Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 20-04-2011) 01-06-2011, n. 22231 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 7 luglio 2010 la Corte di Appello di Genova rigettava la richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione proposta da C.D., il quale era stato sottoposto a misura cautelare carceraria dal 14 giugno 2008 al 23 luglio 2008, in relazione al delitto di rapina perpetrato, in concorso con altri, in danno di H.D.; C. era stato di poi assolto dal Tribunale di Genova in data 22 settembre 2009, per non aver commesso il fatto.

2. Avverso la richiamata ordinanza della Corte di Appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione C.D., a mezzo del difensore; la parte ritiene che la Corte territoriale, erroneamente, abbia ritenuto che il comportamento posto in essere dal richiedente integri la fattispecie della colpa grave che esclude la possibilità di ottenere l’equo indennizzo.

L’esponente, in punto di fatto, evidenzia di essersi in realtà immediatamente adoperato per chiarire la propria posizione processuale. Osserva di avere protestato la propria innocenza sin dall’interrogatorio di garanzia; e sottolinea di avere ricevuto, solo successivamente, la lettere inviata dalla S., ove la donna indicava quale coautore della rapina tale V., dopo la scarcerazione identificato in F.V.. Il ricorrente ammette che, per proprie difficoltà relazionali all’interno del carcere ove si trovava ristretto, aveva omesso di riferire all’Autorità giudiziaria il nominativo del correo della S., circostanza di cui peraltro gli inquirenti erano già a conoscenza.

La parte sottolinea di avere indicato alla Polizia, dopo essere stato scarcerato dal Tribunale del riesame, il nominativo del predetto correo; e ritiene che la frequentazione di persone che vivono di espedienti può soltanto integrare una colpa lieve, non ostativa al riconoscimento dell’equo indennizzo.

Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato e merita rigetto.

Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri estremi di reato ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del 26/06/2002, dep. 15/10/2002, De Benedictis, Rv. 222263). Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

3.1 L’ordinanza impugnata si colloca coerentemente nella linea del suddetto quadro interpretativo. Invero, la Corte territoriale ha evidenziato che C., in sede di interrogatorio di garanzia, aveva riferito alcuni elementi di prova a proprio discarico ma aveva omesso di evidenziare altre circostanze rilevanti; il ricorrente non aveva riferito di avere ricevuto da F. una telefonata nel corso della quale costui dichiarava di essere pronto ad assumersi le proprie responsabilità, in relazione alla rapina di che trattasi.

Oltre a ciò, la Corte di Appello ha considerato che nel corso della detenzione C. non aveva dato contezza delle lettere che la coindagata S.V. gli aveva inviato, ove la donna indicava il F. come correo nella rapina; al riguardo il Collegio ha evidenziato che la reticenza ed il mendacio utilizzati legittimamente dall’indagato non potevano essere di poi invocati per ottenere l’equo indennizzo richiesto.

Ciò premesso, la Corte di Appello ha considerato che la condotta del C. risulta caratterizzata da due elementi: avere indicato F. quale complice della S. nella perpetrazione della rapina, ma solo dopo l’intervenuta scarcerazione; avere frequentato persone con precedenti penali e che vivono di espedienti, tanto da essere indicato dalla parte offesa della rapina come uno degli autori del reato. La Corte territoriale ha, pertanto, del tutto legittimamente rilevato che l’avere omesso di riferire agli inquirenti il contenuto delle lettere ricevute dalla S., per ragioni connesse all’ambiente omertoso di appartenenza, integra la colpa grave ostativa al riconoscimento dell’equo indennizzo; ciò in quanto C. omise di fornire informazioni, di cui pure disponeva, idonee a scagionarlo, a fronte del quadro indiziario a suo carico, emergente dal riconoscimento effettuato dalla parte offesa.

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *