Cons. Stato (Ad. Plen.), Sent., 03-06-2011, n. 10 Enti pubblici economici Obbligazioni e contratti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Nel corso del 1995, l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia (d’ora innanzi: I.) ha acquistato per intero le quote della società privata proprietaria degli ex magazzini frigoriferi di San Basilio, Venezia, al fine di utilizzare l’immobile – già appartenuto a tale società – per la didattica, la direzione e i servizi universitari.

Dall’esame delle deliberazioni del consiglio di amministrazione dello I. (18 luglio 1996 e 7 novembre 1996), emerge che l’acquisto è stato effettuato utilizzando in parte i finanziamenti statali volti alla salvaguardia di Venezia ed al suo recupero architettonico, urbanistico, ambientale ed economico, ai sensi della l. 29 novembre 1984 n. 798 – (per un totale di 4,5 miliardi di lire) e in parte i fondi derivanti dall’avanzo di amministrazione per l’anno 1995 (per un totale di 1,5 miliardi di lire).

All’indomani dell’acquisto della quote della società, lo I. la ha ridenominata dapprima "IUAV Servizi s.r.l." e, in seguito "IUAV Servizi e Progetti s.r.l.’, modificandone l’oggetto sociale, sì da includervi anche l’esercizio di attività di studio, ricerca, progettazione e, in generale, lo svolgimento di servizi di engineering (progettazione architettonica ed urbanistica, pianificazione territoriale, costruzioni).

Nel corso del periodo 20022003, lo I. ha proceduto ad una riallocazione dei compiti della s.r.l. "I. Servizi & Progetti – ISP" e a una sua complessiva trasformazione, che può essere così sintetizzata:

a) si è proceduto alla scissione della società "madre’, mediante la costituzione di una nuova società (la ISP – società di engineering), a socio unico, cui è stato conferito il ramo di azienda relativo alle attività di progettazione architettonica ed urbanistica, pianificazione territoriale e costruzione;

b) si è proceduto a modificare la denominazione della società scissa (in capo alla quale restava il solo esercizio delle attività relative alla gestione immobiliare), la quale è stata denominata I. Immobiliare s.r.l. a socio unico.

Tale complessivo disegno di riordino è stato attuato:

– per quanto di competenza dello I., con le delibere del senato accademico del 13 marzo 2002 e 21 marzo 2002, nonché con la delibera del consiglio di amministrazione del 22 gennaio 2003 (con cui si approvava – "ora per allora" – l’avvenuta scissione e si dava atto che l’operazione era stata realizzata "in esecuzione della delibera del senato accademico del 21 marzo 2002");

– per quanto di competenza della società I. Servizi & Progetti – ISP s.r.l., con la delibera societaria di scissione in data 25 luglio 2002 e con l’atto dell’amministratore unico del 19 dicembre 2002, comportante l’effettiva scissione e ridenominazione della società scissa.

2. Con il ricorso n. 2593 del 2003, proposto al Tar del Veneto, l’Ordine degli ingegneri della Provincia di Venezia ha impugnato gli atti dello I. con cui:

a) è stata deliberata ed approvata la scissione della I. Servizi & Progetti – ISP s.r.l. nella ISP s.r.l. e nella I. Immobiliare s.r.l.;

b) è stata modificata la denominazione sociale della società scissa in I. immobiliare s.r.l.;

c) è stato conferito il ramo di azienda relativo alle attività di engineering alla società costituita a seguito della scissione.

2.1. Con il ricorso n. 2866 del 2003, proposto innanzi al medesimo Tar, gli Ordini degli architetti delle Province di Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Verona e Vicenza hanno chiesto l’annullamento dei medesimi atti, deducendo motivi di censura analoghi a quelli articolati dall’Ordine degli ingegneri della Provincia di Venezia.

2.2. In relazione ai ricorsi di primo grado si sono costituiti I. e ISP s.r.l. ed hanno eccepito:

a) il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;

b) il difetto di interesse ai ricorsi;

c) l’indeterminatezza degli atti impugnati;

d) la tardività dei ricorsi;

e) il difetto di contraddittorio.

3. Con la sentenza non definitiva 16 dicembre 2004 n. 4357, il Tribunale adìto:

a) ha riunito i due ricorsi:

b) ha respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, ritenendo che le impugnate delibere dello I. – prodromiche alla costituzione della ISP s.r.l. e al conferimento alla stessa del ramo di azienda relativo alle attività di engineering – costituissero esercizio di poteri autoritativi;

c) ha respinto l’eccezione relativa alla carenza di interesse all’impugnativa delle richiamate delibere, rilevando comunque un interesse strumentale alla loro rimozione, sia pure mediato attraverso il rinnovato esercizio di attività amministrative incidenti sulla già intervenuta costituzione di società di diritto comune;

d) ha respinto l’eccezione di tardività dei ricorsi, osservando che non è emerso alcun elemento da cui possa evincersi la piena conoscenza degli atti lesivi in epoca anteriore ai sessanta giorni antecedenti;

e) per quanto concerne l’integrità del contraddittorio, ha rilevato che gli atti introduttivi del giudizio non erano stati notificati anche alla I. Immobiliare s.r.l. e pertanto ha ordinato l’integrazione del contraddittorio entro il 20 gennaio 2005.

4. La sentenza n. 4357 del 2004 è stata impugnata con due appelli di analogo contenuto (n. 3888/2005 e n. 3889/2005 r.g.) da ISP s.r.l., la quale ha chiesto che, in riforma della sentenza non definitiva, siano dichiarati inammissibili i ricorsi di primo grado, sotto molteplici profili:

– difetto di giurisdizione;

– indeterminatezza dell’oggetto;

– contraddittorio non integro;

– difetto di interesse;

– tardività.

5. Tornando alle vicende relative al primo giudizio, all’indomani della sentenza non definitiva n. 4357/2004 gli Ordini professionali ricorrenti hanno integrato il contraddittorio nei confronti della società I. Immobiliare s.r.l., la quale a sua volta ha proposto un ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c.

6. Con la sentenza 10 maggio 2006 n. 10704, le sezioni unite della Cassazione hanno dichiarato inammissibile il regolamento preventivo.

7. Nell’imminenza dell’udienza di discussione di merito innanzi al Tar (fissata per il giorno 1° febbraio 2007), la ISP s.r.l. ha depositato in giudizio alcuni documenti da cui sono risultate:

a) la cessione del 20% delle quote della stessa ISP all’Università degli Studi di Verona, con decorrenza dal 15 marzo 2005, per effetto di un accordo concluso fra i due Atenei ai sensi dell’art. 15, l. 7 agosto1990 n. 241;

b) la trasformazione della I. Immobiliare s.r.l. in Fondazione universitaria, ai sensi del d.P.R. 2 maggio 2001 n. 254, con decorrenza dal 16 giugno 2006.

8. Con la sentenza 18 marzo 2007 n. 794, il Tar ha definito i giudizi di primo grado, dichiarando inammissibili i ricorsi.

In particolare, il Tribunale:

– ha ribadito le argomentazioni in rito già profuse nella prima sentenza appellata (con particolare riguardo alle eccezioni relative al difetto di giurisdizione amministrativa, alla carenza di interesse alle impugnative e alla tardività delle stesse);

– ha respinto l’eccezione di tardività – sollevata dagli Ordini ricorrenti – del deposito documentale del 19 gennaio 2007 (tredici giorni prima dell’udienza di discussione), osservando che la controversia rientrerebbe nel campo di applicazione di cui alla lett. a) ed e) del co. 1 dell’art. 23bis, l. Tar, con la conseguente dimidiazione dei termini ordinari;

– ha dichiarato inammissibili i ricorsi introduttivi, per la mancata impugnativa dell’accordo concluso – ai sensi dell’art. 15, l. n. 241/1990 – fra lo I. e l’Università di Verona, relativo alla cessione del 20% del capitale sociale della ISP, rilevando che "trattasi di circostanza che ex se elimina l’interesse strumentale delle parti ricorrenti, divenute in tal modo acquiescenti rispetto a un atto che autonomamente consolida e addirittura amplifica la lesione pur da esse ab origine lamentata", anche perché "non è più ragionevolmente possibile ottenere la cancellazione dell’iscrizione di Studi e Progetti nel registro delle imprese in considerazione della circostanza che ne è mutata la composizione sociale, è stato cambiato lo Statuto, e – soprattutto – è comparso nel presente processo un nuovo soggetto controinteressato alla realizzazione di tale interesse, l’Università degli Studi di Verona, agevolmente identificabile in quanto tale e che – nondimeno – le parti ricorrenti si sono astenute dall’evocare nel presente giudizio";

– ha trasmesso gli atti di causa alla Procura regionale della Corte dei conti "per l’eventuale seguito di competenza", poiché la ISP s.r.l. sarebbe stata costituita utilizzando fondi destinati ex lege al potenziamento dell’attività universitaria in senso stretto e non al perseguimento di fini lucrativi.

9. Tale seconda sentenza del Tar è stata gravata in appello dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Venezia (ricorso n. 5473/2007 r.g.), nonché dagli Ordini degli Architetti delle Province di Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Verona e Vicenza (ricorso n. 6233/2007 r.g.), i quali ne hanno chiesto l’integrale riforma, con il conseguente accoglimento dei ricorsi di primo grado.

10. In relazione ad entrambi gli appelli degli Ordini professionali, hanno proposto separati appelli incidentali ISP s.r.l. e Fondazione I. (già I. Immobiliare s.r.l.) con cui da un lato si propongono le medesime censure di cui agli appelli principali di ISP s.r.l. (contro la sentenza non definitiva) e dall’altro lato si contesta il capo di sentenza (definitiva) che ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Corte dei conti.

11. Nell’ambito dell’appello n. 6233/2007 r.g., si sono costituiti in giudizio il Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori, nonché – in proprio – l’Arch. Raffaele Sirica, i quali hanno chiesto l’accoglimento degli appelli, in adesione alle conclusioni degli Ordini appellanti.

12. Chiamata la causa in decisione davanti alla sesta sezione del Consiglio di Stato, la sezione ha riunito i quattro appelli e ha ritenuto di rimetterne l’esame all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., sez. VI, 16 febbraio 2011 n. 970, ord. coll.).

Ritiene la sesta sezione che "almeno quattro fra le numerose questioni di diritto dibattute tra le parti abbiano dato luogo o possano dare luogo a contrasti giurisprudenziali e che pertanto sia opportuno deferire la controversia all’esame della adunanza plenaria di questo Consiglio ai sensi dell’art. 99, comma 1, del c.p.a."

In particolare, sono state rimesse all’esame della plenaria le seguenti questioni:

1) se rientri nell’ambito della giurisdizione amministrativa una controversia in cui siano state impugnate le delibere di un Istituto universitario, prodromiche alla costituzione e alla successiva scissione di una società di capitali operante secondo la logica del profitto, pur se l’azione in tal modo proposta sia finalizzata ad ottenere la caducazione dell’iscrizione della società in questione dal registro delle imprese e la cessazione della sua operatività sul mercato dei servizi di progettazione;

2) se per la medesima controversia si applichi -ratione temporis – l’art. 23bis, co. 1, lett. e), l. Tar, (trasfuso nell’art. 119, co. 1, lett. c), c.p.a.), qualora la questione risulti rilevante ai fini del decidere;

3) se sussista un interesse di tipo strumentale all’impugnativa delle delibere volte alla costituzione e alla successiva scissione di una società di capitali operante con scopo lucrativo, ovvero se osti in tal senso la circostanza per cui il loro eventuale annullamento non potrebbe avere effetto caducante degli atti con cui la società è stata costituita e con cui ne è stata disposta la scissione;

4) se, anche prima dell’entrata in vigore della l. 24 dicembre 2007 n. 244, risultasse preclusa a un Istituto universitario la costituzione di una società avente ad oggetto l’erogazione di servizi contendibili sul mercato (nella specie, di "engineering’), non rientranti fra le proprie finalità istituzionali, ovvero se ciò fosse consentito in base alla autonomia universitaria ovvero alla capacità di diritto privato, comunque riconoscibile alle Università come persone giuridiche.

