essere l’apodittico riferimento agli esiti dei lavori della Commissione ministeriale in quanto il Gup avrebbe alloro dovuto spiegare i motivi per cui gli stessi avrebbero immediatamente sovvertito il complesso accertamento tecnico effettuato dal C.T. del P.M..

Con memoria difensiva depositata in termini la G.C. evidenzia la corretta valutazione dei fatti e dei risultati delle indagini preliminari operata dal GUP con la conseguente infondatezza dei rilievi formulati dalla Pubblica Accusa chiede, quindi, il rigetto del ricorso.

Alcune considerazioni di ordine sistematico si impongono prima di procedere all’esame delle censure poste a fondamento del ricorso. Sia in giurisprudenza che in dottrina, si è dell’avviso che all’udienza preliminare debba riconoscersi natura processuale e non di merito, non essendovi alcun dubbio circa la individuazione della finalità che ha spinto il legislatore a disegnare e strutturare l’udienza preliminare quale oggi si presenta all’esito dell’evoluzione legislativa registrata al riguardo, e nonostante l’ampliamento dei poteri officiosi relativi alla prova: lo scopo (dell’udienza preliminare) è quello di evitare dibattimenti inutili, e non quello di accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. Di tal che, il giudice dell’udienza preliminare deve pronunciare sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell’imputato solo in presenza di una situazione di innocenza tale da apparire non superabile in dibattimento dall’acquisizione di nuovi elementi di prova o da una possibile diversa valutazione del compendio probatorio già acquisito; e ciò anche quando, come prevede espressamente l’art. 425 c.p.p., comma 3, "gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contradditori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio": tale disposizione altro non è se non la conferma che il criterio di valutazione per il giudice dell’udienza preliminare non è l’innocenza, bensì – dunque, pur in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori (sempre che appaiano destinati, con ragionevole previsione, a rimanere tali nell’eventualità del dibattimento) – l’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio.

Fatte queste premesse, occorre ora verificare se, nella concreta fattispecie, il giudice del merito si è attenuto ai principi testè indicati. La risposta è negativa.

Il giudicante è pervenuto alla decisione adottata movendo dal rilievo che non fosse stata raggiunta con tranquillante certezza la prova della sussistenza dell’elemento psicologico del reato, ma tale conclusione risulta efficacemente inficiata dalle denunciate carenze motivazionali oggetto dei motivi del ricorso, che hanno ben evidenziato la superficialità che ha caratterizzato la valutazione dei dati e degli argomenti scientifici forniti dal consulente del P.M..

Innanzitutto, si evidenzia che non appare corretta, non solo sul piano formale ma anche su quello sostanziale, che assume, per quanto dedotto in ricorso, rilevanza significativa, la formula assolutoria adottata con riferimento alla prima parte della contestazione (che riguarda entrambi gli imputati) e a quella indicata al punto e) (V. parte narrativa, che riguarda il solo M.), in quanto, affermare che i farmaci in elenco nel capo d’imputazione non erano stati ritenuti pericolosi dall’Agenzia, e che la Commissione Ministeriale aveva espressamente concluso affermando che mai vi sono stati casi di messa in pericolo della saluta pubblica, significa aver fatto una valutazione della sussistenza stessa dell’elemento oggettivo del reato ipotizzato e non di quello soggettivo. Ed è proprio in relazione a tale valutazione che manca una congrua ed esaustiva motivazione. Non c’è, infatti, un rigo dell’impugnata sentenza che analizzi, in contrapposizione tra loro, le conclusioni cui è pervenuto il consulente del P.M., basate su argomentazioni scientifiche, ed i dati dell’indagine ministeriale. A tal riguardo, la giurisprudenza costante di questa Corte ammette, in virtù del principio del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove la possibilità del giudice di scegliere fra varie tesi, prospettate da differenti periti, di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermate sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicchè, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è inibito al giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione, poichè si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di Cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale (V. da ultimo Sez. 1, Sentenza n. 25183 del 17/02/2009 Ud. Rv. 243791 e Cass. sez. 4^ 20 maggio 1989 n. 7591 rv. 181382).

Tutto ciò, attiene, ovviamente, in sintonia con quanto affermato in premessa, non all’accertamento della colpevolezza e/o innocenza degli imputati, quanto all’affermazione che i dati emersi dalle indagini preliminari necessitano di un approfondimento dibattimentale.

Ed appare apodittica l’affermazione del GUP che le dichiarazioni rese a discolpa dall’imputato M. in sede di udienza risultano riscontrate dagli accertamenti effettuati dall’indagine del Ministero della Salute in mancanza di una qualsiasi critica su quest’ultime alla luce delle conclusioni del Consulente del P.M..

Le risultanze acquisite avevano, dunque, offerto al giudice precisi elementi di valutazione in presenza dei quali, per quanto emerge dalla sentenza impugnata, non poteva certo escludersi una ulteriore evoluzione probatoria nel giudizio, magari alla luce e sulla scorta di più approfonditi accertamenti peritali, se del caso di natura collegiale. Mette conto sottolineare, comunque, l’assoluta laconicità della motivazione resa dal G.U.P., pur in presenza di una vicenda scientificamente complessa e suscettibile, come detto, di adeguato approfondimento. Il giudice dell’udienza preliminare, nel caso che ci occupa, ha fondato la propria valutazione di superfluità del giudizio su assertive enunciazioni, e limitandosi a dare atto delle indicazioni conclusive fornite dalle stesse dichiarazioni dell’imputato M.. Orbene, come evidenziato, trattasi di affermazione assolutamente apodittica, in quanto non supportata da esaustivo vaglio critico, anche perchè significativamente contrastata dall’ indicazione fornita dal consulente del P.M..

In sostanza, può ben dirsi che il giudicante ha seguito un percorso motivazionale estremamente sintetico, come già detto, applicando i principi giurisprudenziali in materia in modo non perspicuo ed assolutamente improprio, tenuto conto della natura dell’udienza preliminare, quale innanzi evidenziata, all’esito della quale gli elementi non accreditavano una valutazione prognostica (in termini di ragionevole prevedibilità) di superfluità dell’ulteriore verifica del giudizio, giustificabile solo, giova ribadirlo, in presenza di un compendio probatorio da considerarsi irrimediabilmente statico ed insuscettibile di evoluzione, secondo il consolidato indirizzo interpretativo delineatosi nella giurisprudenza di questa Corte: "il giudice dell’udienza preliminare può prosciogliere nel merito l’imputato – in forza di quanto disposto dall’art. 425 c.p.p., comma 3 nel testo modificato dalla L. 16 dicembre 1999, n. 479, art. 23, comma 1, – anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti e contraddittori e simile esito è imposto, come previsto dall’ultima parte dell’art. 425 c.p.p. citato, comma 3, allorchè detti elementi siano comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio. Ne consegue che l’insufficienza o la contraddittorietà delle fonti di prova a carico degli imputati ha quale parametro la prognosi dell’inutilità del dibattimento, sicchè correttamente deve essere escluso il proscioglimento in tutti i casi in cui tali fonti di prova si prestino a soluzioni alternative e aperte" (in termini, "ex plurimis", Sez. 6^, 16 novembre 2001, Acampora, RV 221303).

Ne deriva che l’impugnata sentenza deve essere annullata, con rinvio al giudice penale dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma.
P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale ordinario di Roma.

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