Cass. civ. Sez. I, Sent., 30-09-2011, n. 20067 Effetti del fallimento per i creditori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con atto di citazione del 28 giugno 1994 il Fallimento B. P., in persona del curatore, convenne in giudizio, avanti al tribunale di Treviso, i coniugi B.P. e D.A.P. nonchè i loro figli B.S. e R., per sentir dichiarare l’inefficacia dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale (di cui all’atto pubblico 11.5.1993 notaio Ponzi rep. 70984), nel quale B.P. (dichiarato fallito con sentenza (OMISSIS)) aveva destinato ai bisogni della famiglia alcuni beni immobili siti in comune di (OMISSIS). Alla domanda i soli B.S. e R. resistettero, contestando la sussistenza dei presupposti di cui alla L. Fall., art. 64.

Con sentenza del 13.11.1995, nella contumacia di B.P. e D. A.P., l’adito tribunale accolse la domanda, dichiarando l’inefficacia del predetto atto e condannando i convenuti a consegnare i beni alla curatela.

B.P., S. e R. e D.A.P. proposero appello, che fu parzialmente accolto con sentenza 19.2.1999, con la quale la corte d’appello dichiarò la nullità della decisione impugnata limitatamente alle parti B.P. e D.A.P. (per vizio della notifica dell’atto introduttivo al B. in forza della sentenza 23.9.1998 della Corte costituzionale), ordinando la rimessione degli atti al primo giudice: B.S. e R. furono condannati a consegnare i beni oggetto di causa subordinatamente all’emissione del decreto di trasferimento da parte del giudice delegato. Con atto di citazione notificato il 24 giugno 1999 la curatela riassunse il giudizio innanzi al tribunale di Treviso, nei confronti di B.P. e D.A.P., riproponendo la medesima pretesa.

Con sentenza del 28.2.2004, resa nella contumacia dei convenuti, il tribunale accolse nuovamente la domanda proposta ai sensi della L. Fall., art. 64 (rigettando invece la richiesta di risarcimento del danno), e condannò i convenuti alla consegna dei beni al curatore ed alla rifusione delle spese di lite.

La Corte di appello di Venezia, con la sentenza impugnata (depositata il 4.3.2008) respinse l’appello proposto da B.P. e D. A.P., confermando la decisione del tribunale.

In particolare la Corte di merito ritenne infondati i motivi con i quali gli appellanti avevano dedotto: la compiuta prescrizione quinquennale dell’azione revocatoria, non essendo stato notificato alcun atto utile nel quinquennio successivo alla dichiarazione di fallimento;

la carenza di legittimazione processuale del curatore quanto alla proposizione dell’atto riassuntivo, e l’inefficacia della relativa procura dal medesimo conferita al difensore, in mancanza di autorizzazione del giudice delegato (non potendo valere l’autorizzazione a promuovere il primo giudizio, rivelatosi inficiato di nullità, nè essendo concepibile una sanatoria);

la nullità del giudizio di primo grado, per omessa concessione del termine di cui all’art. 180 c.p.c. al fine della proposizione delle eccezioni non rilevabili d’ufficio, con richiesta di rimessione in termini per esplicare le attività deduttive ed istruttorie non potute esercitare in primo grado.

Contro la sentenza di appello B.P. e D.A.P. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Resiste con controricorso la curatela intimata la quale ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

1.1.- La presente sentenza è redatta con motivazione semplificata così come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in camera di consiglio.