L’ordinanza di rimessione prosegue sviluppando in dettaglio ciascuna della quattro questioni sopra sinteticamente riassunte.

13. La causa è stata discussa in pubblica udienza dell’adunanza plenaria il 2 maggio 2011.
Motivi della decisione

14. Il collegio esaminerà gli appelli secondo l’ordine giuridico e logico delle questioni che essi pongono (Cons. St., ad. plen., 7 aprile 2011 n. 4), e, nell’ambito di tale ordine, le questioni di diritto sottoposte dall’ordinanza di rimessione.

15. La materia del contendere può essere sintetizzata come segue.

Con i due ricorsi di primo grado, alcuni Ordini professionali hanno impugnato gli atti con cui l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia (I.) ha costituito una società lucrativa, attiva nel settore della progettazione architettonica ed urbanistica, della pianificazione territoriale e delle costruzioni.

Con la prima sentenza appellata (non definitiva), il Tar del Veneto ha dichiarato la sussistenza della giurisdizione amministrativa e dell’interesse ad agire degli Ordini professionali ed ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti della società I. Immobiliare s.r.l.

Con i primi due ricorsi in appello, la società ISP s.r.l. ha impugnato la sentenza non definitiva, chiedendo che, in sua riforma, siano accolte le eccezioni formulate in primo grado.

Il Tar ha poi emesso la sentenza definitiva, dichiarando inammissibili i due ricorsi di primo grado, per la mancata impugnazione dell’accordo concluso ai sensi dell’art. 15, l. n. 241/1990, tra lo I. e l’Università di Verona, avente ad oggetto la cessione di una parte delle quote della ISP s.r.l.

Con il terzo ed il quarto appello, gli Ordini professionali hanno impugnato la sentenza definitiva, chiedendo che, in sua riforma, i ricorsi di primo grado siano dichiarati ammissibili e fondati, con il conseguente annullamento degli atti impugnati.

Nell’ambito di tali giudizi, la Fondazione I. e ISP s.r.l. hanno proposto appelli incidentali, con cui da una parte propongono le medesime censure contenute negli appelli principali di ISP s.r.l., e dall’altra parte chiedono l’annullamento della statuizione con cui il Tar ha trasmesso copia degli atti impugnati in primo grado alla Procura regionale della Corte dei conti.

Ordine di esame delle questioni, dei motivi e degli appelli

16. Nell’ordine logico delle questioni è prioritario l’esame del motivo, contenuto negli appelli principali di ISP s.r.l., con cui si ripropone l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, esaminata e disattesa dal giudice di primo grado.

La questione di giurisdizione ha precedenza su tutte le altre questioni di ricevibilità e ammissibilità dei ricorsi di primo grado, perché:

– da un lato, una pronuncia, anche di carattere solo processuale, postula che il giudice che la rende sia munito di giurisdizione, essendo illogico esigere il rispetto di regole processuali che in radice non sono pertinenti perché si è davanti al giudice sbagliato;

– dall’altro lato, il meccanismo della translatio judicii lascia in vita la chance di vittoria del ricorrente davanti al giudice avente giurisdizione, e una pronuncia in rito diversa dal difetto di giurisdizione pregiudicherebbe la translatio iudicii.

Quanto alle altre questioni, il Collegio seguirà il seguente ordine:

2) e 3) questione, proposta con gli appelli principali di ISP s.r.l. e con gli appelli incidentali di ISP s.r.l. e di Fondazione I., della irricevibilità dei ricorsi di primo grado e connessa questione, eccepita con controricorso dall’Ordine degli ingegneri, dell’inammissibilità del relativo motivo di appello;

4) questione, proposta con gli appelli principali di ISP s.r.l. e con gli appelli incidentali di ISP s.r.l. e di Fondazione I., dell’inammissibilità (recte: nullità) dei ricorsi di primo grado, per genericità dell’oggetto, e segnatamente per omessa chiara identificazione degli atti impugnati;

5) e 6) questione, proposta con gli appelli principali di ISP s.r.l. dell’omessa integrazione del contraddittorio in primo grado e questione, proposta con gli appelli incidentali di ISP s.r.l. e Fondazione I., della inammissibilità dei ricorsi di primo grado per omessa notifica al "vero" controinteressato;

7) questione della legittimazione degli Ordini professionali a proporre i ricorsi di primo grado;

8) questione della sussistenza dell’interesse originario ai ricorsi di primo grado, che si articola a sua volta in tre profili il primo proposto con gli appelli principali di ISP s.r.l. e con gli appelli incidentali di ISP s.r.l. e Fondazione I., il secondo individuato dall’ordinanza di rimessione, il terzo attinente alla corretta delimitazione della materia del contendere avuto riguardo al tenore dei ricorsi di primo grado;

9) questione, proposta con l’appello principale dell’Ordine degli ingegneri, dell’applicabilità o meno del rito dell’art. 23bis, l. Tar (oggi art. 119 c.p.a.);

10) questione, proposta con gli appelli principali degli Ordini professionali, del perdurante interesse ai ricorsi di primo grado a seguito della cessione di una parte delle azioni di ISP s.r.l., evento verificatosi nel corso del giudizio di primo grado;

11) questione, sollevata da ISP s.r.l. con la memoria di replica, del perdurante interesse degli Ordini professionali ai ricorsi di primo grado, a seguito del mutato quadro giurisprudenziale, comunitario e nazionale, in ordine alla possibilità per le Università, di agire come operatori economici sul mercato;

12) esame nel merito dei ricorsi di primo grado;

13) esame degli appelli incidentali avverso la sentenza definitiva, quanto al motivo che contesta la disposta trasmissione degli atti alla Procura regionale della Corte dei conti.

Sulla questione di giurisdizione

17. Occorre, allora, principiare dall’esame del primo motivo (denominato A) e articolato in tre sottomotivi) degli appelli proposti da ISP s.r.l., nn. 24/2011 e 25/2011 A.P. (n. 3888/2005 e n. 3889/2005 r.g.) (diretti contro la sentenza non definitiva n. 4357/2004).

17.1. Con esso si lamenta il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulle delibere dell’Università, prodromiche alla vicenda societaria. Si assume che dette delibere, anche se atti unilaterali, non avrebbero natura provvedimentale, ma parteciperebbero della natura convenzionale dei negozi societari.

17.2. La sentenza appellata ha affermato la sussistenza della giurisdizione amministrativa, perché esisterebbe "una evidente connessione, un esplicito collegamento" fra le delibere degli organi universitari che hanno deciso la costituzione di un "ente strumentalè dell’Ateneo (in tal senso: art. 1 dello statuto della ISP s.r.l.) e gli atti di diritto privato con cui la società è stata costituita e, successivamente, scissa.

Una volta tracciata tale dicotomia, il Tar ha osservato che alle delibere degli organi universitari andrebbe riconosciuta natura provvedimentale, in quanto qualificabili come determinazioni macroorganizzative volte ad imprimere un determinato assetto organizzativo al complesso delle attività di competenza e ad individuare le modalità gestionali ritenute maggiormente funzionali al perseguimento degli scopi prefissati.

17.3. La ISP s.r.l. ha contestato la ratio decidendi seguita dal Tar ed ha dedotto che non potrebbe sussistere la giurisdizione amministrativa sulle delibere con cui l’Università ha stabilito di procedere alla scissione societaria, in quanto:

– non vi sarebbe alcuna connessione fra le delibere degli organi universitari e gli atti societari con cui la scissione è stata attuata, poiché questa rappresenta un atto di autonomia di un soggetto già costituito ed ormai operante in modo indipendente, sul quale in alcun modo può incidere una volizione eteroindotta promanante da altro soggetto (l’Istituto universitario);

– le delibere in questione non avrebbero alcun carattere pubblicistico, configurandosi piuttosto quali negozi societari di carattere unilaterale;

– l’annullamento di tali delibere, di per sé, non potrebbe incidere sulla scissione della società preesistente o sulla costituzione della nuova società, poiché i loro effetti non potrebbero essere rimossi senza l’adozione di atti degli organi delle società coinvolte (e non già dell’ente pubblico di riferimento).

17.4. Secondo l’ordinanza di rimessione all’adunanza plenaria, sussisterebbero alcuni elementi sistematici i quali indurrebbero a ritenere nel caso di specie sussistente la giurisdizione amministrativa.

17.5. Prima di esaminare nel merito la proposta questione di giurisdizione, in punto di rito è bene ricordare che con la sentenza 10 maggio 2006 n. 10704, le sezioni unite della Cassazione hanno dichiarato inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione, proposto da I. Immobiliare s.r.l., rilevando che la sentenza non definitiva del 2004 – che ha dichiarato la giurisdizione amministrativa – abbia precluso la sua proponibilità, consentita solo con riguardo al giudizio di merito che sia pendente e prima che sia stata emessa una sentenza, anche soltanto sulla giurisdizione.

La declaratoria di inammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione è avvenuta per ragioni di puro rito, e non ha comportato alcun giudicato sulla giurisdizione (Cass., sez. un., 31 ottobre 2008 n. 26296, ord.).

La questione può pertanto essere esaminata in questa sede.

17.6. Il collegio ritiene condivisibili gli argomenti giuridici contenuti nella sentenza di primo grado e nell’ordinanza di rimessione, spesi per affermare la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sugli atti unilaterali prodromici ad una vicenda societaria, con cui un ente pubblico delibera di costituire una società, o di parteciparvi, o di procedere ad un atto modificativo o estintivo della società medesima.

Tali atti prodromici vanno, sul piano logico, cronologico e giuridico, tenuti nettamente distinti dai successivi atti negoziali, sempre imputabili all’ente pubblico, con cui l’ente, spendendo la sua capacità di diritto privato, pone in essere un atto societario (costituzione di una società, acquisto o vendita di quote societarie, modifica o scioglimento di una società).

Gli atti prodromici attengono al processo decisionale, che da ultimo si esterna nel compimento di un negozio giuridico societario.

Mentre per un soggetto privato il processo decisionale resta ordinariamente relegato nella sfera interna del soggetto, e ciò che rileva è solo il negozio giuridico finale, per un ente pubblico esso assume la veste del procedimento amministrativo, e ciò sotto un duplice profilo.

17.7. Rileva anzitutto il riferimento ai contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, in cui la stipulazione del contratto (appalto, locazione finanziaria, project financing, etc.), è preceduta da un procedimento amministrativo (c.d. evidenza pubblica), che inizia con la delibera a contrarre, in cui la pubblica amministrazione evidenzia le ragioni di interesse pubblico che giustificano il contratto: tale paradigma è estensibile a tutti gli altri casi in cui la pubblica amministrazione pone in essere un qualsivoglia negozio giuridico di diritto privato. Ebbene, è pacifico che tale deliberazione a contrarre è mezzo di cura dell’interesse pubblico e quindi è provvedimento amministrativo.

17.8. Ulteriore e specifico profilo di rilevanza pubblicistica è costituito dal fatto che nel caso della costituzione di una società vengono in evidenza aspetti organizzatori, essendo evidente l’incidenza della relativa scelta sulla struttura dell’ente.

A maggior ragione, dunque, in questa fattispecie si impone una chiara separazione del momento pubblicistico, rientrante nella giurisdizione del giudice amministrativo, e quello privatistico, tipicamente riservato al giudice ordinario.

17.9. Tale soluzione ha il conforto di numerosi dati normativi, dalla cui interpretazione sistematica si desume che la scelta, da parte di un ente pubblico, di dare vita ad una società, o di modificarla o estinguerla, è una scelta organizzativa afferente al perseguimento dell’interesse pubblico, che si esercita mediante un atto di natura pubblicistica, rientrante nella giurisdizione del giudice amministrativo.

17.10. L’art. 244, co. 1, d.lgs. n. 163/2006, in cui è confluito l’art. 6, l. n. 205/2000, applicabile ratione temporis (ora art. 133, co. 1, lett. l), c.p.a.), assegna alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie inerenti le procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, ivi comprese quelle relative alla scelta del socio.

Allorquando un ente pubblico decide di costituire una società con la forma del partenariato pubblicoprivato, la scelta del socio privato è considerata dall’ordinamento una vicenda pubblicistica, tanto che tale scelta deve avvenire con procedura di evidenza pubblica (persino nel caso in cui il socio pubblico sia socio di minoranza: v. Cass., sez. un., 29 ottobre 1999 n. 754), procedura soggetta alla giurisdizione amministrativa esclusiva.

Se ne desume per argomento a fortiori che è ascritta alla sfera pubblicistica la scelta, a monte, dell’utilizzo del modello societario, anche se per tale scelta non è prevista una giurisdizione esclusiva, sicché si ricade nell’ordinaria giurisdizione generale di legittimità.

17.11. Sussiste poi una giurisdizione di legittimità, con competenza territoriale del Tar Lazio – Roma, con riguardo a taluni poteri speciali riservati allo Stato in società da esso partecipate: la stessa è prevista dal d.l. n. 332/1994, conv. in l. n. 474/1994, all’art. 2, nel testo novellato dall’art. 4, co. 227, l. n. 350/2003.

Sono impugnabili dinanzi al Tar del Lazio, in sede di giurisdizione di legittimità:

– il provvedimento di opposizione all’assunzione, da parte dei soggetti nei confronti dei quali opera il limite al possesso azionario di cui all’art. 3, di partecipazioni rilevanti; il provvedimento deve essere motivato in relazione al pregiudizio arrecato agli interessi vitali dello Stato, e la legittimazione al ricorso spetta al cessionario (art. 2, lett. a);

– il provvedimento di opposizione alla conclusione di patti o accordi di cui all’art. 122, d.lgs. n. 58/1998, nel caso in cui vi sia rappresentata almeno la ventesima parte del capitale sociale costituito da azioni con diritto di voto nell’assemblea ordinaria o la percentuale minore fissata dal Ministro dell’economia e delle finanze con proprio decreto; il provvedimento di opposizione deve essere motivato in relazione al concreto pregiudizio arrecato dai suddetti accordi o patti agli interessi vitali dello Stato; la legittimazione al ricorso spetta ai soci aderenti ai patti o agli accordi (art. 2, lett. b);

– il provvedimento di esercizio del potere di veto all’adozione delle delibere di scioglimento della società, di trasferimento dell’azienda, di fusione, di scissione, di trasferimento della sede sociale all’estero, di cambiamento dell’oggetto sociale, di modifica dello statuto che sopprimono o modificano i poteri di cui al presente articolo. Il provvedimento deve essere motivato in relazione al concreto pregiudizio arrecato agli interessi vitali dello Stato, e la legittimazione al ricorso compete ai soci dissenzienti (art. 2, lett. c).

Da tali previsioni si desume che la partecipazione di un ente pubblico a una società è ispirata alla cura dell’interesse pubblico, al punto che è consentito l’esercizio di poteri pubblicistici interferenti con la vita della società, e il cui sindacato è attribuito al giudice amministrativo.

17.12. Dalla disamina delle norme sopra commentate, si evince che la scelta, da parte di un ente pubblico, di costituire o partecipare ad una società, è considerata una scelta organizzativa discrezionale, che differisce logicamente e cronologicamente rispetto al negozio societario che costituisce attuazione di tale scelta, e che radica una diversa giurisdizione rispetto a quella prevista per il negozio societario.

17.13. In tale prospettiva vanno menzionati i seguenti precedenti:

a) quello della V sezione secondo cui gli atti di costituzione di una società o quelli, successivi, di acquisizione della partecipazione sono i provvedimenti concretamente idonei a sottrarre dal mercato di riferimento la possibilità di accesso alla contrattazione con l’amministrazione che ha optato per quella forma di gestione diretta del servizio, sicché la lesione effettiva ed immediata degli interessi delle imprese che aspirano alla gestione del servizio rimonta all’adozione delle delibere di costituzione della società o di adesione a società esistente, tenuto conto del carattere conclusivo della determinazione organizzatoria che implicano (Cons. St., sez. V, 23 marzo 2004 n. 1543);

b) quello delle sezioni unite della Corte di cassazione secondo cui "in tema di società per azioni a partecipazione maggioritaria del comune, le delibere comunali con le quali sono decise la riduzione della partecipazione azionaria, l’emissione di un prestito obbligazionario, nonché le modifiche da adottarsi nello statuto rispetto alla nomina dei componenti del consiglio di amministrazione costituiscono provvedimenti di natura autoritativa, preliminari e prodromici rispetto alle successive deliberazioni societarie, espressione della funzione di indirizzo e di governo del comune rispetto agli organismi preposti alla produzione, gestione ed erogazione dei servizi pubblici di pertinenza del medesimo ente; ne consegue che le controversie relative all’annullamento delle suddette delibere (nella specie proposte da azionisti di minoranza e da associazioni di azionisti e consumatori) spettano alla giurisdizione del giudice amministrativo" (Cass., sez. un., 3 novembre 2009 n. 23200);

c) quelli della quinta sezione che hanno attratto alla giurisdizione amministrativa l’atto di autotutela pubblicistico di ritiro della delibera di costituzione di una società mista (Cons. St., sez. V, 1 luglio 2005 n. 3672; Cons. St., sez. V, 4 maggio 2004 n. 2714; in senso opposto Cons. St., sez. V, 20 ottobre 2004 n. 6867).

17.14. Conclusivamente, la giurisdizione amministrativa sussiste per gli atti che, incidendo sulla organizzazione del’ente, sono espressione di potestà pubblica, atti tra i quali rientrano certamente quelli di costituzione, modificazione ed estinzione della società, ivi compresa evidentemente la scissione, che comporta la costituzione di una nuova società.

Per converso, resta fermo il modello privatistico, e la conseguente giurisdizione ordinaria, sugli atti societari a valle della scelta di fondo di utilizzo o meno del modello societario (e salve specifiche espresse attribuzioni di giurisdizione al giudice amministrativo, come nel caso di cui all’art. 2, d.l. n. 332/2004): in tal caso, infatti, l’ente pubblico esercita i poteri ordinari dell’azionista che si traducono in atti societari sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, coerentemente con i principi di diritto comunitario che non ammettono poteri speciali da parte dell’azionista pubblico (C. giust. CE, 6 dicembre 2007 C463/04 e C464/04, che ha dichiarato illegittimo l’art. 2449 c.c.; Cass., sez. un., 31 luglio 2006 n. 17287; Cass., sez. un., 15 aprile 2005 n. 7799; Cons. St., sez. V, 28 ottobre 2008 n. 5787 ord.; Cons. St., sez. V, 13 giugno 2003 n. 3343; Cons. St., sez. V, 11 febbraio 2003 n. 708).

17.15. Alla luce delle suesposte considerazioni, va respinto il primo motivo degli appelli n. 24/2011 e 25/2011 A.P. (n. 3888/2005 e n. 3889/2005 r.g.) (da pag. 4 a pag. 13 degli atti di appello).

Sulla questione di ricevibilità dei ricorsi di primo grado

18. Proseguendo secondo l’ordine logico sopra indicato, viene in rilievo la questione, dedotta con il quarto sottomotivo del secondo motivo degli appelli n. 3888/2005 e 3889/2005 r.g., della tardività dei ricorsi di primo grado.

Anche gli appelli incidentali di ISP s.r.l. e di Fondazione I. propongono tale eccezione.

18.1. In primo grado si assumeva che le deliberazioni impugnate risalgono, a tutto concedere, a gennaio 2003, mentre i ricorsi risultano notificati nel novembredicembre 2003.

Le delibere impugnate hanno seguito le rituali forme di pubblicità.

Quanto meno l’Ordine degli ingegneri, poi, seguiva la vicenda dal maggio 2002 e al più tardi al maggio 2003 aveva chiaro il quadro fattuale e attizio.

18.2. Il Tar ha disatteso le censure osservando che la prova della piena conoscenza o dell’avvenuta pubblicazione dell’atto va data da chi eccepisce la tardività del ricorso.

Nel caso di specie, ad avviso del Tar, lo I. non avrebbe provato la data della pubblicità e pubblicazione delle deliberazioni, né la data della piena conoscenza di esse in capo ai ricorrenti in primo grado.

Inoltre, ad avviso del Tar, l’Ordine degli ingegneri avrebbe avuto piena conoscenza degli atti quando ha ricevuto la nota 5 settembre 2003 del direttore amministrativo dello I., in ordine alla richiesta di chiarimenti e accesso, atteso che in allegato alla nota del 5 settembre 2003 si fa conoscere la delibera del consiglio di amministrazione del 22 gennaio 2003; sarebbero invece irrilevanti, ai fini della piena conoscenza, notizie della stampa locale.

Quanto al ricorso dell’Ordine degli architetti, secondo il Tar sarebbe non implausibile quanto affermato da tale Ordine, di aver avuto notizia delle deliberazioni impugnate tramite l’Ordine degli ingegneri.

18.3. A fronte di tale articolato capo di sentenza, il motivo degli appelli principali (pag. 19 e tre righi di pagina 20 degli atti di appello principale) e quello degli appelli incidentali (pag. 17 degli appelli incidentali) non contengono alcuna puntuale critica alle statuizioni del giudice di primo grado, ma si limitano a riproporre tal quale l’eccezione di primo grado, compiutamente disattesa dal Tar.

Secondo il prevalente orientamento del Consiglio di Stato, formatosi prima del c.p.a., l’appello non può limitarsi ad una generica riproposizione degli argomenti dedotti in primo grado, quando gli stessi sono stati puntualmente disattesi dal giudice di prime cure, ma deve contenere specifiche censure contro la sentenza (Cons. St., ad. plen., 22 gennaio 1997 n. 3, che comporta implicito superamento di Cons. St., ad. plen., 21 ottobre 1980 n. 37, 20 maggio 1980 n. 18, 17 novembre 1995 n. 30; in termini Cons. St., sez. V, 19 febbraio 2004 n. 674; Cons. St., sez. IV, 21 giugno 2005 n. 3250; Cons. St., sez. IV, 5 agosto 2005 n. 4191; Cons. St., sez. VI, 10 marzo 2006 n. 1271; Cons. St., sez. IV, 16 aprile 2010 n. 2178).

Tale orientamento è stato confermato dal c.p.a. (art. 101, co. 1, c.p.a.), che, con previsione che deve ritenersi di carattere ricognitivo del prevalente orientamento giurisprudenziale sopra riportato, statuisce che l’appello deve contenere "le specifiche censure contro i capi della sentenza gravata".

La mera riproposizione dei motivi di primo grado si giustifica solo se il Tar non ha esaminato i motivi o li ha esaminati con argomenti palesemente non pertinenti o generici: in siffatta ipotesi il ricorrente potrebbe limitarsi a contestare sinteticamente la mancanza, non pertinenza o genericità della motivazione, e riproporre i motivi originari.

Il grado di specificità dei motivi di appello va dunque parametrato e vagliato alla luce del grado di specificità della sentenza contestata, e pertanto una critica generica, o una lagnanza generica sull’ingiustizia della sentenza, non è adeguata e ammissibile se la sentenza confuta puntualmente i motivi di cui al ricorso di primo grado.

Sulla questione di nullità dei ricorsi di primo grado per incertezza dell’oggetto

19. Proseguendo secondo l’ordine logico sopra indicato, viene in esame il primo motivo degli appelli proposti da ISP s.r.l., n. 3888/2005 e n. 3889/2005 r.g. (diretti contro la sentenza non definitiva n. 4357/2004), con cui si lamenta la genericità dei ricorsi di primo grado perché non sarebbero stati esattamente individuati gli atti impugnati, e perché si contestavano contemporaneamente le delibere universitarie e gli atti privatistici di costituzione e scissione di società.

La censura è contenuta anche nel secondo motivo di tali appelli, nel sottomotivo III.

La censura è inoltre contenuta negli appelli incidentali proposti da ISP s.r.l. e Fondazione I. in relazione agli appelli principali degli Ordini professionali.

19.1. La censura pone una questione di nullità dei ricorsi di primo grado per incertezza dell’oggetto.

Ai sensi dell’art. 44 c.p.a. il ricorso è nullo se vi è incertezza assoluta sulle persone o sull’oggetto della domanda.

Nel caso di specie non vi è incertezza assoluta.

Gli atti impugnati sono stati individuati con sufficiente chiarezza, avuto anche riguardo alla difficoltà, per soggetti terzi, di ricostruire tutti gli atti con cui l’Università ha attuato la complessa vicenda di acquisto di quote societarie, mutamento della denominazione della società, scissione dell’originaria società in due società distinte.

Resta ovviamente fermo che l’ambito di indagine del giudice amministrativo è circoscritto agli atti di natura provvedimentale, non potendo invece essere sindacati gli atti di natura societaria, che peraltro non risultano nemmeno impugnati con i ricorsi di primo grado.

Per l’effetto vanno respinti: la prima parte del primo motivo e il sottomotivo III del secondo motivo dei suddetti appelli n. 3888/2005 e n, 3889/2005 r.g. e vanno altresì respinti in parte qua gli appelli incidentali di I..

Sulla questione della regolare instaurazione del contraddittorio in primo grado

20. Viene poi all’esame il secondo motivo degli appelli n. 3888/2005 e n. 3889/2005 r.g., autoqualificato come B), articolato in quattro sottomotivi, e segnatamente il primo sottomotivo, con cui si lamenta la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di I. Immobiliare s.r.l. e si chiede l’annullamento con rinvio della sentenza.

20.1. In questa sede va anche esaminata l’eccezione, sollevata con l’appello incidentale di Fondazione I. (proposto in relazione agli appelli principali degli Ordini professionali), di inammissibilità dei ricorsi di primo grado per mancata evocazione del vero controinteressato. Si assume che vero e unico controinteressato in primo grado sarebbe I. Immobiliare s.r.l. e che pertanto i ricorsi di primo grado sarebbero inammissibili per mancata notificazione ad almeno un controinteressato, e che non sarebbe invece stato possibile ordinare l’integrazione del contraddittorio.

20.2. La censura degli appelli principali di ISP s.r.l. va disattesa in quanto dalla sentenza n. 4357/2004 si evince proprio che il Tar, risolte alcune questioni di rito, ordinava l’integrazione del contraddittorio nei confronti di I. Immobiliare s.r.l.

Il contraddittorio è stato pertanto già integrato.

20.3. Va anche disattesa la censura, diversa ma connessa, contenuta negli appelli incidentali di Fondazione I.: il quadro fattuale era talmente complesso che non era agevole stabilire quale società fosse il "vero" controinteressato: se la società originaria, ovvero una sola o entrambe le società risultanti dopo la scissione. Quale che fosse la soluzione, vi erano tutti i presupposti per il riconoscimento della scusabilità dell’eventuale errore, per cui correttamente il Tar si è limitato ad ordinare l’integrazione del contraddittorio.

Sulla legittimazione degli Ordini professionali a ricorrere

21. Proseguendo secondo l’ordine logico sopra indicato, viene in rilievo la questione, su cui il Collegio ritiene di doversi soffermare, della legittimazione degli Ordini professionali a ricorrere.

Si registrano contrastanti orientamenti delle sezioni semplici del Consiglio di Stato.

21.1. Secondo una prima tesi, l’Ordine professionale è legittimato ad agire in giudizio a tutela degli interessi dell’intera categoria professionale rappresentata, e non anche quando vi è un potenziale conflitto di interesse tra i professionisti rappresentati, in quanto occorre la necessaria omogeneità della rappresentanza di interessi di cui l’associazione è ente esponenziale (Cons. St., sez. V, 1° aprile 2011 n. 2033; sez. V, 19 ottobre 2009 n. 5171, ord.; Cons. St., sez. IV, 23 marzo 2009 n. 1473; sez. IV, 12 maggio 2008 n. 2178; Cons. St., sez. IV, 27 aprile 2005 n. 1940; sez. VI, 29 novembre 2004 n. 7792; sez. V, 17 luglio 2004 n. 5138; sez. VI, 21 aprile 2004 n. 2281; sez. V, 30 gennaio 2002 n. 505; sez. V, 15 settembre 2001 n. 4919; sez. V, 7 marzo 2001 n. 1339; sez. VI, 9 ottobre 2000 n. 5388; sez. VI, 3 giugno 1996 n. 624).

21.2. Secondo un’impostazione parzialmente diversa l’interesse dell’ordine professionale va riconosciuto anche nell’ipotesi in cui possa configurarsi un conflitto di interessi tra ordine professionale e singoli professionisti in qualche modo beneficiari dell’atto impugnato, che l’ordine assuma invece essere lesivo dell’interesse istituzionalizzato della categoria (Cons. St., sez. VI, 9 febbraio 2009 n. 710; Cons. St., sez. V, 7 marzo 2001 n. 1339 e 3 giugno 1996 n. 624).

E’ in questa prospettiva in particolare che è stata riconosciuta la legittimazione degli Ordini ad agire contro procedure di evidenza pubblica, se l’interesse fatto valere è quello all’osservanza di prescrizioni a garanzia della par condicio dei partecipanti, nonostante che in fatto dalla procedura selettiva sia stato avvantaggiato un singolo professionista (Cons. St., sez. IV, 23 gennaio 2002 n. 391; n. 1339/2001 cit.).

21.3. Ad avviso dell’Adunanza è appunto all’"interesse istituzionalizzato" che occorre far riferimento.

Difatti non può negarsi che fra gli interessi istituzionali dell’Ordine vi è anche quello di assicurare il pieno aspetto della par condicio nell’esercizio dell’attività professionale, e quindi non può neanche negarsi la legittimazione a far valere in giudizio tale interesse anche nei confronti di iscritti che, rivestendo ruoli particolari (pubblici dipendenti o – come nel caso – docenti), si ritiene possano operare professionalmente in dispregio di tale principio di parità.

21.4. Con riferimento al caso specifico, dunque, è da presumere un interesse istituzionale, degli Ordini ricorrenti, a che gli iscritti non subiscano la concorrenza di una società costituita e partecipata da I. (e da altra Università pubblica), pur se ciò potrebbe avvantaggiare i professionisti docenti nella stessa università.

Va pertanto ammessa la legittimazione degli Ordini ricorrenti a proporre i ricorsi di primo grado.

Sulla sussistenza dell’interesse originario al ricorso di primo grado: a) quanto all’idoneità dell’invalidazione dell’operazione di scissione societaria a far venir meno l’attività di engineering da parte dell’Università o suo ente strumentale.

22. Con il secondo sottomotivo degli appelli principali di ISP s.r.l. si lamenta il difetto di interesse in relazione ai ricorsi di primo grado, atteso che l’ipotetico accoglimento degli stessi non potrebbe far conseguire agli Ordini ricorrenti il risultato della cessazione dell’attività di engineering, che tornerebbe ad essere incorporata in un unitario ente strumentale, vale a dire l’originaria società.

Si assume che l’identità degli statuti della società originaria e di quella scorporata comporterebbe che la lesione dovrebbe farsi risalire alla costituzione della prima.

22.1. La stessa censura è contenuta negli appelli incidentali di ISP s.r.l. e Fondazione I..

23. Si osserva al riguardo che, come si è chiarito a proposito dalla ricevibilità dei ricorsi (par. 18 e ss.), non vi è prova della conoscenza della vicenda se non a scissione già avvenuta, ed allora l’impugnazione non poteva che dirigersi verso l’unico atto all’epoca esistente e cioè la delibera concernente la costituzione della nuova società: la delibera precedente (e cioè quella relativa alla costituzione della I. s.r.l.) aveva ormai perso ogni efficacia e – come si dirà fra breve – non poteva in ogni caso rivivere.

23.1. Inoltre, anche ammesso che i due statuti, quello approvato nel settembre 1998, e quello approvato nel 2002, indicassero, quanto al ramo engineering, gli stessi compiti, non se ne trae la conseguenza prospettata dall’appellante ISP s.r.l., che, ove si ponesse nel nulla l’operazione di scissione, rivivrebbero gli atti societari precedenti.

Infatti l’originaria società è venuta meno per volontà della stessa Università, essendo stata trasformata in Fondazione, per cui non rivivrebbe automaticamente con l’inclusione del ramo engineering, per il solo fatto che l’operazione di scissione viene inficiata.

Piuttosto, occorrerebbe una nuova delibera universitaria che ridesse vita all’originaria società riattribuendole il ramo engineering.

E nell’operare tale scelta l’Università non potrebbe non tener conto delle statuizioni del giudicato in ordine all’ammissibilità o meno di una società commerciale di engineering facente capo all’Università.

Sulla sussistenza dell’interesse originario al ricorso di primo grado: b) quanto all’idoneità del venir meno degli atti amministrativi prodromici a invalidare il negozio societario

24. Sempre proseguendo in ordine alla verifica della sussistenza dell’interesse originario ai ricorsi di primo grado, va esaminata la questione di diritto sottoposta dall’ordinanza di rimessione, in ordine alla sussistenza o meno dell’interesse al ricorso contro gli atti prodromici di negozi societari, premesso che i negozi societari non possono essere invalidati dal giudice amministrativo.

La questione risulta anche sollevata con la memoria depositata dall’Avvocatura Generale dello Stato nell’interesse del MIUR e dello I..

Inoltre, la sentenza definitiva del Tar contiene l’affermazione che, dopo il trasferimento del 20% delle azioni della società ad altro socio e l’iscrizione della società nel registro delle imprese, non sarebbe più possibile ottenere l’invalidazione del contratto di società, e questo inciderebbe sul perdurare dell’interesse al ricorso.

Tale capo di sentenza è contestato dall’appello proposto dall’Ordine degli ingegneri, che lamenta che così statuendo il Tar avrebbe sostituito proprie valutazioni a quelle riservate all’Università a seguito di un giudicato amministrativo di annullamento degli atti impugnati.

L’appello degli Ordini degli architetti si limita a contestare la declaratoria di difetto di interesse contenuta nella sentenza definitiva in base alla considerazione che l’interesse perdurava quanto meno a fini risarcitori.

24.1. In dettaglio, l’ordinanza di rimessione sottopone la questione se sussista un interesse di tipo strumentale all’impugnativa delle delibere volte alla costituzione e alla successiva scissione di una società di capitali operante secondo la logica del profitto, ovvero se ciò resti precluso dalla circostanza per cui l’eventuale annullamento di tali delibere non potrebbe comunque determinare un effetto caducante sugli atti con cui la società in parola è stata costituita e con cui ne è stata disposta la scissione.

L’ordinanza di rimessione ha osservato che idonei argomenti militerebbero nel senso della sussistenza di un tale interesse, ove si consideri che:

– l’interesse sotteso all’azione proposta dagli Ordini professionali non è limitato alle sole vicende relative alla ISP s.r.l., ma coinvolge – più in generale – la questione in sé dell’esercizio attraverso veicoli societari di attività puramente lucrative da parte degli Istituti universitari in casi non espressamente previsti dalla legge ed in contrasto col principio di legalità (attività esulanti dal perseguimento delle tipiche finalità istituzionali);

– ferma restando la giurisdizione civile sulla validità e sugli effetti delle delibere societarie relative agli atti di scissione e costituzione di nuove società, il giudice amministrativo può comunque annullare i provvedimenti amministrativi sottesi all’adozione di tali atti (anche per tale aspetto, sembra innegabile l’interesse alla coltivazione dei ricorsi di annullamento, ove si considerino – ancora una volta – il vincolo conformativo dello jussum giudiziale sulle ulteriori determinazioni amministrative sull’assetto degli enti strumentali e i poteri spettanti in sede di giudizio di ottemperanza al giudicato, potendo il giudice ripristinare – anche in via sostitutiva – un assetto conforme al quadro normativo in concreto violato).

24.2. Ad avviso del Collegio va, sotto il profilo sollevato, ritenuto sussistente l’interesse al ricorso.

24.3. Nei casi in cui un negozio di diritto privato posto in essere da una pubblica amministrazione è preceduto da un procedimento amministrativo, l’annullamento degli atti del procedimento amministrativo non comporta, di regola, l’automatica caducazione del negozio giuridico a valle (c.d. effetto caducante), producendo piuttosto una invalidità derivata (c.d. effetto viziante), che deve essere dedotta davanti al giudice avente giurisdizione sull’atto negoziale.

Al di fuori dei casi in cui l’ordinamento attribuisce espressamente al giudice amministrativo la giurisdizione sulla "sorte del contratto" che si pone a valle di un procedimento amministrativo viziato (v. art. 133, co. 1, lett. e), n. 1, c.p.a., in tema di contratti pubblici relativi a lavori, servizi, e forniture), secondo l’ordinario criterio di riparto di giurisdizione spetta al giudice amministrativo conoscere dei vizi del procedimento amministrativo, e al giudice ordinario dei vizi del contratto, anche quando si tratti di invalidità derivata dal procedimento amministrativo presupposto dal contratto.

Tale riparto di giurisdizione non fa però venire meno l’interesse a impugnare davanti al giudice amministrativo gli atti amministrativi prodromici di un negozio societario, atteso che il loro annullamento produce un effetto viziante del negozio societario a valle, con la conseguente possibilità di:

– azionare rimedi risarcitori;

– impugnare il negozio societario davanti al giudice ordinario;

– chiedere all’Amministrazione l’ottemperanza al giudicato amministrativo, e, in caso di perdurante inottemperanza, adire il giudice amministrativo che in sede di ottemperanza può intervenire sulla sorte del contratto (Cons. St., ad. plen., 30 luglio 2008 n. 9).

24.4. Nel caso specifico, si assume (nella difesa di I. e del MIUR) che l’annullamento degli atti prodromici non potrebbe sortire alcun effetto sulla società in quanto ai sensi dell’art. 2332 c.c., una volta che la società viene iscritta nel registro delle imprese, non vi è più solo la società come negozio giuridico, ma anche la società come autonomo soggetto di diritto, sicché la nullità della società può essere pronunciata solo in casi tassativi.

Peraltro, da un lato, l’ipotetica impossibilità di ottenere la declaratoria di nullità della società non esclude né i rimedi risarcitori né la possibilità di invocare l’autotutela pubblicistica (da parte di I.), dall’altro lato, avuto riguardo al tenore delle censure dedotte con i ricorsi di primo grado, può in astratto profilarsi una "illiceità dell’oggetto sociale" che è una delle cause di nullità della società ai sensi dell’art. 2332 c.c.

24.5. Si deve pertanto concludere che l’interesse a contestare gli atti amministrativi prodromici a negozi societari sussiste anche se:

– il giudice amministrativo non può caducare i negozi societari;

– la società è stata iscritta nel registro delle imprese.

c) Interpretazione dei ricorsi di primo grado e delimitazione dell’interesse ad una parte dell’oggetto sociale di ISP s.r.l.

25. I ricorsi di primo grado pongono una questione di corretta delimitazione della materia del contendere, avuto riguardo all’interesse di cui sono portatori gli Ordini professionali ricorrenti.

Posto che gli Ordini agiscono a tutela della categoria professionale degli ingegneri e di quella degli architetti, i ricorsi di primo grado vanno interpretati come volti a contestare quella parte dell’oggetto sociale di ISP s.r.l. che si riferisce alle attività di engineering.

E, invero, gli Ordini agiscono in giudizio nell’interesse delle categorie professionali rappresentate, ingegneri e architetti. Non possono pertanto farsi paladini della tutela della concorrenza e del mercato in generale, ma solo della tutela della concorrenza e del mercato per le attività di competenza delle categorie professionali rappresentate.

Avuto riguardo ai compiti rientranti nell’oggetto sociale (art. 3 dello Statuto), va riconosciuto l’interesse degli Ordini professionali a dolersi dei compiti di cui alle lettere a), b), c), d), e), f), mentre va negato l’interesse a contestare i compiti di cui alle lettere g), h), i), l), m), n) (attività editoriale, tipografica e grafica, informazione scientifica; altri servizi nel settore della somministrazione di alimenti e bevande, pubblicitario, spettacolo; locazioni immobiliari; attività affini e connesse; partecipazione in altre società; prestazione di fidejussioni e garanzie).

Reiezione degli appelli principali di ISP s.r.l. e del motivo C degli appelli incidentali di I.

26. Alla luce di quanto sin qui esposto, gli appelli di ISP s.r.l. n. 3888/2005 e n. 3889/2005 r.g. vanno in parte respinti e in parte dichiarati inammissibili per genericità dei motivi.

Anche il motivo "C" degli appelli incidentali di ISP s.r.l. e Fondazione I. (da pag. 8 a pag. 19 degli appelli incidentali) va in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile per le medesime ragioni.

Sulla perduranza o meno dell’interesse ai ricorsi di primo grado a seguito delle vicende sopravvenute nel corso del giudizio di primo grado e sul rito applicabile

27. Segue, nell’ordine logico delle questioni, l’esame degli appelli principali degli Ordini professionali, diretti contro la sentenza definitiva, e volti a contestare la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi di primo grado per asserito sopravvenuto difetto di interesse.

27.1. Con gli appelli n. 5473/2007 e n. 6233/2007 proposti dagli Ordini professionali, si contesta la sentenza definitiva n. 794/2007, lamentandosi che:

– erroneamente il Tar ha ritenuto applicabile alla controversia l’art. 23bis, l. Tar e per l’effetto ha ritenuto ammissibile una memoria depositata in primo grado da controparte (che sarebbe stata tardiva rispetto ai termini del rito ordinario), e ha esaminato e accolto un’eccezione di inammissibilità ivi contenuta (tale ordine di censure è contenuto nel solo appello dell’Ordine degli ingegneri);

– in ogni caso è erroneo l’accoglimento dell’eccezione di inammissibilità sollevata da controparte, atteso che la cessione di una quota societaria del 20% ad altra Università non necessitava di nuova impugnazione e non faceva venir meno l’interesse ai ricorsi originari, dovendosi ricondurre la vicenda alla successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c. (entrambi gli appelli degli Ordini professionali contengono tale censura);

– residuava comunque l’interesse al ricorso a fini risarcitori (entrambi gli appelli degli Ordini professionali contengono tale censura).

Con entrambi gli appelli degli Ordini professionali vengono riproposti tutti i motivi dei ricorsi di primo grado, di cui si chiede l’esame e l’accoglimento.

28. Nell’ordine logico delle questioni poste dagli appelli degli Ordini professionali va esaminata quella, sottoposta anche dall’ordinanza di rimessione, se la controversia rientri o meno nell’ambito di applicazione dell’art. 23bis, co. 1, lett. a) e/o e), l. Tar (trasfuso nell’art. 119, co. 1, lett. c), c.p.a.).

28.1. Come si è osservato in narrativa, con la sentenza definitiva n. 794/2007, il Tar ha dichiarato inammissibili i ricorsi degli Ordini professionali per due ragioni (l’avvenuta cessione all’Università di Verona di parte del capitale sociale della ISP s.r.l. per effetto di un accordo ex art. 15, l. n. 241/1990, nonché la disposta trasformazione della I. Immobiliare s.r.l. in fondazione universitaria), entrambe prospettate dall’amministrazione intimata solo con la memoria depositata tredici giorni prima dell’udienza di discussione in primo grado.

Ad avviso del Tar, infatti, la cessione di parte delle quote della ISP s.r.l. ad un altro Ateneo per effetto dell’accordo ex art. 15, cit. e il definitivo consolidamento dell’assetto di interessi in tal modo determinatosi (per effetto della mancata impugnazione dell’accordo medesimo) avrebbero determinato la "dissoluzionè anche dell’interesse strumentale alla coltivazione dell’azione di annullamento, atteso che:

– non sarebbe più ragionevolmente possibile ottenere la revoca dell’iscrizione della ISP s.r.l. nel registro delle imprese;

– non sarebbe più possibile la coltivazione di un’azione risarcitoria, essendo ormai divenuto inoppugnabile un atto (l’accordo fra amministrazioni) il quale "autonomamente consolida e addirittura amplifica la lesione pur da esse ab origine lamentata".

Il Tar ha ritenuto che tale allegazione non fosse tardiva, in relazione alla previsione (ratione temporis vigente) di cui al co. 4 dell’art. 23, l. n. 1034/1971, atteso che la controversia rientrerebbe nel campo di applicazione dell’art. 23bis l. Tar (e, segnatamente, della lettera e), in tema di "provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese e beni pubblici (ovvero) relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende e istituzioni ai sensi dell’articolo 22 della legge 8 giugno 1990 n. 142").

Inoltre, ad avviso del Tar, gli atti impugnati "comunque ineriscono a procedure di affidamento di incarichi di progettazione e di attività tecnicoamministrative ad esse connesse" sicché la controversia rientrerebbe nella lettera a) del citato art. 23bis.

Sarebbe ad avviso del Tar "sintomatica" la circostanza che tutte le parti avrebbero "costantemente improntato la loro condotta processuale nell’assodato presupposto della riconduzione della presente causa alla tipologia dei ricorsi retti dalla disciplina del predetto art. 23bis", in quanto il ricorso dell’Ordine degli ingegneri sarebbe stato depositato entro il termine di quindici giorni anziché di trenta giorni.

Conseguentemente, anche in relazione alla tempistica processuale per il deposito di documenti, opererebbe secondo il Tar la dimidiazione dei termini di cui al co. 2 dell’art. 23bis, cit.

28.2. Uno degli Ordini appellanti, quello degli ingegneri, ha contestato tale statuizione del Tar, osservando che le controversie in questione non rientrerebbero in alcun modo fra quelle di cui all’art. 23bis, cit., in quanto:

– non verrebbe in rilievo alcuna procedura di privatizzazione di imprese pubbliche, atteso che le operazioni contestate avevano semplicemente determinato la scissione di una società unipersonale e la costituzione di una nuova società unipersonale (con successiva cessione di parte del capitale di tale seconda società ad un altro ente pubblico);

– non verrebbe in rilievo alcuna procedura di dismissione di imprese, atteso che la nozione in questione sarebbe unicamente riferibile alle operazioni realizzate ai sensi della l. 23 ottobre 1992 n. 421.

28.3. L’ordinanza di rimessione dubita che la questione sia effettivamente rilevante per la risoluzione del thema decidendum, essendovi elementi (che l’ordinanza di rimessione puntualmente individua) per ritenere che la cessione di una quota societaria ad altro soggetto e la trasformazione della I. Immobiliare s.r.l. in fondazione non abbia fatto venir meno l’interesse ai ricorsi di primo grado.

28.4. Il Collegio ritiene, anticipando le conclusioni all’analisi, che:

a) la controversia oggetto del presente giudizio non ricada nell’ambito di applicazione dell’art. 23bis, l. Tar;

b) la questione del rito applicabile è comunque irrilevante al fine della specifica questione della verifica dell’interesse al ricorso, questione che è rilevabile ex officio a prescindere da eccezione di parte, sicché il Tar avrebbe comunque potuto esaminare la questione, anche ove, applicando il rito ordinario, avesse ritenuto tardivo il deposito della memoria;

c) i fatti sopravvenuti dedotti nel giudizio di primo grado non hanno fatto venir meno l’interesse ai ricorsi di primo grado.

Sull’applicabilità o meno del rito dell’art. 23bis, l. Tar

29. Quanto al punto sub a), del paragrafo che precede, la controversia in esame verte sulla costituzione, da parte di un’Università, di una società di engineering totalmente partecipata, inizialmente, dall’Università medesima, mediante scissione di una precedente società a totale partecipazione universitaria.

29.1. Al fine della verifica se siffatta controversia sia o meno riconducibile all’art. 23bis, l. Tar, occorre fare due considerazioni di ordine metodologico:

a) il rito abbreviato di cui all’art. 23bis, l. Tar (oggi: art. 119 c.p.a.), per quanto progressivamente esteso ad un rilevante numero di materie, non è un rito ordinario ma un rito speciale, vale a dire un’eccezione al rito ordinario, ove si considerino: il dimezzamento dei termini processuali; la maggiore onerosità economica del rito; la corsia preferenziale per l’ottenimento di una celere decisione, con inevitabile rallentamento dei processi ordinari;

b) dal carattere eccezionale del rito abbreviato, deriva come conseguenza immediata e diretta che le ipotesi in cui esso si applica sono tassative e di stretta interpretazione, non suscettibili di interpretazione analogica;

c) al fine della verifica se una determinata controversia rientri o meno in tale rito, è del tutto irrilevante il comportamento processuale delle parti, e segnatamente la circostanza, erroneamente valorizzata dal Tar, che una delle parti abbia depositato il ricorso entro il termine dimidiato di 15 giorni anziché entro quello ordinario di 30. Infatti le parti (recte: i difensori) sono libere di depositare il ricorso in un qualunque giorno entro il limite temporale massimo, sicché anche un ricorso ordinario può essere depositato prima dei 15 giorni, per qualsivoglia motivo, che attiene alla sfera soggettiva della parte ed è giuridicamente irrilevante; del pari irrilevante, del resto, è la condotta processuale tenuta dal giudice nel corso del giudizio di primo grado, trattandosi di evenienza che non esclude ex se la doverosa applicazione del rito (ordinario o speciale), effettivamente stabilito dalla legge (Cons. St., sez. IV, 23 dicembre 2010 n. 9376).

29.2. Alla luce di tali coordinate esegetiche, ritiene il Collegio che la controversia in esame non rientra né nella previsione della lett. a), né in quella della lett. e) dell’art. 23bis, l. Tar, se si applicano rigorosamente i canoni dell’interpretazione delle norme eccezionali.

La lett. a) del citato art. 23bis si riferisce a "i provvedimenti delle procedure di affidamento di incarichi di progettazione e di attività tecnicoamministrative ad esse connesse".

La previsione si riferisce alle procedure di evidenza pubblica poste in essere da una stazione appaltante pubblica per affidare incarichi di progettazione, ovvero per affidare attività tecnicoamministrative connesse a tali procedure.

L’ambito è dunque quello di un incarico di progettazione in cui l’ente pubblico assume il ruolo di stazione appaltante.

Nel caso di specie la società di engineering è stata costituita al fine, tra l’altro, di partecipare a procedure di affidamento di incarichi di progettazione in qualità di operatore economico.

Si è pertanto al di fuori sia della procedura di affidamento di incarico di progettazione, che postula un ruolo dell’Ente pubblico come stazione appaltante e non come operatore economico, sia dell’attività tecnicoamministrativa connessa, non essendovi una connessione immediata e diretta tra la costituzione della società e il ruolo di stazione appaltante e/o operatore economico dell’Università.

La vicenda societaria esula anche dal campo di applicazione della lett. e) del citato art. 23bis (che si riferisce a "i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione o di dismissione di imprese o beni pubblici, nonché quelli relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di società, aziende o istituzioni ai sensi dell’articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142"), atteso che:

a) non si tratta di costituzione di una società da parte di un ente locale, ma da parte di un’Università;

b) non vi è stata procedura di privatizzazione atteso che da una società a totale partecipazione pubblica sono derivate due società parimenti a totale partecipazione pubblica;

c) non vi è stata dismissione di imprese o beni pubblici, atteso che l’operazione di scissione societaria ha mantenuto sia l’impresa che il relativo patrimonio (bene pubblico) in mano pubblica, senza cessione a soggetti privati.

Sulla perduranza dell’interesse ai ricorsi di primo grado a seguito dei fatti sopravvenuti nel corso del giudizio di primo grado

30. Peraltro, al fine specifico della verifica della sussistenza dell’interesse ai ricorsi di primo grado, che è questione rilevabile d’ufficio, la questione del rito applicabile era e resta del tutto irrilevante.

E’ comunque erronea la sentenza definitiva, nella parte in cui ritiene che la cessione di una quota societaria abbia fatto venir meno l’interesse ai ricorsi.

La cessione di parte delle quote sociali della ISP s.r.l. ad un’altra Università non ha determinato un’irreversibile modificazione dell’assetto di interessi, né ha fatto venir meno l’interesse degli Ordini professionali alla rimozione degli atti con cui era stata disposta la scissione della società "madrè e la costituzione della ISP s.r.l.

Al riguardo si osserva che:

– gli atti sopravvenuti non hanno inciso sulla scelta di fondo di dare vita ad una società universitaria che svolge attività di engineering sul mercato, ma hanno solo modificato l’assetto proprietario della società e meglio definito l’oggetto sociale, peraltro lasciando comunque l’intestazione delle azioni in capo ad Università;

– vi è stato pertanto il subentro di un’altra Università in una quota delle azioni, e per l’effetto, ai sensi dell’art. 111 c.p.c. (applicabile senz’altro al processo amministrativo: Cons. St., sez. VI, 22 ottobre 2009 n. 6478; sez. VI, 1° settembre 2009 n. 5125), in caso di cessione a titolo particolare (e, nel caso di specie, soltanto parziale) del diritto controverso, il processo prosegue ritualmente fra le parti originarie;

– essendo l’interesse dedotto in giudizio quello a impedire che una società universitaria svolga attività di engineering sul mercato, esso è indifferente alle vicende dell’assetto proprietario della società, fintanto che le azioni restano nella titolarità di Università;

– l’interesse esplicitato dagli Ordini appellanti non riguarda unicamente le vicende della ISP s.r.l., ma – più in generale – la questione in sé dell’esercizio in forma societaria da parte di un Istituto universitario di attività puramente lucrative, esulanti dal perseguimento delle tipiche finalità istituzionali, sicché l’interesse alla coltivazione del ricorso permane fin quando la titolarità delle azioni rimane in capo ad Università;

– peraltro la sopravvenuta cessione di azioni e la modifica dell’atto costitutivo sono atti societari per i quali non vi era neppure la possibilità di impugnazione davanti al giudice amministrativo, e consequenziali rispetto all’originaria scelta di costituire una società di engineering;

– l’affermazione, contenuta nella sentenza definitiva appellata, secondo cui il consolidamento della cessione di quote ad un altro Ateneo avrebbe determinato l’impossibilità della revoca dell’iscrizione della ISP s.r.l. nel registro delle imprese non tiene adeguatamente conto – come già osservato – dell’ampiezza dei poteri che, in sede di conformazione allo jussum giudiziale di annullamento, residuano in capo all’amministrazione (e che, nella sua perdurante inerzia, spettano al giudice dell’ottemperanza);

– l’affermazione, contenuta nella sentenza definitiva appellata, secondo cui il consolidamento della cessione di quote ad un altro Ateneo determinerebbe, altresì, il venir meno di un interesse al ricorso anche per ciò che attiene al versante risarcitorio non può essere condivisa a tacer d’altro perché lo stesso art. 34, co. 3, c.p.a. (ricognitivo di un principio generale, desumibile anche dal preesistente quadro normativo) dispone che "quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste un interesse ai fini risarcitori’.

31. Alla luce di quanto esposto, gli appelli degli Ordini professionali vanno accolti in punto di rito.

Sulla perduranza dell’interesse ai ricorsi di primo grado a seguito del mutato quadro giurisprudenziale dopo le sentenze di primo grado

32. Prima, peraltro, di passare all’esame dei ricorsi di primo grado nel merito, si impone l’ulteriore verifica del perdurante interesse ai ricorsi di primo grado a seguito del più volte ricordato mutato quadro giurisprudenziale.

Tale questione, che è stata sollevata da ISP s.r.l. nella memoria di replica, si basa sulla nota questione se le Università possano o meno partecipare, in veste di operatori economici, a procedure di affidamento di appalti di servizi di progettazione, questione in effetti risolta in senso positivo dalla decisione della C. giust. CE, 23 dicembre 2009 C305/08, cui ha fatto seguito, nello stesso senso, l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici con la determinazione 21 ottobre 2010 n. 7 e, nelle medesima vicenda su cui si è pronunciata la C. giust. CE, anche il Consiglio di Stato (Cons. St., sez. II, 24 novembre 2010 n. 167/08 (22 gennaio 2011 n. 313), parere).

Sennonché, gli Ordini appellanti non contestano, in radice, la possibilità per l’Università I. di organizzarsi costituendo società per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali (possibilità che rientra nell’autonomia organizzativa dell’Università e che è espressamente prevista sia dallo statuto vigente all’epoca dei fatti di causa che da quello approvato nel 2009).

Neppure contestano l’originaria vicenda dell’acquisto delle quote di una società privata e della sua successiva ridenominazione.

Gli Ordini contestano, invece, la specifica operazione di scissione societaria, con cui, si assume, si sarebbe data vita ad una società con fine di lucro ed oggetto sociale (l’engineering) che non rientrerebbe tra i fini istituzionali dell’Università e che non si limita ad agire come operatore economico nei confronti di committenti pubblici.

Alla luce di tale precisazione, l’eccezione deve ritenersi infondata.

Sul merito dei ricorsi di primo grado

33. Superati tutti gli ostacoli frapposti dalle numerose questioni pregiudiziali e preliminari, occorre procedere all’esame, per la prima volta, dei ricorsi di primo grado, espressamente e integralmente riproposti.

I motivi dei ricorsi di primo grado si incentrano sulle seguenti questioni:

a) dalle deliberazioni prodromiche alla scissione non emergerebbero le ragioni di interesse pubblico e in particolare le finalità istituzionali sottese alla creazione della società di engineering;

b) le Università non potrebbero partecipare, quali operatori economici, a gare di appalto e pertanto non potrebbero allo scopo costituire una società con socio unico né potrebbero agire quali imprenditori sul mercato;

c) la società di engineering sarebbe stata dotata di un capitale di quasi tre miliardi di vecchie lire (lire 2799 milioni), provenienti da un finanziamento statale destinato ad altro scopo (il recupero urbanistico di Venezia);

d) le Università hanno fini non lucrativi di ricerca e di insegnamento, per cui non potrebbero costituire una società con fini di lucro;

e) si sarebbe creata una società privata a fine di lucro, che opera sul mercato in concorrenza con operatori privati, fruendo di finanziamento pubblico, così creandosi una evidente distorsione di mercato.

33.1. L’ordinanza di rimessione ritiene che le Università, aventi finalità di insegnamento e di ricerca, possano dare vita a società, nell’ambito della propria autonomia organizzativa e finanziaria, solo per il perseguimento dei propri fini istituzionali, e non per erogare servizi contendibili sul mercato.

Tanto, ad avviso dell’ordinanza di rimessione, in virtù di un principio che si desume dall’ordinamento, e che è ora codificato dall’art. 27, co. 3, l. n. 244/2007.

34. In punto di diritto, il collegio, condividendo quanto affermato nell’ordinanza di rimessione, ritiene che l’art. 27, co. 3, l. n. 244/2007 esprima un principio di carattere generale che era immanente nell’ordinamento anche prima della sua esplicitazione positiva.

34.1. Dispone, infatti, la citata disposizione che, "al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. E’ sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza (…)".

La disposizione in questione evidenzia un evidente disfavore del legislatore nei confronti della costituzione e del mantenimento da parte delle amministrazioni pubbliche (ivi comprese le Università) di società commerciali con scopo lucrativo, il cui campo di attività esuli dall’ambito delle relative finalità istituzionali, né risulti comunque coperto da disposizioni normative di specie (secondo il modello delle c.d. "società di diritto singolare’).

Si osserva al riguardo che la Corte costituzionale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale relativa ai commi 27 e 29, con la sentenza 4 maggio 2009 n. 148, ha sottolineato come essi abbiano inteso rafforzare la distinzione tra l’esercizio della attività amministrativa in forma privatistica (posta in essere da società che operano per una pubblica amministrazione con effettivo carattere di strumentalità, configurandosi nei fatti quali mere modalità organizzative per l’esercizio di compiti tipici dell’Ente pubblico di riferimento) e l’esercizio della attività di impresa da parte degli enti pubblici, mirando altresì ad evitare che quest’ultima possa essere svolta beneficiando dei privilegi dei quali un soggetto può godere in quanto pubblica amministrazione.

34.2. Così interpretata la ratio della citata disposizione, essa esprime un principio già in precedenza immanente nel sistema.

Il sistema, anche anteriormente alla l. n. 244/2007, era connotato dalle seguenti coordinate fondamentali:

a) l’attività di impresa è consentita agli enti pubblici solo in virtù di espressa previsione;

b) l’ente pubblico che non ha fini di lucro non può svolgere attività di impresa, salve espresse deroghe normative;

c) la possibilità di costituzione di società in mano pubblica, operanti sul mercato, è ordinariamente prevista da espresse disposizioni legislative; non di rado è la legge a prevedere direttamente la creazione di una società a partecipazione pubblica;

d) la costituzione di società per il perseguimento dei fini istituzionali propri dell’ente pubblico è generalmente ammissibile se ricorrono i presupposti dell’in house (partecipazione totalitaria pubblica, esclusione dell’apertura al capitale privato, controllo analogo, attività esclusivamente o prevalentemente dedicata al socio pubblico), e salvi specifici limiti legislativi (v. art. 23bis, co. 3, d.l. n. 112/2008 conv. in l. n. 133/2008).

34.3. Un conto è, dunque, la costituzione di una società in house, da parte di un ente pubblico senza fine di lucro, che è in sé un modulo organizzativo neutrale, che rientra nell’autonomia organizzativa dell’ente, con il limite intrinseco che ogni forma organizzativa è sempre e necessariamente strumentale al perseguimento dei fini istituzionali dell’ente medesimo, e salvi specifici limiti legislativi.

Un altro conto è la costituzione, da parte di un ente pubblico, di una società commerciale che non operi con l’ente socio, ma operi sul mercato, in concorrenza con operatori privati, e accettando commesse sia da enti pubblici che da privati.

La società commerciale facente capo ad un ente pubblico, operante sul mercato in concorrenza con operatori privati, necessita di previsione legislativa espressa, e non può ritenersi consentita in termini generali, quanto meno nel caso in cui l’ente pubblico non ha fini di lucro.

La stessa Corte costituzionale, nel ribadire l’intangibilità in via di principio della libertà di iniziativa economica privata degli Enti pubblici, ha altresì sottolineato la necessità di "evitare che soggetti dotati di privilegi operino in mercati concorrenziali" (sentenza n. 326/2008). L’approccio in questione, del resto, appare pienamente compatibile con il paradigma normativo comunitario secondo cui è fatto divieto agli Stati membri di emanare o mantenere, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, misure contrarie alle disposizioni dei trattati, con particolare riguardo a quelle in tema di tutela della concorrenza e divieto di erogazione di aiuti di Stato (art. 106 TFUE – già art. 86 TCE).

34.4. L’evoluzione normativa mostra un netto sfavore per la costituzione e mantenimento di società da parte di enti pubblici, persino per quanto riguarda gli enti locali, nonostante il loro riconoscimento costituzionale come enti territoriali autonomi a fini generali, e persino quando si tratta di società create per i fini istituzionali dell’ente (art. 13, d.l. n. 223/2006; art. 23bis, d.l. n. 112/2008; art. 14, co. 31, d.l. n. 78/2010).

34.5. Tanto vale anche per le Università, la cui riconosciuta e indiscussa autonomia organizzativa e finanziaria incontra il limite interno invalicabile della rigorosa strumentalità rispetto alle finalità istituzionali.

Viene in rilevo, sotto tale profilo, l’art. 6, co. 4, l. n. 168/1989, il quale, nell’individuare le Università quali "sedi primarie della ricerca scientificà e nel ribadire il necessario rispetto della libertà di ricerca dei docenti e dei ricercatori nonché dell’autonomia di ricerca delle strutture scientifiche, stabilisce – con inciso dall’evidente carattere di chiusura – che le richiamate prerogative siano riconosciute alle Università pur sempre "per la realizzazione delle proprie finalità istituzionali".

Viene anche in considerazione lo Statuto di I., che sia nel testo vigente all’epoca dei fatti che in quello attuale, dispone espressamente che "(…)L’Università I., ferma restando l’esclusione di qualunque scopo di lucro ha piena capacità di diritto pubblico e privato(…) è legittimata a porre in essere ogni atto negoziale, anche a titolo oneroso, idoneo al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, ivi compresi gli atti di costituzione o di adesione (…) a società di capitali (…)".

E’ evidente il nesso di stretta strumentalità del negozio societario rispetto ai fini istituzionali dell’Ente.

In assenza di una disposizione di legge in senso contrario, sembra che il logico corollario sia rappresentato dal generale divieto per tali Istituzioni di istituire società di capitali con scopo meramente lucrativo (le cui finalità, per definizione, esulano dal perseguimento delle tipiche finalità istituzionali).

34.6. Né militano in senso favorevole alla possibilità di costituire società commerciali operanti sul mercato le previsioni dell’art. 7, l. n. 168/1989 e dell’art. 66, d.P.R. n. 382/1980.

L’art. 7, relativo all’autonomia finanziaria e contabile dell’Università, dispone che le sue entrate sono, tra l’altro, costituite da "c) forme autonome di finanziamento, quali contributi volontari, proventi di attività, rendite, frutti e alienazioni del patrimonio, atti di liberalità e corrispettivi di contratti e convenzioni".

La circostanza che siano previsti i corrispettivi di contratti e convenzioni non autorizza per ciò solo a ritenere che sia consentito qualsivoglia contratto, e segnatamente il contratto costitutivo di società commerciale, perché si deve pur sempre trattare di contratti consoni ai fini istituzionali dell’Ente.

A sua volta l’art. 66, d.P.R. n. 382/1980, prevede che "Le Università, purché non vi osti lo svolgimento della loro funzione scientifica didattica, possono eseguire attività di ricerca e consulenza stabilite mediante contratti e convenzioni con enti pubblici e privati. L’esecuzione di tali contratti e convenzioni sarà affidata, di norma, ai dipartimenti o, qualora questi non siano costituiti, agli istituti o alle cliniche universitarie o a singoli docenti a tempo pieno".

Infatti tale previsione intanto pone un limite di compatibilità e pertinenza della ricerca e consulenza, rispetto ai fini istituzionali, e inoltre prevede una specifica formula organizzativa, atteso che l’esecuzione di contratti e convenzioni deve avvenire tramite le ordinarie strutture dell’Università, e non mediante società commerciali.

Sono previste poi una rigorosa ripartizione dei proventi delle prestazioni e dei contratti e una precisa destinazione delle entrate, finalizzate al finanziamento dei compiti istituzionali dell’Università.

34.7. Il Collegio concorda anche con quanto osservato nell’ordinanza di rimessione, in ordine all’irrilevanza, ai fini del presente giudizio, del mutato panorama giurisprudenziale in ordine alla questione se le Università possano o meno partecipare, in veste di operatori economici, a gare di appalto, per le ragioni già esposte nel par. 32.

Si impone tuttavia una puntualizzazione in ordine ai limiti entro cui l’Università può, tramite apposita società, agire quale operatore economico nei confronti di committenza pubblica, oltre che privata.

L’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici con la determinazione 21 ottobre 2010 n. 7, alla luce dell’orientamento espresso dalla C. giust. CE, ha sostenuto che "non sembra potersi affermare, in via generale, l’esistenza di un divieto per gli operatori pubblici a partecipare alle procedure ad evidenza pubblica. (…) Al contrario, la possibilità per le Università di operare sul mercato sarebbe espressamente prevista dall’articolo 7, comma 1, lett. c), della legge 168/1989, che include, tra le entrate degli atenei, anche i corrispettivi di contratti e convenzioni, nonché dall’articolo 66, del d.P.R. 382/1980, (…) che prevede che le Università possano eseguire attività di ricerca e consulenza, stabilite mediante contratti e convenzioni con enti pubblici e privati, con l’unico limite della compatibilità delle suddette attività con lo svolgimento della funzione scientifica e didattica che per gli Atenei rimane prioritaria".

Ad avviso del Collegio, il limite non è di mera compatibilità, ma di stretta strumentalità.

L’attività di ricerca e consulenza, anche se in favore di enti pubblici, non può essere indiscriminata, sol perché compatibile, ma deve essere strettamente strumentale alle finalità istituzionali dell’Ente, che sono la ricerca e l’insegnamento, nel senso che giova al progresso della ricerca e dell’insegnamento, o procaccia risorse economiche da destinare a ricerca e insegnamento.

Non si può pertanto trattare di un’attività lucrativa fine a sé stessa, perché l’Università è e rimane un ente senza fine di lucro.

Entro i limiti sopra disegnati, deve ammettersi che l’Università possa agire quale operatore economico nei confronti di committenti pubblici (o ad essi equiparati ai sensi del d.lgs. n. 163/2006), non solo in via diretta, ma anche mediante apposita società (come consentito dalla stessa Autorità di vigilanza sin dalla deliberazione 18 aprile 2007 n. 119).

35. In tale prospettiva, occorre allora verificare, passando al caso concreto, se la società ISP s.r.l. sia o meno strettamente necessaria al perseguimento delle finalità istituzionali dell’Università I..

35.1. Si deve anzitutto escludere che ISP s.r.l. abbia i requisiti di una società in house, in quanto:

– pur essendo, al momento attuale, una società a totale partecipazione pubblica, lo statuto prevede la possibilità di cessione delle azioni a terzi soggetti, non necessariamente pubblici (art. 6 statuto); l’apertura al capitale privato esclude la sussistenza dell’in house (C. giust. CE 13 ottobre 2005 C458/03, Parking Brixen Gmbh; C. giust. CE, 6 aprile 2006 C410/04, Anav c. Comune di Bari; Cons. St., sez. V, 22 aprile 2004 n. 2316; Cons. St., sez. V, 13 luglio 2006 n. 4440,; Cons. St., sez. V, 30 agosto 2006 n. 5072; Cons. St., sez. VI, 1 giugno 2007 n. 293);

– la società non è esclusivamente o prevalentemente dedicata ai soci pubblici, atteso che può operare sul mercato, anche nei confronti di committenti privati.