2.1.- Con il primo motivo i ricorrenti denunciano "falsa applicazione di norme di diritto nonchè omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3/5, in relazione agli artt. 101, 156, 157, 160, 164, 170 c.p.c. nel testo previgente alla data del 30.4.1995 stante la mancata dichiarazione di nullità della sentenza pronunciata l’11.4.2003 dal Giudice Unico del Tribunale di Treviso e del relativo precedente processo". Formulano il seguente quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: "accertato e ritenuto che l’atto di citazione in riassunzione avanti il Tribunale di Treviso in data 24 giugno 1999 è stato notificato dal Fall.to B.P. personalmente ai convenuti anzichè al domicilio eletto presso il difensore, giudichi codesta Ecc.ma Corte se l’atto in questione risulti inficiato da nullità e in tal caso se si tratti di un vizio rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, nonchè se lo stesso vizio abbia determinato la nullità della sentenza pronunciata l’11 aprile 2003 dal Tribunale di Treviso e dell’intero precedente processo, con ogni relativa conseguenza di legge per quanto attiene la decisione impugnata". 2.1.1.- Il motivo è infondato.

Invero, come evidenziato dalla sentenza impugnata, solo con la comparsa conclusionale i ricorrenti avevano dedotto la nullità della sentenza di primo grado sulla base del principio per il quale l’atto con cui la causa viene riassunta in primo grado dopo che il giudice di appello, in applicazione degli artt. 353 e 354 cod. proc. civ., ne abbia disposto la rimessione, pur spiegando una funzione introduttiva, non è equiparabile all’atto di citazione, in quanto interviene in un procedimento già in precedenza istaurato, con la conseguenza che esso non va notificato alla parte personalmente, ma presso il procuratore della parte costituita in grado di appello, ai sensi dell’art. 125 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 170 cod. proc. civ., restando quindi sufficiente la consegna di una sola copia dell’atto, anche se il procuratore è costituito per più parti (Sez. 3, Sentenza n. 2562 del 06/02/2007).

L’inosservanza del principio innanzi richiamato aveva comportato una nullità della sentenza di primo grado conseguente al vizio di notificazione dell’atto di citazione eseguito ai sensi dell’art. 143 cod. proc. civ., in carenza delle relative condizioni ma tale nullità doveva essere fatta valere con l’ordinario mezzo di impugnazione dell’appello, ancorchè a norma dell’art. 327 c.p.c., comma 2, (Sez. 2, n. 1322/1993) e, dunque, doveva essere dedotta convertendosi in motivo di impugnazione ex art. 161 c.p.c. – con i motivi di appello ex art. 342 c.p.c., così come esattamente rilevato dalla Corte di merito, e non in sede di comparsa conclusionale.

E’ principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello per il quale l’omessa deduzione nel giudizio d’appello della nullità della sentenza di primo grado per vizio di notifica dell’atto di citazione osta alla possibilità di farla valere successivamente in sede di ricorso per cassazione (Sez. 2, n. 7767/1999; Sez. 3, n. 88/1980).

2.2.- Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano "falsa applicazione di norme dì diritto nonchè omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in riferimento agli artt. 82, 83, 84, 101, 156, 157, 182 c.p.c. e L. Fall., artt. 36 e 37 nel testo previgente al 30.4.1995 stante la mancata dichiarazione di nullità e/o di inefficacia della procura alle liti rilasciata dal Curatore del Fall.to B.P. al difensore a margine dell’atto di riassunzione 15/24 giugno 1999 avanti il Tribunale di Treviso".

Formulano il seguente quesito: "accertata e ritenuta la nullità dell’atto di citazione in riassunzione avanti il Tribunale di Treviso notificato il 24 giugno 1999 dal Fall.to B.P. personalmente ai convenuti anzichè al domicilio eletto presso il difensore, giudichi codesta Ecc.ma Corte se il vizio in questione abbia comportato anche la nullità e/o l’inefficacia della procura alle liti rilasciata a margine al difensore del Fall.to B.P. e quindi anche per tale verso la nullità della sentenza pronunciata l’11 aprile 2003 dal Tribunale di Treviso e dell’intero processo, con ogni relativa conseguenza di legge per quanto attiene la decisione impugnata". 2.2.1.- Anche il secondo motivo è infondato essendo la censura di cui al quesito ex art. 366 bis c.p.c. formulata nel presupposto della nullità della notificazione della citazione in riassunzione, la quale, però, è stata sanata dalla mancata deduzione con i motivi di appello. D’altra parte, la nullità della notificazione non determina la nullità della procura.

2.3.- Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano "falsa applicazione di norme di diritto nonchè omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in riferimento agli artt. 189, 276, 345 c.p.c.. Nel testo previgente al 30.4.1995, stante la omessa applicazione delle anzidette norme processuali".

Formulano il seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c.: "Accertato e ritenuto che il procedimento di riassunzione è stato trattato e deciso in primo grado dal Giudice Unico del Tribunale di Treviso anzichè dallo stesso Tribunale in composizione collegiale, come era precedentemente avvenuto, giudichi codesta Ecc.ma Corte se il processo in questione risulti inficiato da nullità stante l’omessa applicazione delle norme processuali previgenti il 30.4.1995, cui deve invece riferirsi il caso di specie, nonchè se l’eventuale vizio rilevato comporti la necessità di rimettere la controversia ai primi Giudici, ovvero di decidere anche il merito per la Corte d’Appello di Venezia, con ogni relativa conseguenza di legge per quanto attiene la decisione impugnata". 2.3.1. – La questione dedotta con il terzo motivo è preclusa dalla mancata deduzione con specifico motivo di appello.

Invero, anche l’inosservanza delle disposizioni dettate dall’art. 50 bis cod. proc. civ. sulla composizione collegiale del tribunale determina, ai sensi dell’art. 50 quater, una nullità da fare valere, secondo quanto previsto dall’art. 161 cod. proc. civ., con i motivi di gravame (Sez. 2, n. 11288/2007). Tale principio è stato ribadito anche dalle Sezioni unite secondo le quali l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale legittimato a decidere su una domanda giudiziale costituisce, alla stregua del rinvio operato dall’art. 50 quater cod. proc. civ. al successivo art. 161, comma 1, un’autonoma causa di nullità della decisione e non una forma di nullità relativa derivante da atti processuali antecedenti alla sentenza (e, perciò, soggetta al regime di sanatoria implicita), con la sua conseguente esclusiva convertibilità in motivo di impugnazione e senza che la stessa produca l’effetto della rimessione degli atti al primo giudice se il giudice dell’impugnazione sia anche giudice del merito, oltre a non comportare la nullità degli atti che hanno preceduto la sentenza nulla (Sez. U., n. 28040/2008).

2.4.- Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano "falsa applicazione di norme di diritto nonchè omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in riferimento all’art. 2903 c.c., agli artt. 183, 184, 345 c.p.c. nel testo previgente al 30.4.1995 stante il mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione proposta dagli odierni ricorrenti". Formulano il seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c.: "Accertata e ritenuta la nullità dell’atto di citazione in riassunzione avanti il Tribunale di Treviso notificato il 24 giugno 1999 dal Fall.to B.P. personalmente ai convenuti anzichè al domicilio eletto presso il difensore, nonchè l’assoluta inidoneità della comparsa di costituzione in giudizio dimessa il 5 settembre 1996 dallo stesso Fall.to B.P. in sede di gravame ad interrompere il termine prescrizionale, giudichi codesta Ecc.ma Corte se il preteso diritto azionato risulti estinto per intervenuta prescrizione, siccome ritualmente eccepito dagli odierni ricorrenti nel grado di appello ex artt. 183 – 184 – 345 c.p.c. nel testo previgente al 30.4.1995, con ogni relativa conseguenza di legge per quanto attiene la decisione impugnata". 2.4.1.- Anche il quarto motivo è infondato, avendo la Corte di merito correttamente applicato il principio per il quale "ha natura dichiarativa e perciò non è soggetta a prescrizione, l’azione proposta dal curatore del fallimento per far valere l’inefficacia, L. Fall., ex art. 64, della costituzione del patrimonio familiare effettuata dal fallito nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento" (Sez. 1, Sentenza n. 93 del 16/01/1970).

3.- Il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – vanno poste a carico dei ricorrenti in solido.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solide al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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