35.2. Si deve anche escludere che ISP s.r.l. sia stata inizialmente costituita per consentire all’Università di partecipare, quale operatore economico, a procedure di affidamento ai sensi del d.lgs. n. 163/2006: l’oggetto sociale, testualmente riportato in altro paragrafo della presente decisione, è ben più ampio, potendo ISP s.r.l. agire quale imprenditore sul mercato, nei confronti di committenti pubblici e privati.

35.3. Invece, ISP s.r.l. si configura, in base al suo statuto all’indomani della scissione, come società commerciale a fine di lucro.

Va allora esclusa la sussistenza di un vincolo di stretta necessità della società in relazione alle finalità istituzionali, se sol si considera l’ampiezza dell’oggetto sociale, che secondo l’atto costitutivo, include fra le attività esercitabili (inter alia e solo a mò di esempio) la somministrazione e vendita al pubblico di alimenti e bevande, la locazione di immobili, la concessione di fidejussioni e garanzie, la generica possibilità di partecipare al capitale di altre società.

E se è vero che tali profili esulano dall’odierna materia del contendere, delimitata dall’interesse delle categorie professionali rappresentate dagli Ordini ricorrenti, è anche vero che, pur avendo riguardo alla parte di oggetto sociale relativo all’engineering, i compiti di progettazione e consulenza sono descritti con tale ampiezza da escludere la necessaria correlazione con i compiti istituzionali della didattica e della ricerca scientifica.

Dalle stesse delibere dell’Università prodromiche alla scissione societaria (verbali del Senato accademico del 13 e del 22 marzo 2002) non si evincono le ragioni istituzionali che giustificano la costituzione di una società di engineering.

E’ vero, poi, che:

– nella delibera del 21 marzo 2002 si ipotizza "la prossima costituzione in seno allo I. di un "Comitato" chiamato a valutare la conformità delle commesse oggetto dell’attività della società di engineering con le finalità istituzionali di ricerca e formazione dello I.";

– nella seduta del 22 gennaio 2003 il Senato accademico delibera di "nominare un comitato composto dai direttori dei dipartimenti dell’ateneo per definire la missione della società e i criteri attraverso i quali essa raggiunge i propri obiettivi".

Tuttavia dell’operato di tale Comitato non vi è traccia negli atti successivi.

Sicché non risulta che in virtù di atto parasociale l’oggetto sociale sia stato delimitato e mirato al perseguimento dei fini istituzionali dell’Università; né vi è traccia di una "strumentalità finanziaria" della società, nel senso della destinazione degli utili ai fini istituzionali della didattica e della ricerca scientifica.

36. E’ doveroso verificare se le successive vicende abbiano modificato o meno l’originaria configurazione della società come società commerciale.

36.1. In prosieguo, infatti, il 20% del capitale sociale è stato ceduto a titolo oneroso all’Università di Verona.

Ne è seguito un accordo tra le due Università, ex art. 15, l. n. 241/1990 che prevede una serie di impegni da attuarsi mediante modifica dello statuto e mediante direttive agli amministratori; si prevede, infatti:

a) la futura modifica dello statuto societario per garantire "la strumentalità della società rispetto ai fini istituzionali e strumentali di entrambe le Università";

b) l’impegno delle Università a dare opportune istruzioni agli amministratori e a vigilare sul loro operato, affinché la società realizzi la parte più importante della sua attività a favore degli enti soci.

In attuazione di tale accordo, il verbale di assemblea del 10 luglio 2006 ha approvato modifiche statutarie.

L’art. 1.2. del nuovo statuto prevede che: "nel perseguimento del proprio oggetto sociale, la società opera quale ente strumentale e servente dei propri soci, che intendono unire le sinergie e le specifiche conoscenze relativamente alle problematiche dell’edilizia universitaria, per una più efficiente e adeguata attività di progettazione".

L’art. 3 quanto all’oggetto sociale prevede che "L’attività che costituisce l’oggetto sociale consiste nel condurre, quale ente strumentale dell’università, lavori di particolare complessità, utili all’avanzamento della ricerca e della riflessione teorica, essere luogo di tirocinio per gli studenti ed esercitare funzione di promozione per giovani laureati e quindi nell’espletare tutte le attività di studio, ricerca, progettazione ed organizzazione tecnica strumentali e connesse alla promozione, sviluppo e realizzazione di progetti ed appalti nel settore dell’ingegneria, dell’edilizia, dell’urbanistica e delle infrastrutture, comprese le opere ferroviarie, stradali, marittime, portuali ed aeroportuali, gli studi di impatto ambientale e di tutela e sviluppo dell’ambiente naturale, sia in Italia che all’estero, e in particolare: "segue l’elenco dei compiti già in precedenza attribuiti alla società".

36.2. Peraltro, lo statuto e l’atto costitutivo, al di là della formale enunciazione della strumentalità della società rispetto ai fini istituzionali universitari, non indicano con chiarezza i poteri di direttiva dei soci e il potere di controllo della finalizzazione delle attività della società ai fini istituzionali dell’Università, così come non è indicata con chiarezza la devoluzione degli utili al soddisfacimento dei fini istituzionali. Permane inoltre la possibilità di ingresso nel capitale azionario di soci privati.

Residua quindi un margine di ambiguità, sembrando consentite attività in favore di committenza privata, senza un adeguato controllo istituzionale. Né sono stati prodotti in giudizio patti parasociali che delimitino l’ambito di operatività della società.

Del resto, i limiti dell’oggetto sociale e i poteri di direttiva e controllo dei soci devono essere evincibili dall’atto costitutivo e dallo statuto, al fine dell’opponibilità ai terzi e della tutela di questi ultimi. Un eventuale patto parasociale (soggetto a iscrizione solo nelle società quotate in borsa, ex art. 122, t.u. n. 58/1998) avrebbe efficacia solo tra le parti (Cass. civ., sez. I, 5 marzo 2008 n. 5963) ma non inciderebbe sull’azione della società nei rapporti con i terzi.

37. Alla luce di quanto esposto gli atti prodromici impugnati sono illegittimi perché prevedono la costituzione di una società commerciale di engineering senza prevedere limiti puntuali che ne garantiscano la stretta strumentalità rispetto ai fini istituzionali dell’Università.

Invece, tali atti avrebbero dovuto prevedere:

(i) una stretta connessione tra l’oggetto sociale e le finalità istituzionali dell’Università;

(ii) adeguati meccanismi per assicurare la strumentalità, quali la previsione di una precisa definizione della missione della società in ordine al tipo di progetti da svolgere (sulla base di incarichi provenienti da committenza pubblica o privata, purché inerenti a opere che ponessero problematiche proficue per la ricerca e la didattica), la previsione che la società avrebbe impiegato esclusivamente docenti e studenti universitari, ovvero neolaureati entro un limite temporale massimo e la previsione delle modalità di impiego di tali soggetti;

(iii) adeguati strumenti di controllo da parte dei soci sull’operato della società;

(iv) la destinazione degli utili ai fini istituzionali dell’Università;

(v) l’esclusione dell’ingresso di soci privati.

38. Quanto alla diversa censura della destinazione a tale società di una parte dei fondi destinati alla salvaguardia del patrimonio architettonico, urbanistico e ambientale di Venezia ( l. n. 798/1984), essa è priva di adeguato supporto probatorio.

Invero, l’IUAV inizialmente acquistava un immobile e la società proprietaria di esso con una spesa di 6 miliardi di lire, di cui 4,5 miliardi di finanziamento statale e 1,5 miliardi di risorse proprie dell’Università, nell’anno 1996.

Nel 2003 alla società di engineering risulterebbero destinati quasi tre miliardi di lire (lire 2.799 milioni).

Non risulta tuttavia provato l’assunto degli Ordini ricorrenti, né quanto all’esatto importo, né quanto alla circostanza che l’importo deriverebbe dal finanziamento pubblico destinato ad altri scopi.

Infatti in occasione dell’operazione di scissione fu redatta una stima del patrimonio della società prima della scissione, da cui si evince che:

– il patrimonio superava i sette milioni di euro;

– alla società di engineering venivano destinati quasi 500.000 euro e non lire 2799 milioni.

E’ allora evidente che l’iniziale valore investito di sei miliardi di lire, pari a poco più di tre milioni di euro, risulta più che raddoppiato al momento dell’operazione di scissione.

Pertanto, non vi è prova che il patrimonio destinato alla società di engineering derivi da finanziamento statale diretto ad altri fini, e non da utili conseguiti dalla società.

39. Quanto, infine, all’ulteriore censura in ordine alla distorsione del mercato derivante dal finanziamento pubblico, formulata in termini più generali rispetto alla questione della destinazione di fondi statali, il Collegio rileva che genericamente lo statuto prevede la possibilità di finanziamento della società da parte dei soci pubblici, senza che sia chiaro se il finanziamento avvenga con risorse pubbliche o invece con gli utili derivanti dalla società medesima.

40. Si deve ora passare all’esame dell’ultimo motivo degli appelli incidentali di Fondazione I. e ISP s.r.l. (da pag. 19 a pag. 22 degli appelli incidentali), con cui si contesta la sentenza n. 794/2007 in relazione al capo che ha disposto la trasmissione degli atti alla competente Procura regionale della Corte dei conti.

40.1. Si lamenta la contraddittorietà della sentenza che da un lato dichiara i ricorsi di primo grado inammissibili e dall’altro lato si spinge ad un sindacato di merito sull’operato dell’Università, per di più basandosi non su fatti ma su mere illazioni dei ricorrenti.

40.2. La censura va disattesa.

Infatti la disposta trasmissione degli atti alla Procura della Corte dei conti, pur occupando una parte della sentenza e quindi costituendo, formalmente, un capo di essa, non è suscettibile di appello.

Il giudice di primo grado ha esercitato un potere di denuncia che compete ai pubblici ufficiali, e che si colloca a latere della sentenza, rispetto alla quale resta esterno anche se formalmente esercitato nel corpo di essa e, che oltretutto, in quanto mera denuncia, è privo di autonoma portata lesiva (Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010 n. 1542) e quindi non è suscettibile di sindacato in appello.

41. In conclusione:

– vanno respinti gli appelli principali nn. 24/2011 e 25/2011 A.P. (n. 3888/2005 e n. 3889/2005 r.g.);

– vanno accolti per quanto di ragione gli appelli principali nn. 26/2011 e 27/2011 A.P. (n. 5473/2007 e 6233/2007 r.g.) e per l’effetto vanno annullati gli atti amministrativi relativi all’operazione di scissione impugnati con i ricorsi di primo grado;

– vanno respinti i quattro appelli incidentali proposti in relazione agli appelli principali nn. 26/2011 e 27/2011 A.P. (n. 5473/2007 e 6233/2007 r.g.).

42. La complessità e la novità delle questioni giustificano la compensazione integrale delle spese di lite in relazione al doppio grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (adunanza plenaria), definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe, già riuniti:

1) respinge gli appelli principali n. 24/2011 e n. 25/2011 A.P. (n. 3888/2005 e n. 3889/2005 r.g.);

2) accoglie gli appelli principali n. 26/2011 e 27/2011 A.P. (n. 5473/2007 e 6233/2007 r.g.) e per l’effetto annulla gli atti amministrativi relativi all’operazione di scissione;

3) respinge i quattro appelli incidentali proposti in relazione agli appelli principali n. 26/2011 e 27/2011 A.P. (n. 5473/2007 e 6233/2007 r.g.);

4) compensa interamente tra le parti le spese e gli onorari di lite in relazione ad entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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